30/03/10

Ferrara e il suo territorio oltre la crisi: idee e prospettive per una nuova stagione

La relazione di Luigi Marattin
Responsabile Economia – Partito Democratico di Ferrara

Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, con la schiettezza, il coraggio e l’onesta intellettuale che lo contraddistingueva, John Maynard Keynes rivolse un’accusa ai leader politici dell’epoca. “State commettendo il più grande degli errori”, disse. “E quale sarà mai?”, gli chiesero tutti, infastiditi dalla superbia di quell’allora semi-sconosciuto economista inglese. “State affrontando i problemi del mondo del dopoguerra, con le stesse identiche opinioni e idee di prima della guerra. E ne pagherete presto le conseguenze”.



Abbiamo scelto di partire da qui, per presentare quest’iniziativa e quelle che la seguiranno da qui fino all’inizio dell’estate. Fatte le debite proporzioni tra la tragedia di una guerra e una crisi economica (per quanto drammatica come quella attuale), le lucide di parole di Keynes potrebbero tranquillamente essere ripetute in queste settimane, rivolte a imprenditori, sindacalisti, e politici di ogni schieramento: state – stiamo – attenti: rischiamo di affrontare i problemi della Ferrara post-crisi con le stesse identiche opinioni, atteggiamenti, tendenze e idee di prima della crisi. Il fatto nuovo – che probabilmente aiuta a riconciliare queste prime parole con il clima di fine campagna elettorale – è che tale pericolo è indipendente da quanto buone siano state le opinioni, gli atteggiamenti, le tendenze e le idee precedenti alla crisi. Il fatto che fossero quelle giuste prima della tempesta, non è purtroppo sufficiente a far sì che lo siano automaticamente anche dopo.
Partiamo da qui, dunque, per iniziare quel percorso di approfondimento ed elaborazione di cui parlava il Segretario nel suo saluto iniziale. Un percorso caratterizzato dal pieno coinvolgimento, ci auguriamo, di coloro che fanno e vivono la realtà economica territoriale, e dall’elaborazione di idee e prospettive che solo le istituzioni locali, poi, possono essere chiamate ad attuare nella pienezza della loro autonomia e in forza del mandato ricevuto dagli elettori. Intendiamo così, riprendendo ancora una volta le parole di Calvano, definire una chiara e non ambigua relazione tra il partito e le istituzioni, basata sul contributo di discussione, elaborazione e aggregazione del consenso da parte del primo, e sull’azione vera e proprio di governo della cosa pubblica da parte delle seconde.
Come già accennato, la nostra analisi parte dalla convinzione che la crisi rappresenti un vero e proprio spartiacque. Tra qualche decennio si riconoscerà probabilmente un “prima” e un “dopo”. La tempesta iniziata nei mercati finanziari nell’agosto del 2007, e trasmessa all’economia reale nell’autunno dell’anno successivo dopo il fallimento di Lehman Brothers, non è stata un tradizionale (e massiccio) crollo congiunturale, perfettamente fisiologico all’interno delle dinamiche del ciclo economico. La prima contrazione del Pil mondiale e del commercio mondiale dal 1945, e tutti i drammatici dati che ormai conosciamo bene (a partire dai 6 punti percentuali di reddito persi dall’Italia nel biennio) rappresentano il segnale di qualcosa di più profondo. Non certo quello che affermano – o forse sognano – coloro che guardano a questo secolo con gli occhi di quello scorso, o di quello ancora precedente. Piuttosto, siamo in presenza di un mutamento strutturale nelle dinamiche del commercio e della produzione globali. Niente di nuovo: è almeno un decennio che ci ripetiamo che lo scenario globale affermatosi negli Anni Novanta impone almeno due cose: una ridefinizione della divisione internazionale del lavoro e della produzione e una migliore regolazione delle dinamiche e dei mercati globali. La crisi ci ha brutalmente ricordato cosa succede se non lo facciamo. Non a caso, la scintilla è venuta esattamente da quei due fronti: gli squilibri globali dovuti ad una incompleta definizione di una nuova articolazione produttiva tra paesi emergenti e paesi maturi hanno generato quell’anomala abbondanza di liquidità che ha inondato i mercati occidentali alla ricerca del rendimento più alto, e che ha alimentato una serie di bolle speculative dalla fine degli Anni Novanta in poi. E la incompleta (o sbagliata) regolazione finanziaria ha fornito l’occasione – una scorretta gestione del rischio aggregato – per far scoccare la scintilla del disastro.
Ora, mentre ci interroghiamo sulla stabilità strutturale delle flebile ripresa (non sappiamo quanto drogata dal più massiccio stimolo di politica economica nella storia umana), dobbiamo fare i conti col mutamento strutturale che il post-crisi impone. Anche a Ferrara e al suo territorio. Se ci pensate, in questa lunga premessa abbiamo rappresentato la stessa situazione che capita quando, ad esempio, ci viene la febbre. Essa non è la causa, ma solo il sintomo della malattia. La malattia può essere una banale influenza, o un qualcosa che ci impone di cambiare strutturalmente le nostre abitudini di vita. Nel primo caso possiamo ricominciare a vivere come facevamo prima, nel secondo no; dobbiamo ripensare le nostre abitudini, anche quelle che ci sembravano sane (e che probabilmente lo erano), ma che ora non possiamo più permetterci. E magari possiamo anche cogliere l’occasione per eliminare qualche brutta abitudine, come quella di fumare. Alla fine, se il processo viene governato con saggezza, la nostra qualità della vita sarà migliore di prima.

Con questa premessa, in questo primo appuntamento vogliamo concentrarci soprattutto su due fronti che riteniamo funzionali al quadro sopra esposto.
Il primo è quello di un potenziamento, ma anche ripensamento, del sistema della formazione e riqualificazione professionale. Se l’analisi precedente è condivisa, infatti, questo si traduce in una semplice, per quanto amara, constatazione: nei settori tradizionali, che costituiscono una parte sostanziale dell’economia ferrarese, non verranno ripristinati i livelli occupazionali precedenti la crisi anche quando la domanda globale sarà tornata robusta. Proprio perché le conseguenze della crisi sono, perlomeno in parte, strutturali e non solo congiunturali. Ne abbiamo, in queste settimane, tristi, tristissime conferme: il dimezzamento della forza-lavoro all’ex-Romagna Ruote, il fallimento dell’Igs, la difficilissima situazione dell’Oerlikon, il piano industriale di Berco che prevede il taglio permanente di 468 unità. Se questo è lo scenario che abbiamo di fronte, sul piano occupazione dobbiamo rispondere a questa semplicissima domanda: che ne facciamo della forza lavoro in esubero strutturale? Le caratteristiche di queste donne e di questi uomini – a cui ogni politico che si possa definire tale dovrebbe dedicare un pensiero almeno una volta al giorno – purtroppo non aiuta: si tratta mediamente di individui in un’età compresa tra i 40 e i 55 anni, con un livello di istruzione non elevato e precise caratteristiche formative nell’ambito della meccanica. La risposta alla domanda “che ne sarà di loro?” può avere soltanto tre declinazioni alternative: 1) li lasciamo al loro destino, a vagare tra liste di mobilità e lavoro nero 2) li scarichiamo sulle risorse pubbliche, magari attraverso il prepensionamento. La prima è una risposta che non appartiene ai valori di riferimento del nostro agire politico; la seconda è una risposta – utilizzata,nel corso dei decenni di storia repubblicana, sia dalla destra che dalla sinistra – semplicemente irresponsabile. Entrambe non sono parte del codice genetico del Partito Democratico. Rimane solo la terza risposta: fare della riqualificazione professionale il perno fondamentale di una stagione di politiche attive del mercato del lavoro, in questo caso provinciale ma ovviamente non solo. E’ un sentiero stretto e difficile quello in cui ci incamminiamo ora. Stretti tra due necessità, e tra due verità. Da un lato quello di riconoscere non solo i vincoli di natura finanziaria (di derivazione nazionale) e organizzativa (di derivazione regionale) ma anche la positiva azione svolta finora dall’Amministrazione Provinciale nell’ambito di questi vincoli; dall’altro, riconoscere che probabilmente il sistema abbisogna di un sovrappiù di coraggio, da trovare in un ambito prettamente ed esclusivamente politico. In un contesto come quello sopra descritto, la riqualificazione professionale dei lavoratori espulsi dai processi produttivi di vecchia generazione è questione troppo fondamentale per lasciare anche solo il minimo dubbio – magari infondato – che il sistema serva più ai formatori che non a coloro che devono essere formati o riqualificati. Che la componente di rendita da accaparrarsi a beneficio del proprio ente particolare, e di quello che ne sta attorno, sia preponderante rispetto alla funzione sociale ed economica della formazione professionale. Tale funzione infatti costituisce uno dei tratti fondamentali che definiscono l’efficienza di un sistema economico: far sì che i fattori produttivi – capitale e lavoro – siano il più possibile mobili attraverso i vari settori produttivi rende possibile non solo salvaguardia e l’utilizzo delle risorse stesse scongiurandone il sottoutilizzo, ma garantisce anche la dinamicità del sistema. E trattandosi di un tipico caso di esternalità positiva, e quindi di fallimento del mercato, tale funzione richiede un esplicito e inequivocabile intervento pubblico. Intervento pubblico da sostanziarsi sicuramente sotto forma di finanziamento; in questo frangente sicuramente non aiuta il progressivo svuotamento di risorse operato nell’ultimo anno in sede nazionale, spesso a vantaggio di politiche più tradizionali (e forse meno efficienti) di tutela nel mercato del lavoro. L’intervento pubblico è ammissibile certamente anche sotto forma di gestione diretta di un ente di formazione; a condizione tuttavia, che sia costantemente garantita la qualità e l’efficienza. Una tematica su cui le istituzioni locali già stanno, positivamente, ragionando.
Per onestà intellettuale, due considerazioni d’obbligo si impongono ora:
La prima riguarda la portata generale delle precedenti affermazioni, che deve essere trattata con cura, specialmente nel contesto ferrarese. Non si vuole certo affermare che un lavoratore cinquantenne a bassa qualificazione possa essere facilmente tramutato – mi si passi il termine – in un tecnico altamente specializzato nel trattamento delle acque o delle biotecnologie. Né si vuole negare un’ulteriore scomoda verità, e cioè che non tutti sono riqualificabili. Il nostro sistema economico non è (lascio a voi aggiungere un “purtroppo” o “per fortuna”) paragonabile ad esempio a quello americano, che recentemente ha portato agli onori della cronaca il caso di Kristin Saez, 26enne che lavorava in una scuola materna di Manhattan. Licenziata a causa di tagli d’organico, si è iscritta ad un corso di formazione specializzata in ambito sanitario, e dopo due settimane ha ricevuto due offerte di lavoro: prima in un ospedale del Bronx, poi come assistente tecnico al La Guardia community college nel Queens. Tutto questo mentre la disoccupazione a New York superava il dieci per cento.
La seconda considerazione è anch’essa d’obbligo, e può servire anche come “ponte” all’argomento successivo. Il mercato del lavoro – e quindi la formazione professionali ad esso rivolta – non è un pianeta a sé stante. Esso vive, e si trasforma, in relazione alla vita, e alle trasformazioni, del sistema economico di riferimento. Non si riforma il mercato del lavoro né i suoi istituti portanti senza tenere pienamente conto della direzione che intraprenderà, o che si vuole far intraprendere, l’economia. Ogni azione che si prefigge di ottimizzare il meccanismo formativo non può prescindere a un raccordo vero, reale e veloce di fabbisogni presenti e futuri del sistema economico. In altre parole, la domanda fatale che deve accompagnare un processo di riforma è “quali sono le figure professionali che l’economia ferrarese domanderà nei prossimi anni?”. O meglio: “considerata la strategia di sviluppo che l’economia ferrarese ha per i prossimi anni, quali sono i fabbisogni formativi conseguenti?” Senza questa domanda, e soprattutto senza la sua risposta, ogni azione seria di riforma o ottimizzazione del sistema di formazione professionale rischia di essere monca, o peggio ancora di non incidere realmente sulla funzionalità del sistema. In quest’ottica, ci si permetta di lanciare una domanda. Di questi tempi si parla molto di Green Economy; ne ha parlato – e con serietà e competenza – anche il Pd regionale con una bella iniziativa svolta proprio qui a Ferrara, e coordinata dall’on. Alessandro Bratti. Questa può allora essere l’occasione di implementare il raccordo appena descritto: fatto salvo l’avvio di un indirizzo preciso verso lo sviluppo (o l’attrazione) di attività imprenditoriali nel settore della green economy (una strategia che non può prescindere dal coinvolgimento del mondo del credito, anche locale), la presenza di personale appositamente formato (o meglio formando) diviene un vantaggio comparato di cui il territorio ferrarese può dotarsi. E’ possibile allora immaginare di indirizzare da subito parte del sistema di riqualificazione professionale verso quel tipo di fabbisogni, ovviamente prima precisamente individuati? Mi si permetta poi un ulteriore considerazione, al limite della provocazione. Il momento in cui è consigliabile smettere di parlare di Green Economy per cominciare a fare la Green Economy potrebbe arrivare prima di quanto pensiamo: è notizia di qualche giorno fa l’annuncio della costruzione da parte di SunEdison (il maggior operatore nordamericano nel settore) del più grande parco fotovoltaico d’Europa nella provincia di Rovigo, a pochi chilometri da qui, con un impatto occupazione diretto di 350 unità.
L’esempio della Green Economy, ovviamente, è solo indicativo; analogo ragionamento potrebbe essere fatto, ad esempio, per le aree di intervento dei Tecnopoli, di prossima attivazione (edilizia e costruzioni, ambiente, meccanica avanzata, scienze della vita). Se vogliamo che tali eccellenze nella ricerca applicata di derivazione universitaria – per cui la nostra Provincia è già all’avanguardia – si tramutino in veri e propri settori produttivi, occorre - tra le mille altre cose – orientare il sistema della riqualificazione professionali in modo conseguente.
C’è bisogno di un sistema moderno, rapido e snello in grado di intervenire da subito sui lavoratori anche in cassa integrazione per colmare i gap tra settori (presenti o futuri) in eccesso di domanda di lavoro e quelli in eccesso di offerta; tra questi ultimi, sicuramente la meccanica tradizionale, per cui è oggettivamente difficile motivare la chiamata di ulteriori bandi per attività formative.
In altre parole, e in conclusione di questo argomento, la ricetta generale non è difforme da quanto servirebbe in tutte le dimensioni dello spazio pubblico: le risorse non devono essere distribuite né a pioggia, né per finalità diverse da quelle del perseguimento dell’efficienza complessiva del sistema. Devono essere concentrate nei settori strategici, laddove sono più utili, e laddove producono gli effetti più coerenti con il progetto di sviluppo che una classe dirigente diffusa responsabile deve avere per il proprio territorio.

La seconda dimensione su cui vogliamo concentrare, in particolare, la riflessione odierna attiene al sistema imprenditoriale locale. Anche qui vi è una constatazione da cui partire: le realtà imprenditoriali di medie dimensioni sono le uniche che hanno retto la terribile onda d’urto della crisi; e, allargando l’orizzonte, dall’inizio del fenomeno della globalizzazione sono le realtà con le migliori performances rispetto non solo alla piccola ma anche alla grande impresa. La recentissima indagine di Unioncamere e Mediobanca dimostra che nel biennio della crisi (2008-2009) le medie imprese industriali (quelle cioè che hanno tra i 50 e i 499 dipendenti, e un fatturato tra i 13 e i 290 milioni di euro) hanno perso sia in termini di fatturato che in termini di margini considerevolmente meno rispetto alle altre realtà imprenditoriali (il 10% di fatturato contro una media del 40%, e un terzo dei margini contro una media superiore al 50%). Se guardiamo invece al periodo 1998-2007, per cogliere le dinamiche di lungo periodo, vediamo che le medie imprese vincono il confronto ovviamente con le piccole, ma anche con le grandi in termini di crescita del fatturato, del valore aggiunto, dei margini, degli investimenti, delle esportazioni, dell’occupazione e – sorprendentemente – in termini di solidità patrimoniale. Il confronto sulla redditività è più controverso unicamente perché le medie imprese sono in assoluto quelle più penalizzate dalla tassazione (un incredibile +22,6% in più di pressione fiscale rispetto alle grandi imprese), il che ci porterebbe ad aprire un proficuo dibattito sulla gestione della tassazione e della politica fiscale in questo paese. I dati confermano che sono le medie imprese ad avere la situazione patrimoniale migliore e più sana (sono le uniche che rispettano la regola aurea secondo cui i debiti servono a finanziare il capitale circolante, mentre gli investimenti sono in gran parte coperti dal patrimonio), e sono quelle in grado di posizionarsi maggiormente e più velocemente sul sentiero di offerta a più alto valore aggiunto. Vale a dire, se si vuole usare una parola brutta ma a mio avviso assolutamente cruciale per orientarsi nel dibattito – a volte confuso – in materia di politica industriale, sono le aziende che meglio riescono nel processo di terziarizzazione del manifatturiero di cui il nostro paese – e la nostra provincia – ha bisogno. Affermare infatti, come abbiamo fatto noi stessi all’inizio di questa relazione, che il contesto internazionale richiede il progressivo abbandono delle produzioni tradizionali e l’innesto di produzioni ad alto valore aggiunto non significa che domani mattina dobbiamo chiudere le nostre attuali realtà imprenditoriali e far diventare tutti produttori di biotecnologie molecolari spaziali. Questa è una caricatura che è utile solo a chi affronta tematiche di questo tipo in maniera superficiale e approssimativa. Si tratta di preservare l’enorme patrimonio della manifattura italiana, ma innervarlo di caratteristiche che sono più affini ai servizi, che non al tradizionale comparto industriale: qualità, branding, tecnologie, presenza sui mercati, espansione commerciale all’estero, fino alla decisa virata verso la vera e propria fornitura di servizi. Da qui, allora, la brutta parola: terziarizzazione del manifatturiero. I dati però ci dicono che solo le imprese con solidità patrimoniale, le medie imprese, stanno riuscendo a fare tutto ciò da quando – una quindicina di anni fa – noi tutti abbiamo iniziato a dirlo, e solo loro sono riuscite a tenere la testa fuori dall’acqua durante lo tsunami della crisi.
Se questa premessa è condivisa, allora l’orientamento non può che essere quello di indirizzare il sistema socio-economico verso l’irrobustimento della dimensione media delle realtà produttive. Non può sfuggire che questa considerazione è ancora più difficile all’interno di un sistema territoriale, come quello ferrarese, che storicamente sconta la mancanza di un vero e proprio sistema di piccole imprese caratterizzato da una certa solidità. Oltre ad un peso consistente dell’agricoltura, e a poche realtà di grandi dimensioni di proprietà spesso estera, il nostro panorama industriale è completato da una moltitudine di realtà micro-imprenditoriali o piccolissime operanti perlopiù in settori tradizionali. Alcuni comparti, come quello della subfornitura meccanica, sono stati letteralmente travolti dalla crisi. Questo vuol dire che nel ferrarese muovere il sistema verso il passo successivo, vale a dire il consolidamento del sistema dalla piccola ma solida dimensione a quella media è ancora più difficile. Oppure, in uno slancio di ottimismo, vuole semplicemente dire che le potenzialità di un percorso coordinato e di ampio respiro sono forse maggiori, perché si può iniziare un percorso senza eccessivi condizionamenti derivanti dalla retorica del “piccolo è bello” che, per tornare al filo conduttore di questa relazione, andava bene, benissimo prima della tempesta, ma non più ora.
Quello di cui stiamo parlando, dunque, è l’avvio di una strategia per elevare la dimensione media d’impresa nel nostro territorio. Una strategia che può comporsi di due step: il primo, viste le considerazioni precedenti sulla peculiarità del nostro territorio, non può che partire dallo sviluppo e consolidamento delle reti d’impresa, per mettere in contatto le realtà atomistiche che compongono il nostro tessuto industriale. Su questo punto non dirò altro, poiché una delle associazioni che abbiamo coinvolto nell’organizzazione di quest’iniziativa è attualmente impegnata (anche a livello regionale) in tale riflessione, quindi il suo direttore sarà in grado di portare un contributo indubbiamente migliore del mio. Il passo successivo, ma contestuale, si incentra sull’afflusso di capitale fresco nel nostro sistema industriale. A questo riguardo, vi sono in particolare due fronti da approfondire: il primo, forse più importante, è il ruolo che intende giocare la principale istituzione creditizia locale. Si tratta di un ruolo, se le considerazioni inerenti la “nuova stagione” devono essere propriamente interpretate anche in questo ambito, potenzialmente decisivo. Il secondo riguarda l’utilizzo di opportunità esterne al sistema ferrarese. Parliamo, essenzialmente, dello sfruttamento dei primi esperimenti di private equity (una realtà che esiste da decenni nel mondo anglosassone). Su base nazionale, dopo una gestazione di qualche mese che come Partito Democratico di Ferrara abbiamo seguito passo dopo passo proprio per la potenziale grande significatività dello strumento, l’altro ieri è stato ufficialmente costituito il Fondo Italiano d’Investimento (un miliardo di euro di dotazione iniziale, che diventeranno tre) mirato al rafforzamento patrimoniale e all’aggregazione delle piccole e medie imprese per vincere la sfida della crescita dimensionale. Il target è rappresentato dalle imprese con fatturato compreso tra i 10 e i 100 milioni di imprese (più o meno 15.000). E’ un bacino troppo ristretto. Nonostante la fase attuativa non inizierà prima dell’autunno, chiediamo da subito ai nostri parlamentari di intervenire (il fondo è partecipato dal Ministero del Tesoro in quanto il patrimonio iniziale proviene dalla Cassa Depositi e Prestiti) di attivarsi affinchè alle piccole e piccolissime imprese sia garantita la possibilità di candidarsi all’utilizzo di tale strumento. Ma esistono anche opportunità su base regionale. Qualche giorno fa è stato presentato un altro fondo di private equity, Npv Capital Partners, con una dotazione di 100 milioni di euro, rivolto alle piccole imprese emiliano-romagnole con buone prospettive di crescita ma troppo deboli dal punto di vista della dimensione e della capitalizzazione. Si tratta di un fondo molto piccolo, ma la strada non può che essere questa: la metà delle imprese emiliano-romagnole aventi un fatturato inferiore ai 5 milioni di euro (il 43,3% del sistema produttivo regionale) ha un patrimonio netto inferiore ai 15 mila euro. Solo il 5% del totale ha un patrimonio superiore al milione di euro. Si tratta di dati terrificanti. Ancora una volta, fotografano un contesto assolutamente adatto per il mondo che abbiamo alle spalle (prova ne sia il fatto che la nostra Regione è una delle più sviluppate nel continente europeo), ma che ora necessita di un forte intervento per essere competitivo nel nuovo mondo già iniziato.

In conclusione, il Partito Democratico di Ferrara ha ritenuto opportuno avviare una fase di riflessione mirata all’individuazione di quei tre-quattro fronti su cui è utile agire e su cui è possibile agire a livello locale. Non abbiamo scelto questa tempistica a caso. Siamo partiti qualche giorno prima del voto regionale, correndo tutti i rischi del caso, per sottolineare che solo il Partito Democratico in questa regione e in questa città ha il respiro e il passo giusto per candidarsi a gestire questa fase e quelle successive; una forza che deriva dalla solidità e dalla sicurezza del passato, e dal potenziale di idee, di dinamismo e di prospettive per il futuro. Ma vogliamo proseguire anche dopo il voto. Dapprima con un appuntamento interamente dedicato a quale assetto debba scegliere il territorio ferrarese in relazione ai gestori dei servizi pubblici locali, e successivamente con una riflessione su agricoltura, turismo e servizi. Dopo l’estate, inizierà un periodo di relativa calma elettorale (fatto salvo l’importante appuntamento rappresentato dal rinnovo di undici amministrazioni comunali nel territorio ferrarese), privo cioè di ansie e scadenze immediate che spesso tolgono respiro e prospettiva ai ragionamenti politici. Quei tre anni, speriamo non servano tutti, saranno la grande occasione per poter affrontare con tutta la serenità del caso un ragionamento serio sulle prospettive di sviluppo di questo territorio.


Durante le riunioni per la preparazione di quest’iniziativa, nell’analisi delle criticità attuali ne è emersa più volte quella che viene ritenuta probabilmente quella più importante: la tendenza da parte dei vari soggetti che compongono il panorama socio-economico a perpetuare comportamenti (e dinamiche) prettamente autoreferenziali, nel tentativo di preservare i propri posizionamenti relativi senza un disegno comune in grado di coordinare le dinamiche dei singoli gruppi. Spesso si faceva riferimento all’espressione “ognuno pensa soprattutto al proprio recinto”. Ad un certo punto un dirigente del PD ha innovato la metafora, sottolineando il concetto fondamentale con cui vogliamo chiudere. “Non sono sbagliati i recinti, né tantomeno la loro salvaguardia; l’importante è trovare dei luoghi dove possiamo pascolare insieme”. Qui sta il messaggio fondamentale che il Partito Democratico di Ferrara intende lanciare con questo appuntamento e con quelli che ne seguiranno, che non intendono certamente candidarsi ad essere l’unico terreno comune di pascolo, ma sicuramente uno di quelli. Servono infatti luoghi dove si possa immaginare una strategia di sviluppo multidimensionale, coerente e fatta di atti molto concreti, e in cui ognuno faccia la propria parte. Occorre comprendere che la stessa salvaguardia del proprio recinto è in pericolo se non si comincia a ragionare così; non basterà starne a guardia, non basterà fortificarlo: si rischia di essere travolti lo stesso. Poche ore fa, al telegiornale, guardavo i parlamentari del Partito Democratico americano festeggiare l’approvazione della storia riforma della sanità, scandendo in coro il celebre slogan “Yes we can” nell’emiciclo del congresso Usa. Guardando quelle immagini, non ho potuto evitare di pensare al coraggio politico dimostrato dal Presidente Obama. Due mesi fa ha rimediato una pesantissima batosta elettorale nella roccaforte democratica dello stato del Massachussets, perdendo il seggio elettorale che era stato di Ted Kennedy. In quel momento egli stava maneggiando una riforma di portata storica, osteggiata da potentissime lobby, gruppi di pressione, cittadini e persino nel suo stesso partito. Come si sarebbe comportato in quel frangente un politico italiano? Molto probabilmente si sarebbe fermato, in nome della sempre invocata cautela politica, e in nome della massimizzazione del consenso di breve, brevissimo periodo. Barack Obama invece è andato avanti, perché era convinto della intrinseca bontà di questa riforma e dei benefici di lungo periodo che avrebbe portato al popolo americano; ha scelto di correre il rischio, mettendo sull’altro piatto della bilancia l’orgoglio che deve aver provato nel rivolgersi ai suoi cittadini, una volta approvata la storica riforma, e dir loro che l’America è ancora capace di fare grandi cose. E’ questo il coraggio politico di cui abbiamo bisogno.
Qualcuno, probabilmente nostalgico di vecchie dinamiche, obietterà che si tratta di speculazioni intellettuali di qualche teorico, e che invece bisogna guardare al senso pratico di un mondo che ha sempre funzionato così e sempre così funzionerà. Mi si consenta allora, visto che ho aperto con una citazione di Keynes, di chiudere con la frase con cui il grande economista britannico chiuse il suo capolavoro, la “Teoria Generale” del 1936: “Gli uomini pratici, che si credono liberi da qualsiasi influenza intellettuale, di solito sono schiavi di qualche economista defunto”. Il rischio che corriamo, se non riconosciamo l’esigenza di un cambio di passo, è ritrovarsi schiavi di un intero sistema che è defunto senza che neanche noi ce ne accorgessimo.




29/03/10

Transforming Cultures

Domani 30 marzo presso l'aula magna della Facoltà di Sociologia della Sapienza di Roma, Gianfranco Bologna, curatore dell'edizione italiana, presenta il nuvo rapporto del Worldwatch Institute: State of the world 2010. Le culture della sostenibilità.
Partecipano: Erik Assadourian (Worldwatch Institute, curatore del rapporto State of the World 2010); Marco Moro (Edizioni Ambiente); Gianfranco Bologna (Direttore Scientifico di WWF Italia, curatore dell'edizione italiana di SOW2010); Domenico De Masi (Ordinario di Sociologia del Lavoro presso la Facoltà di Sociologia dell'Università di Roma La Sapienza); Enrico Giovannini (Presidente ISTAT).
Il rapporto annuale del Worldwatch Institute sulla salute del pianeta, chiamato quest'anno “Dal consumismo alla sostenibilità”: per dare un futuro alla Terra è necessario abbandonare il nostro stile di vita basato sul sovraconsumo che sta velocemente esaurendo le risorse del pianeta.
Come recita il sottotitolo, il rapporto contiene anche una serie di consigli e buoni esempi per compiere la necessaria transizione “dal consumismo alla sostenibilità”.
Per l'Italia vengono citati, fra gli esempi da seguire, i Piedibus, sistema organizzato in cui un gruppo di genitori volontari accompagna i bambini a scuola a piedi, e le mense delle scuole , che sempre più prediligono menù biologici e a basso chilometraggio. In generale sono riportate un gran numero di buone pratiche sperimentate in varie parti del mondo perche sappiamo che le soluzioni non mancano.

26/03/10

Ci impegniamo per l'Acqua pubblica: la posizione del PD


L’acqua è un bene comune dell’umanità, un bene essenziale e insostituibile per la vita. L’acqua non può che essere un bene pubblico e deve essere garantita a tutti nel rispetto dei vincoli ambientali e al massimo livello di qualità, secondo principi di equità e solidarietà e con criteri di sostenibilità per preservarne la qualità e la disponibilità per le future generazioni.
Dunque non solo l’acqua è necessariamente un bene pubblico ma anche le infrastrutture del servizio idrico, e quindi acquedotti, depuratori e fognature, sono necessariamente beni pubblici, da gestire con criteri di efficienza ed economicità secondo logiche industriali in grado di assicurare costi sostenibili e qualità del servizio.


L’acqua è un bene scarso e va preservata attraverso la cura del territorio, la manutenzione dei bacini idrografici, la tutela dei corpi idrici e delle aree di salvaguardia. L’acqua è un bene fisicamente limitato e come tale va prelevata e gestita secondo criteri efficienti, in particolare assicurando la migliore manutenzione delle reti di distribuzione, combattendo ogni forma di spreco e governando l’uso della risorsa e la sua assegnazione per i diversi usi, potabili, agricoli e industriali, garantendo l’obiettivo della sostenibilità attraverso incentivi al risparmio idrico e il rispetto di standard di qualità.

La tutela delle acque, l’accessibilità per tutti, un uso razionale della risorsa che operi dal lato dell’offerta e non si limiti a rincorrere la domanda, l’equità delle tariffe e la massima qualità ed efficienza del servizio sono per il Partito democratico obiettivi irrinunciabili.

Altrettanto irrinunciabile è l’obiettivo della copertura totale del servizio di depurazione sull’intero territorio nazionale e più in generale l’obiettivo di una gestione sostenibile della risorsa acqua, con la riduzione quindi di dispersioni, sprechi e usi inappropriati.

Per raggiungere questi obiettivi occorre darsi gli strumenti adeguati.
Innanzitutto una gestione industriale del servizio idrico integrato ed i consorzi tra gli enti locali per realizzare economie di scala, assicurare qualità omogenea e controllabile dei servizi, garantire sicurezza degli approvvigionamenti idrici ed efficienza nella depurazione; un quadro normativo chiaro e stabile che metta fine alla continua incertezza prodotta dai ripetuti interventi del centrodestra; una forte regolazione pubblica, attuata da una authority nazionale di cui siano compartecipi Stato e regioni, che consenta di definire standard, monitorare i risultati, applicare eventuali sanzioni e quindi incentivi qualità, efficienza e risparmio per migliorare il servizio e garantire al tempo stesso equità e uso sostenibile della risorsa acqua.
Il Partito Democratico si è opposto alle norme che il governo ha fatto approvare attraverso l’ennesimo voto di fiducia e che spingono di fatto verso una privatizzazione forzata, portando al rischio di monopoli privati nelle mani di poche grandi aziende spesso del tutto estranee ai contesti territoriali in cui viene svolto il servizio; norme presentate sotto il titolo di obblighi comunitari quando in realtà non c’è alcun atto comunitario o sentenza europea che imponga di forzare l’ingresso dei privati nel servizio idrico integrato.

La gestione del servizio idrico integrato, la tutela della risorsa acqua, la garanzia di accessibilità e massima qualità sono temi così rilevanti da meritare un approccio complessivo e articolato che torni ad un disegno riformatore coerente e riparta dall’ispirazione positiva della legge Galli, ancora non del tutto attuata a distanza di sedici anni, riconosca e valorizzi il ruolo fondamentale degli enti locali nelle scelte di affidamento del servizio, porti alla realizzazione degli investimenti necessari per migliorare il servizio idrico integrato, stimati in almeno 60 miliardi di euro e nella necessità di garantire la depurazione anche al 34% di popolazione non ancora servita, con un impegno aggiuntivo per garantire lo stesso livello di servizio in ogni area del paese.

23/03/10

L'intervento sullo sport del consigliere Tosi in Consiglio Comunale a Ferrara


Io ed il Consigliere Braghiroli, nel fare questo Ordine del Giorno, abbiamo preso spunto da una recente mozione presentata alla Camera dal PD rendendola adeguata alla nostra realtà locale. In questo momento di profonda crisi economica ci è sembrato opportuno che non si scordasse e non si perdesse di vista l’importanza per la nostra comunità, proprio valutando tutto ciò che concorre a stilare un bilancio sociale, dell’attività sportiva in generale e di quella giovanile in particolare.



Sono un neofita della politica ma mi sono sempre comunque relazionato in vari ambiti con l’Assessorato allo Sport per tanti anni. Da che ho memoria mi sento di poter affermare, senza timore di essere smentito, che sia diventato una sorta di luogo comune identificare i tagli al bilancio con questo settore. I motivi di queste scelte principalmente sono due. Il primo, come ricordavo quando sono intervenuto sulla previsione del bilancio, è che in presenza di “sforbiciate” vere e proprie sulle entrate, per motivi conosciuti che non sto a rinvangare, non si può comunque derogare dall’investire su settori nevralgici e strategici per la nostra comunità (che fortunatamente a Ferrara riusciamo ancora oggi a mantenere a livelli di eccellenza). Il secondo invece, non so se consapevolmente o inconsciamente, è perché chi amministra sa che tutto sommato c’è tutto un mondo di volontariato che, supplendo alle carenze istituzionali, riesce a dare risposte quasi sempre adeguate alla popolazione sportiva giovanile. Questo volontariato, formato principalmente da centinaia di Associazioni Sportive Dilettantistiche e Associazioni di Promozione Sportiva e Sociale, si prende carico quasi totalmente di questo settore così importante per le nostre generazioni future. Lo fa però sempre con meno strumenti e con meno risorse economiche che ne possano permettere la sopravvivenza.

Non vado fuori tema se torno nuovamente sull’argomento salute e benessere dei cittadini. E’ di questi giorni l’enorme risalto dato dai media alla campagna promossa negli U.S.A. da Michelle Obama che vede lo stanziamento di 1 miliardo di dollari all’anno per il progetto “Let’s Move” contro l’obesità infantile. Così come non posso evitare di ricordare e dare importanza al fatto che per la prima volta il trand positivo che ha visto aumentare l’età media di 10 anni in poco più di 50 anni, a detta degli studiosi del settore, si sta invertendo cosicchè i nostri nipoti avranno un’aspettativa di vita inferiore ai loro padri!

Salute e benessere dei nostri giovani sono assolutamente imprescindibili da una sana attività ludico/sportiva, che a sua volta si sposa facilmente con una corretta alimentazione. E’ un meccanismo virtuoso che, andando ad incidere sugli stili di vita, modifica un modello culturale portando benefici enormi in termini sociali e sanitari.

Apro una piccola parentesi: proprio a Ferrara, quanto asserisco, ha trovato conferma. E' stato compiuto uno studio dal Dott. Gianni Mazzoni e la sua equipe su dei dati raccolti con dei questionari somministrati a tutti i bambini della scuola primaria che hanno avuto la fortuna di aderire al Progetto Scuola del Coni (progetto che ricordo iniziò per volere del prof. Conconi nel 1996 in tutti i Comuni della nostra Provincia e che ora sta subendo una flessione proprio per la mancanza di risorse). Ebbene questi bambini sono risultati essere in controtendenza nei valori percentuali circa i dati nazionali che abbiamo sull'obesità infantile. Questo dato oggettivo spero faccia riflettere tutti quanti.

Tornando a noi e a quanto concretamente si può fare da subito per andare verso quanto richiamato come impegno nell’ODG:

 sostenere le nostre associazioni significa dare sostegno all’attività sportiva, significa perciò dare maggiori garanzie ad uno di quei canali, spesso l’unico, che i nostri giovani possono utilizzare per fare sport. Significa, per le Istituzioni, dare la giusta attenzione alla salute ed al benessere dei propri cittadini.
Pare inevitabile quindi sostenere con forza il tessuto sportivo che tanto ha fatto sino ad ora e che tanto sta continuando a fare pur risentendo degli effetti della crisi economica.

In questo contesto non va dimenticata l'opera meritoria di grande sostegno che Carife ha sempre dato allo sport locale. Sarebbe ovviamente auspicabile che Carife mantenesse questo impegno affinchè non sia proprio lo sport a pagare le conseguenze del momento di crisi. Come ricordavo in premessa se si mettono in ginocchio le nostre Associazioni ci sarebbe di riflesso un riscontro molto negativo nel bilancio sociale di tutta la nostra comunità.

Un sostegno fondamentale per l'attività di queste Associazioni è rappresentato dall'impiantistica. Impianto non inteso solo come luogo dove svolgere l'attività sportiva ma anche come luogo di ritrovo, di riferimento dove nascono sinergie importanti che danno linfa vitale alle Società. Ecco perciò che l'Amministrazione Comunale, tramite oculate convenzioni di gestione degli impianti, può rivestire un ruolo determinante nel sostegno all'attività. Penso tutti sappiate che l'impiantistica sportiva in generale abbisogna da tempo di notevoli interventi di manutenzione ordinaria. Senza una puntuale e tempistica manutenzione ai servizi, agli infissi, alle pareti, alle attrezzature, …...... gli impianti diventano poco fruibili e meno ospitali e allo stesso tempo l'Amministrazione si vede depauperare il suo patrimonio immobiliare. E' ben noto che in questo tipo di associazionismo i Dirigenti, i genitori, gli atleti stessi mettono a disposizione le loro professionalità a servizio della propria società: una convenzione tra Comune e Società, che preveda questi interventi, alla lunga non diventerebbe un costo ma un investimento. Allo stesso tempo andrebbe valutato, laddove ve ne fosse la possibilità, di mettere a disposizione spazi adeguati per far si che gli impianti possano diventare anche la sede sociale come luogo di ritrovo dei giovani associati e dei loro genitori (mentre i figli svolgono attività ludico/sportiva). Va detto che il Comune già opera in questa direzione ma l'idea, che sta nella mia proposta, è quella di diventare propositivi ricercando quegli spazi e quelle società dove si opera con i giovani per valutare tutte le soluzioni possibili anziché evadere solo le richieste che pervengono all'ufficio. Ovviamente poi questa attività andrebbe monitorata anche andando a rivedere le convenzioni già in essere.

 Voglio toccare un altro argomento sconosciuto ai più e che io invece conosco bene. Lo Sport per i disabili rappresenta uno strumento di integrazione impareggiabile, a volte unico, in ogni caso indispensabile soprattutto quando riguarda i giovani. Anche in questo caso accade molto spesso che venga lasciato all’Associazionismo, seppur senza grandi mezzi e risorse, il compiere dei veri e propri miracoli di integrazione e di miglioramento della qualità della vita delle persone più sfortunate. E’ un settore che non può essere dimenticato come invece spesso succede.

 Per i meno giovani Ferrara ha la fortuna di avere due ambienti, mura e parco urbano, che di per sé sono già un toccasana importante. Si tratta di rendere questi luoghi di sport all’aperto ancor più gradevoli, disponibili ed accattivanti per avvicinare quanti più cittadini possibili all’attività motoria. Ecco che inserire degli attrezzi semplici e facilmente utilizzabili per integrare e completare la passeggiata e/o la corsa certamente sarebbe un incentivo alla pratica sportiva. Il “percorso salute” diventerebbe così un valore aggiunto per le Mura ed il Parco Urbano che, come detto, rappresentano già un fiore all’occhiello per la nostra città.

 Come ultimo punto ribadisco, come ho già fatto in passato, la necessità di valorizzare e dare visibilità allo Sport rendendo Ferrara una città dai connotati sportivi. Per far questo basterebbe mettere in risalto una zona, quella Nord, che già di per sé può essere definita “La Città dello Sport”. In quella parte della città infatti sono collocati innumerevoli impianti che con una adeguata cartellonistica connoterebbero una maggiore attenzione per lo Sport stimolandone la partecipazione. Ricordo brevemente tutti gli impianti insediati in quella zona: il motovelodromo (dove tra l’altro è situato anche il nuovo Centro di Medicina dello Sport), il Pattinodromo, il Centro ex Dipendenti Comunali, il Campo Scuola, il Palazzo delle Palestre (che è del Coni), il Centro Sportivo Kleb (privato), i Tre Campi di via Canapa, le Mura, il Parco Urbano, le Piscine, il Centro Universitario Sportivo (privato).
L'accesso a questa zona avviene principalmente da tre assi viari: via Canapa da via Padova, Porta Catena da Viale Po e dalla rotonda di San Giovanni. Posizionare su questi incroci cartelli stradali indicatori con tutta la nomenclatura di questi impianti sotto alla dicitura “La città dello Sport” sarebbe una grande pubblicità sia per Ferrara che per lo Sport. Vicino ad ogni impianto poi le indicazioni specifiche ed una cartina che evidenzia dove è posizionato quell'impianto rispetto a tutti gli altri anch'essi riportati sulla cartina stessa.

19/03/10

Bersani attacca la Lega: spariti 180 milioni per il Po


Per il Po serve un'autorità unica, ha detto il segretario del Pd. Con i milioni spariti chissà quante ampolle avrebbe potuto comprare il Carroccio, ha ironizzato.

di Sandro Mortari
Subito un'autorità unica per difendere il Po e farlo diventare uno straordinario motore di sviluppo per il paese. A chiederlo è il Pd con il convegno organizzato ieri al Bibiena, a cui ha partecipato il segretario nazionale Pierluigi Bersani. Che ha attaccato la Lega nord.

«Il Governo, e quindi anche il Carroccio - ha detto -, ha fatto sparire i 180 milioni di euro inizialmente stanziati per il progetto valle del fiume Po e che avrebbero dovuto servire sia per interventi integrati di salvaguardia, sia per affrontare il problema della governace»; «chissà quante ampolle si comprano con quei soldi» si è chiesto ironicamente Bersani riferendosi al rito leghista di prelevare le acque del grande fiume dalla sorgente del Monviso per versarle nel mare Adriatico.

«Vogliamo un'autorità di distretto» ha proseguito, concetto illustrato poi dal presidente dell'Emilia Romagna Errani («Il Po, purtroppo, è stato appaltato alla Lega»), dal presidente della Provincia di Parma Bernazzoli e dal candidato governatore lombardo per il Pd, Penati («ciò che è successo nel Lambro è frutto del mancato coordinamento tra regioni»). La proposta dei democratici per un'autorità unica va contro l'idea leghista di bacinizzazione del Po che «fa gli interessi solo dei produttori di energia elettrica» ha sottolineato il deputato Bratti.

Per il Pd serve un'autorità di distretto con tutte le competenze ora sparse tra tanti enti, ma per far questo è necessario un patto tra Regioni e Stato; «regioni - ha puntualizzato Errani - che non sono solo le quattro rivierasche ma le otto del bacino padano: il problema, dunque, è nazionale, e le regioni devono dare il loro contributo per risolverlo». D'accordo con la proposta del Pd si sono dichiarati i rappresentanti delle organizzazioni agricole, di Legambiente Lombardia e dei sindacati confederali. Bersani ha poi concluso attaccando ancora la Lega: «La smetta di trasferire i problemi in ideologia e risolva il problema del Po; riprenda l'idea di territorio e la smetta di colorare tutto di verde».

Ricordando le tradizioni di operosità e solidarietà che si sono irradiate dalle terre bagnate dal Grande fiume, il leader del Pd ha affermato che «qui c'è l'Italia e non la Padania». E ha chiuso con un accenno a Prodi: «Non so voi, ma io non dimentico che lui partì proprio da Cremona parlando dei temi legati al Po».

Le proposte del PD per il Po: ieri il convegno con Bersani a Mantova


Il Po interessa otto regioni e ne attraversa direttamente quattro con un bacino di più di 70.000 chilometri quadrati, dove vive un quarto della popolazione italiana. Qui si trova più della metà del patrimonio zootecnico italiano e l’agricoltura intensiva riguarda circa la metà della superficie totale; inoltre nell’area si svolge quasi il 40% dell’attività industriale con un consumo energetico pari a circa la metà di quello nazionale ed il 47% dei posti di lavoro. La Valle Padana produce circa il 40% di CO2 equivalente, con un consumo energetico pari al 48 % di quello nazionale, un forte prelievo idrico dalle falde, una qualità dell’aria tra le più critiche in Europa ed un rischio idrogeologico molto elevato. Ben 3210 comuni sono presenti in quest’area, circa 16 milioni di abitanti, 1478 abitanti per kmq. Negli ultimi anni il regime idrologico è stato seriamente messo a dura prova sia dai cambiamenti climatici che dallo sfruttamento eccessivo da parte dell’uomo I cambiamenti climatici si fanno sentire significativamente: Temperature medie, minime e massime tutte in deciso aumento, di più in primavera e estate, precipitazione totale in lieve diminuzione, ma “tropicalizzazione” dei regimi di pioggia.Diminuzione delle portate medie Ghiacciai alpini in decisa diminuzione, sia per l’aumento della temperatura che per la diminuzione della precipitazione, risalita del cuneo salino, soprattutto nel periodo estivo (oltre 30.000 kmq interessati nel delta) Per quanto riguarda i prelievi idrici, questi sono prevalentemente per uso irriguo (circa 3 volte i prelievi ad uso industriale e 10 volte per quelli ad uso potabile) sia per acque superficiali che sotterranee. La portata media annuale 1470 m3/s è più bassa della quantità richiesta per prelievi 1870 m3/s. Quindi il combinato disposto di una diminuzione degli afflussi dovuti alla situazione climatica, il periodo annuale di minori portate, la forte richiesta ad uso irriguo e la regolazione dei serbatoi artificiali e naturali determina una situazione di crisi idrologica che negli ultimi anni è diventata particolarmente insostenibile.



Lo sfruttamento delle acque superficiali per la produzione di energia elettrica è presente in misura rilevante in molte parti del bacino idrografico e, pur non comportando un “consumo” della risorsa o un degrado delle caratteristiche di qualità, produce un impatto significativo sul regime idrologico dei deflussi, soprattutto in relazione agli effetti dei serbatoi di regolazione.
Anche la qualità delle acque superficiali risente del regime quantitativo: calo delle portate minor capacità depurativa, scadimento della qualità .
Le acque sotterranee ai piedi della dorsale appenninica presentano valori qualitativi scarsi con una forte presenza di nitrati


Effetto sull’Adriatico dell’inquinamento: emerge la necessità di intervenire ancora su una certa quota di fosforo ed agire sull'altro elemento scatenante, l'azoto. Si ricordo a tal riguardo che il nostro Paese è stato condannato a più riprese dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea per non aver rispettato gli obblighi comunitari in materia di protezione degli acquiferi dall'inquinamento da nitrati. I nitrati costituiscono, oltre che ad una serio problema per la salubrità dell'Adriatico, una reale minacce verso gli usi idropotabili delle acque di falda e di superficie
Un altro tema che l’incidente recente del lambro ha riportato all’attenzione riguarda la presenza di numerose realtà industriali che si affacciano sul Po, parecchie di queste classificate come industrie a rischio chimico rilevante e quindi che necessitano di un’attenzione particolare.(il caso Lambro è paradigmatico)
Gli impianti ad alto rischio Ex art 6-7 e ex art 8 Dlgs 334/99 sono per le 4 regioni principali 565 e costituiscono il 50% di tutti gli impianti di questo tipo in Italia (Piemonte 103, Lombardia 265 Emilia-Romagna 102, Veneto 95)
Il tema quindi di un governo unitario dell’intero Bacino si pone in maniera cogente e probabilmente non solo per quanto riguarda il regime idrico

La Direttiva europea sulle acque, 2000/60 CE, ha rappresentato una svolta evidenziando il tema della qualità dei corpi idrici, il tema della conservazione, partecipazione dei cittadini e la nascita del distretto idrografico come strumento di governo unitario dei fiumi.
Ci sono molti attori, pubblici e privati, che operano sul Po e tutti hanno una loro peculiare finalità. Il distretto idrografico si configura come un unicum per il fiume e i suoi affluenti, dalla sorgente alla foce, rispetto agli usi idropotabili, irrigui, energetici, industriali. La visione unitaria e la governance condivisa può stare solo in un soggetto che oggi è l’Autorità di bacino e domani sarà l’Autorità di distretto, sede di leale collaborazione tra Stato e Regioni. Il ritardo del governo italiano nell’applicazione della direttiva e nella nascita dei distretti pesa nelle difficoltà di gestione delle politiche ambientali sul bacino padano e su tutto il territorio nazionale.

Oggi ci sono due programmi che sono un valido esempio di gestione integrata del Bacino del Po che come PD abbiamo fortemente appoggiato :Il progetto “Valle del fiume Po”, con uno stanziamento iniziale di 180 milioni per interventi sulla sicurezza, la valorizzazione naturalistica e turistico -ambientale del fiume, che rappresentano un importante contributo in una stagione di crisi economica; il “programma dei sedimenti”, un progetto che prevede un’escavazione “intelligente” delle aree golenali per restituire naturalità, capacità d’invaso e di trasporto solido, regolarità ai fondali del fiume.

Siamo invece molto preoccupati della proposta fortemente caldeggiata dalla Lega riguardo il progetto di bacinizzazione, che oggi è ritornato fortemente alla ribalta, si sviluppa su un solo tratto del fiume e con la spinta economica prevalente degli interessi degli operatori energetici. Chi si occupa da anni dei temi della navigazione, sa bene che il suo mancato decollo non deriva tanto dalle portate del fiume, ma dalla mancanza di sostegni agli operatori, dalle rotture di carico e dai difficili collegamenti coi porti marittimi.
E’ indubbio che tali progetti possono offrire riserve idriche utili in particolare per la produzione di energia idroelettrica: le prime stime parlano di del 3% della produzione nazionale, il che può concorrere all’auto-sostenibilità economica dell’intervento, ma può condizionare le stesse priorità di utilizzo.
Rimangono diverse criticità che non possono essere trascurate: le dinamiche del trasporto dei sedimenti, l’effetto sull’erosione costiera, il maggior accumulo di inquinanti nel corso del fiume, la risalita del cuneo salino fino alla congruità con le altre progettazioni in atto da parte dell’Autorità di Bacino.
La nostra priorità invece è in una visione unitaria di tutto il bacino del fiume, nella cura del territorio, nella forestazione e nella manutenzione delle aree golenali, una condizione che può valorizzare il fiume migliorare anche le condizioni di navigabilità e la stessa produzione di energia idroelettrica. Esempi concreti di buona gestione e di ottimo governo della “risorsa fiume” ci arrivano dalla Germania e dalla Francia, dove Rodano, Senna, Danubio, tanto per citarne alcuni, sono diventati oggetto di veri e propri progetti di sviluppo.. Il Po rappresenta oltre un grande bene da tutelare una risorsa fondamentale per l’economia del nostro paese anche in un percorso di valorizzazione territoriale volto allo sviluppo della green economy

17/03/10

Perchè non va avanti il fotovoltaico a concentrazione ?


Il mio intervento in aula:
Signor Presidente, l'emendamento in esame ci sembra un'ottima proposta emendativa perché riporta giustizia in un po' di vicende, visto che stiamo parlando del fotovoltaico a concentrazione, signor Presidente, che è una tecnologia tutta italiana che abbassa i costi del fotovoltaico, pur aumentandone enormemente l'efficacia. In questo emendamento si chiedeva semplicemente di parificare il sistema degli incentivi del fotovoltaico tradizionale a questa tecnologia.
Voglio ricordare che vi sono imprese e importanti spin-off , ad elevato contenuto tecnico-scientifico, che da mesi e anni stanno chiedendo questa parificazione e che purtroppo - nonostante il mercato sia in espansione, per quanto riguarda le energie rinnovabili - risentono gli effetti della crisi e stanno chiudendo. Pertanto, questa nuove imprese, ricche di tecnologia - che fanno parte della cosiddetta green economy - non vogliono che il pubblico sostituisca l'impresa ma che si stabiliscano delle regole certe e chiare per poter investire, così come accade in ogni Paese normale.
Signor Presidente, nei dibattiti affermiamo sempre che dobbiamo favorire la green economy e le imprese verdi e poi, in questo caso, quando la tecnologia è tutta italiana - e tra l'altro i colleghi della Lega avevano presentato un emendamento del tutto giusto - inspiegabilmente ritiriamo l'emendamento che se ne occupa. Pertanto, chiediamo di mettere ai voti l'emendamento in esame.

11/03/10

PD: siti da bonificare...

(ANSA) - CROTONE, 10 MAR - 'L'ex stabilimento Pertusola Sud e Montedison a Crotone rappresentano uno dei tanti casi in Italia di un processo di deindustrializzazione che ha causato seri problemi ambientali e sanitari in un territorio particolarmente delicato'. Lo affermano Alessandro Bratti e Daniela Mazzuconi deputati del Pd e membri della Commissione Bicamerale sul ciclo dei rifiuti in visita in Calabria.
'La situazione - aggiungono - dei Siti di Interesse nazionale, cosiddetti Sin, destano grande preoccupazione in quanto ad oggi non vi sono necessari fondi per procedere alle bonifiche, cosi' come allo stato attuale non vi sono siti completamente bonificati. Per non parlare degli impianti ad alto rischio di incidente rilevante che ad oggi non sono ancora oggetto di una normativa completa. Questa situazione e l'attuale incidente che ha riguardato il Lambro e il Po mettono in evidenza come le realta' industriali, nel momento in cui cessano la loro attivita' costituiscono un vero e proprio pericolo ambientale. E' necessario non solo che venga applicata rigorosamente la legge, ma che si rafforzi sempre di piu' il sistema dei controlli'.
'Proprio in questi giorni - concludono Bratti e Mazzuconi - e' in discussione il regolamento dell'Istituto Superiore per Ricerca Ambientale (Ispra) struttura che ha anche compiti di controllo. Se il regolamento verra' approvato cosi' come proposto dal Governo inevitabilmente questo atto contribuira' ulteriormente ad indebolire la capacita' di controllo del sistema pubblico'. (ANSA).

04/03/10

Invito alla presentazione del mio secondo Bilancio Sociale

Come lo scorso anno ho predisposto una sorta di "bilancio sociale" per dare conto dell'attività da me svolta come Deputato nel secondo anno di legislatura.
L'ho fatto perchè come vi scrissi allora, il ruolo del Parlamentare è spesso discusso, molto criticato, ritenuto da tanti poco produttivo, ma forse da pochi è conosciuto.
Poiché credo che gli elettori vadano rispettati e che i responsabili, ai diversi livelli del Partito, siano una parte fondamentale della vita democratica di una comunità ho ritenuto di dover dare conto con trasparenza della mia attività che, come avete visto -se avete dato una occhiata al report del 2008- è fatta di tanti impegni spesso non valutabili nella loro efficacia finale.
Vi aspetto tutti sabato 6 marzo alle ore 11.45 presso il Caffè Castello, largo Castello, 1- Ferrara alla conferenza stampa nel corso della quale sarà presentato questo mio Bilancio Sociale del secondo anno di attività svolta alla Camera.
Sarà presente con il ruolo di discussant Vittorio Alvino di Openpolis associazione che promuove la trasparenza pubblica e la partecipazione delle persone al controllo delle scelte di interesse collettivo.
Non mancate!
Ciao

Sulla vicenda IGS

Qui e sotto il resoconto della richiesta presentata ieri in aula.
Signor Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori per chiedere se è possibile interessare il Governo al fine di intervenire rispetto ad una vicenda che riguarda purtroppo una delle tante cessioni di attività di azienda che è in Italia, ma che presenta alcune caratteristiche specifiche che adesso brevemente vorrei ricordare.
Mi riferisco alla IGS di Ruina in provincia di Ferrara, che produce cerchioni per auto e che oggi si trova in uno stato di liquidazione, ma mantiene una possibilità contrattuale di produrre circa 10 milioni di euro di fatturato per il 2010 e circa una produzione di 2 mila cerchioni in lega per committenti nord-europei. Questa vicenda riguarda circa 250-300 persone, che rischiano di essere immediatamente mandati a casa. È successo che, a causa di un non pagamento delle utenze, soprattutto del gas, queste sono state interrotte, ma grazie ad un intervento degli enti locali nell'arco di un paio di giorni sono state ripristinate.
Durante questi giorni è successo che il gruppo Volkswagen, che era il committente principale per circa 12 mila cerchioni all'anno per autovetture Kia, ha mandato in fabbrica a Ruina i propri tecnici per ritirare gli stampi di produzione, proprio a causa della inaffidabilità (questa è l'argomentazione posta dalla Volkswagen), e ha dato ad un suo fornitore le commesse. Ora si stanno verificando anche ovviamente delle situazioni di tensione sociale in questo paese.
Quindi, quello che le chiedo, signor Presidente, è che si possa interessare il Governo al fine di intervenire in qualche modo su questa vicenda che, purtroppo, porterà - ne siamo tutti consapevoli - alla chiusura di questa fabbrica in un prossimo futuro. Di contro, attraverso un intervento dell'Esecutivo si potrebbe giungere ad una chiusura controllata nel tempo senza che si verifichino condizioni di tensione sociale che, invece, se questo provvedimento forzato da parte della Volkswagen verrà portato avanti, potrebbero verificarsi.

03/03/10

Fiumi Lambro e Po, il PD chiede risposte certe

(DIRE) Roma, 3 mar. - "Secondo noi c'e' la necessita' di avere in tempi brevi un'unica autorita' di governo del bacino del Po che deve essere concordata con le Regioni, recuperando anche 180 milioni di euro stanziati dal governo Prodi per l'unico progetto infrastrutturale sul bacino del Po". Lo affermano in una nota i deputati Pd della commissione Ambiente della Camera.
Sul dissesto idrogeologico e sull'inquinamento del fiume Lambro e del bacino del Po, aggiungono, "ribadiamo tre cose importanti". Innanzitutto "non sono giustificati i ritardi con cui si e' proceduto per disporre gli opportuni interventi dopo la fuoriuscita di idrocarburi dalla ex raffineria della Lombarda Petroli", e in secondo luogo, domandano critici i deputati del Pd, "come mai non e' stato eseguito un controllo puntuale sull'applicazione della direttiva Seveso a cui era soggetta la Lombarda Petroli di Villasanta?". Da ultimo, concludono, "come e' possibile che ancora dopo diversi anni non e' stato realizzato un sistema di governo autorevole del bacino del Po per affrontare le complesse emergenze ambientali che interessano il bacino idrografico?".