06/11/14

Energia, scienziati contro Sblocca Italia "Investire sulle rinnovabili, non sul petrolio"

Piuttosto che trivellare l'Adriatico, dovremmo mettere pannelli solari sui tetti di tutti i capannoni d'Italia. Piuttosto che dare il via libera alla ricerca di idrocarburi, dovremmo sostenere la transizione alle fonti green. Un gruppo di professori di Bologna scrive al governo. Per cambiare il decreto

Sono seri. Ultraseri. Un professore emerito dell'Università di Bologna, Vincenzo Balzani, accademico dei Lincei specializzato nello studio della fotosintesi artificiale. Un dirigente di ricerca del Cnr, il chimico Nicola Armaroli, studioso della conversione dell'energia solare. Un professore di Bologna, Alberto Bellini, ingegnere elettromeccanico. Un "senior scientist" della Columbia University, Enrico Bonatti, esperto di geologia degli oceani. Tutti decisamente convinti che il decreto "Sblocca Italia" vada cambiato. Perché il futuro della nostra indipendenza energetica non può essere cercato nel petrolio, dicono. La priorità non possono essere trivellazioni e ricerche per briciole di idrocarburi che basterebbero giusto per qualche anno. Investimenti e agevolazioni devono andare da tutt'altra parte. Alle fonti di energia rinnovabile. Che già oggi non sono più soltanto un bacino marginale.
L'appello si intitola " Energia per l'Italia " e può essere firmato anche dai cittadini online. «In virtù della conoscenza acquisita con i nostri studi e la quotidiana consultazione della letteratura scientifica internazionale, sentiamo il dovere di esprimere la nostra opinione», scrivono i promotori. E dicono: «Innanzitutto è necessario ridurre il consumo eccessivo e non razionale di energia». Secondo punto: «La fine dell’era dei combustibili fossili è inevitabile e ridurne l’uso è urgente per limitare l’inquinamento dell’ambiente. Ridurre il consumo dei combustibili fossili, che importiamo per il 90%, significa anche ridurre la dipendenza energetica del nostro paese e migliorare la bilancia dei pagamenti».

Sì, ma come? «È necessario promuovere, mediante scelte politiche appropriate, l’uso di fonti energetiche alternative che siano, per quanto possibile, abbondanti, inesauribili, distribuite su tutto il pianeta, non pericolose per l’uomo e per l’ambiente, capaci di sostenere il benessere economico, di colmare le disuguaglianze e di favorire la pace». Per questo, scrivono, fra le alternative possibili, l'energia nucleare e quella rinnovabile, la prima da questo appello va esclusa. Mentre per la seconda c'è molto che si potrebbe fare.

«Le energie rinnovabili non sono più una fonte marginale, come molti vorrebbero far credere: oggi producono il 22% dell’energia elettrica su scala mondiale, il 40% in Italia», snocciolano gli scienziati: «Per ottenere il restante 60% dell’energia elettrica che serve in Italia, basterebbe coprire con pannelli fotovoltaici lo 0.5% del territorio, molto meno dei 2000 km2 occupati dai tetti dei 700.000 capannoni industriali e dalle loro pertinenze».

«Purtroppo la Strategia Energetica Nazionale, che l’attuale governo ha ereditato da quelli precedenti e che apparentemente ha assunto, non sembra seguire questa strada», proseguono gli studiosi: «In particolare, il recente decreto Sblocca Italia agli articoli 36-38, oltre a promuovere la creazione di grandi infrastrutture per permettere il transito e l’accumulo di gas proveniente dall’estero, facilita e addirittura incoraggia le attività di estrazione  di petrolio e gas in tutto il territorio nazionale: in particolare, in aree densamente popolate come l’Emilia-Romagna, in zone dove sono presenti città di inestimabile importanza storica, culturale ed artistica come Venezia e Ravenna, in zone fragili e preziose come la laguna veneta e il delta del Po e lungo tutta la costa del mare Adriatico dal Veneto al Gargano, le regioni del centro-sud e gran parte della Sicilia »

Il decreto attribuisce un carattere strategico, spiegano, alle concessioni di ricerca e sfruttamento di idrocarburi, «semplificando così gli iter autorizzativi, togliendo potere alle regioni e prolungando i tempi delle concessioni. Tutto ciò in contrasto con le affermazioni di voler ridurre le emissioni di gas serra e, cosa ancor più grave, senza considerare che le attività di trivellazione ed estrazione ostacolano la nostra più importante fonte di ricchezza nazionale: il turismo».

Non è solo una questione di priorità, sostengono i promotori dell'appello. Ma anche di numeri: «Mentre fonti governative parlano di un “mare di petrolio” che giace sotto l’Italia», spiegano: «secondo la BP Statistical Review del giugno 2014 le riserve di combustibili fossili sfruttabili nel nostro paese ammontano a 290 Mtep. Poiché il consumo di energia primaria annuale è di 159 Mtep, queste ipotetiche riserve corrispondono al consumo di meno di due anni. Spalmate su un periodo di 20 anni, ammontano a circa il 9% del consumo annuale di energia primaria. Si tratta quindi di una risorsa molto limitata, il cui sfruttamento potrebbe produrre danni molto più ingenti dei benefici che può apportare».

Ed ecco la conclusione del gruppo di studiosi di Bologna: «L’unica via percorribile per stimolare una reale innovazione nelle aziende, sostenere l’economia e l’occupazione, diminuire l’inquinamento, evitare futuri aumenti del costo dell’energia, ridurre la dipendenza energetica dell’Italia da altri paesi, ottemperare alle direttive europee concernenti la produzione di gas serra e custodire l’incalcolabile valore paesaggistico delle nostre terre e dei nostri mari consiste nella rinuncia definitiva ad estrarre le nostre esigue riserve di combustibili fossili e in un intenso impegno verso efficienza, risparmio energetico, sviluppo delle energie rinnovabili e della green economy». Più chiaro di così.

DI FRANCESCA SIRONI

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