30/10/12

Il mio intervento al network "Routes" all'Università di Ferrara


Alcune riflessioni sullo sviluppo sostenibile oggi…


Da Silent spring di Rachel Carson nel 1962, passando attraverso al rapporto Bruntland (1987) che definisce in maniera semplice ma efficace il significato di sviluppo sostenibile, al Summit più importante, quello di Rio nel 1992, per arrivare al grande tema dei cambiamenti climatici, l’ambientalismo scientifico ha subito un evoluzione importante. Da fenomeno di denuncia ad unica possibilità per un nuovo sviluppo dell’umanità. Ambiente come il principale bene comune da preservare ma anche grande opportunità per le nuove generazioni di affrontare il futuro con ottimismo. Rio (1992) è stato il summit più importante perché qui viene lanciata Agenda 21, si impostano le prime politiche a tutela della biodiversità , si inizia a parlare di cambiamenti climatici. Viene declinato in tutti i suoi aspetti il tema della sostenibilità come unica alternativa alla crescita basata sul consumo delle risorse finite. 
Patto inter e intragenerazionale, osmosi fra paesi sviluppati e non, responsabilità condivisa stanno alla base dei tre pilastri della sostenibilità: economia, ambiente e sociale. La dichiarazione di Rio rimane una pietra miliare della sostenibilità. 27 punti che mettono al centro l’uomo, che presuppongono l’eliminazione delle povertà come condicio sine qua non per raggiungere lo sviluppo. Un approccio che presuppone una forte interdisciplinarietà, una fusione di saperi troppo spesso separati che non possono affrontare i problemi posti da una società sempre più complessa. D’altronde, nella stessa definizione di capitale naturale, parametro basilare insieme al lavoro e al capitale prodotto dall’uomo della sostenibilità, troviamo non solo i sistemi naturali ma anche ad esempio il patrimonio artistico culturale.
Accanto al sapere in senso tradizionale occorre affiancare altri temi primo fra tutti la grande richiesta di partecipazione dei cittadini nelle forme e nei modi più disparati. Non esiste sostenibilità senza condivisione dei processi Tanto più in un momento di crisi, una crisi economica ma anche di valori che colpisce soprattutto le democrazie del mondo occidentale. In queste società oggi il sentimento più comune  è la paura.  La paura è il più potente nemico della ragione. Paura e ragione sono entrambe essenziali per la sopravvivenza dell’essere umano, ma la relazione che li lega è asimmetrica: la ragione talvolta può dissipare la paura, ma la paura spesso spazza via la ragione” Al Gore. (2007) . Questo porta una società a chiudersi, ad andare, come dice Tiezzi (1999), parlando di termodinamica, verso la morte termica. “Un paese, una nazione, un sistema che fa del proprio isolamento, del rifiuto della contaminazione culturale, dello stare su posizioni fondamentaliste e di conservazione, un dogma politico è destinato all’autodistruzione. La difesa eccessiva della propria diversità, vedi lo sviluppo di movimenti politici identitari e secessionisti o la perdita delle diversità, vedi la globalizzazione selvaggia e l’affermarsi di un pensiero unico sono due aspetti dice Tiezzi della stessa stupidaggine termodinamica che porta all’autodistruzione sociale.
Il mondo accademico quindi è chiamato a svolgere un ruolo fondamentale nella società proprio per aiutare a dissipare la paura ed affrontare il futuro con ottimismo. Sempre di più i cittadini vogliono essere partecipi del proprio destino, sempre di più cercano risposte rassicuranti, sempre più sono preoccupati per la loro salute e per quella dei loro figli. Dobbiamo trovare un nuovo modo per dare vita ad un confronto sincero e non manipolativo sul nostro futuro. Per esempio, dobbiamo smettere di tollerare il rifiuto e l’uso distorto del sapere scientifico. Dobbiamo insistere affinché si smetta  di fare un uso cinico di ricerche pseudoscientifiche evidentemente falsificate  allo scopo esplicito di confondere il pubblico nel tentativo di discernere la verità, come sottolinea sempre Al Gore (2007). In questo percorso occorre un impegno del mondo universitario e della ricerca più puntuale, uno sforzo per mettersi al servizio delle proprie comunità. E’ indispensabile che i decisori politici a tutti i livelli svolgano quel ruolo di coordinamento dei vari portatori di interesse necessario per poter affrontare le complessità tipiche della nostra società. E’ una sfida possibile, decisiva! Se da un lato avremo sempre di più necessità di sviluppare il campo delle scienze cosiddette dure, riversando sull’innovazione tecnologica questo lavoro, dall’altro, se vogliamo che la sostenibilità sia un processo vincente diventa sempre più fondamentale incrementare l’apporto  di discipline più legate alle scienze sociali, alle scienze politiche, alla psicologia alla sociologia che consentano di rinforzare la partecipazione delle comunità ai processi di trasformazione.
Abbiamo bisogno di una nuova cultura della responsabilità e della sostenibilità cosi come riportato da Dondi (2011).  Dove per Cultura della Responsabilità si intende quella condizione nella quale la Società nel suo insieme si comporta con responsabilità e prende iniziative concrete per far fronte ai problemi presenti e futuri. In questo senso possiamo distinguerla dal “Senso di Responsabilità” che riguarda piuttosto i singoli individui. “Responsabilità” significa poi capacità di “rispondere”, il che comporta anche una capacità di “ascoltare” e quindi un’attenzione costante rivolta ai problemi.
Per Cultura della Sostenibilità si intende una fase più avanzata rispetto alla Cultura della Responsabilità, che consiste in un nuovo paradigma di organizzazione della società e di comportamento dei singoli individui in cui le esigenze sociali, ambientali ed economiche sono contemporaneamente soddisfatte. Dalla compatibilità economica e sociale, si genera un sistema equo; da quella ambientale ed economica si genera una condizione realizzabile, da quella sociale ed ambientale si genera una condizione vivibile: la contemporanea realizzazione di queste tre condizioni genera un sistema “sostenibile”. Alcuni aggiungono altri sottoinsiemi ma, la sostanza non cambia significativamente. E ancora importante è la nascita in questi anni di una “Scienza” della Sostenibilità il cui oggetto di studio è l’interazione tra sistemi naturali e sistemi sociali. La sostenibilità riguarda molti settori, quali quelli dell’organizzazione della vita collettiva, della produzione ed utilizzazione dei beni, della comunicazione .
E ancora sempre per citare Al Gore (2007) diventa importante linformazione. Una cittadinanza ben interconnessa è formata da uomini e donne che discutono e dibattono idee e progetti , verificando continuamente la validità delle informazioni e delle impressioni ricevute gli uni dagli altri, al pari di quelle ricevute dal proprio governo. Nessuna cittadinanza può essere ben informata senza un flusso costante di oneste informazioni e senza la possibilità di partecipare a pieno titolo alla discussione delle scelte che la società deve compiere”




Con quale idea di sviluppo si può uscire dalla crisi ?


Sul piano teorico, dovremo aver superato la contrapposizione fra ambiente ed economia, dove l’ambiente era considerato un limite alla crescita economica. Oggi la situazione appare molto diversa. Diventa sempre più stringente la necessità di pensare a modelli di sviluppo in cui l’uomo e il suo ambiente ricoprano una posizione centrale. Si fa strada l’idea che il profitto economico possa trovare nuove possibilità di affermarsi grazie a soluzioni ecosostenibili e in grado di valorizzare il capitale umano e sociale.
A fondamento di questa visione sistemica della produzione vi è il concetto secondo cui il prodotto/servizio vincente è quello che considera prioritario il rapporto positivo con l’ambiente.
Competitivi diventano quindi quei prodotti e quei servizi che innanzitutto sono “a basso tenore di carbonio” e che più in generale garantiscano un basso impatto ambientale lungo tutte le fasi del ciclo di vita.
Questa visione sistemica porta con sé un altro concetto fondamentale che sta alla base della sostenibilità e che viene declinato sull’economia: la “condivisione dei processi” o partecipazione. Questa inversione di tendenza porta al concetto di responsabilità condivisa: progettisti, industriali, legislatori, economisti e, non ultimi, gli utenti finali non sono parti distinte di un percorso lineare , ma soggetti attivi interdipendenti in un sistema dinamico di relazioni. E’ chiaro che in questo contesto la ricerca e i saperi sono fondamentali
Diventa quindi importante parlare di green economy, una disciplina che fa riferimento a tutta una serie ampia e diversificata di attività, in grado di generare profitti, ma allo stesso tempo di rispondere alle esigenze di sostenibilità, ambientale innanzitutto, che la società richiede.
Energia, mobilità, gestione dei rifiuti, infrastrutture ecologiche, agricoltura sostenibile e gestione delle acque, bonifiche dei siti contaminati, edilizia sono i principali settori per i quali si svilupperà una forte domanda di mercato
E’ possibile avviare un percorso di sviluppo sostenibile (il nostro attuale ciclo, così dipendente dai composti del carbonio, non è in grado di sostenere la crescita nel medio e lungo periodo) creando nuove e decisive opportunità  per l’industria e l’occupazione. Il mondo a bassa intensità di carbonio, che possiamo e dobbiamo costruire, sarebbe infatti molto più ricco di opportunità: non solo ci sarebbe la possibilità di mantenere attivo il processo di crescita, ma si tratterebbe di una crescita meno inquinante, più sicura, più stabile e più rispettosa della biodiversità.
Nuove visioni di società che pongono al centro la sostenibilità e che definiscono nuovi modelli economici sono ora necessari.
Abbiamo bisogno di un’economia capace di considerare la sua dipendenza dai sistemi naturali con tutto ciò che ne deriva: una contabilità ambientale che integri quella economica, una valutazione dei servizi degli ecosistemi, meccanismi di politica economica che consentano di penalizzare le attività,le produzioni e i consumi che danneggiano l’ambiente e di favorire le attività e le produzioni che invece lo rispettano, scelte energetiche compatibili con le esigenze ambientali, una riduzione e un miglioramento dei flussi di energia e di materie prime nel sistema economico. Su tutti questi fronti esistono ormai un’ampia letteratura e tante pratiche concrete (Bologna, 2010).
La Terza rivoluzione industriale di Rifkin (2011), che ipotizza una società in cui la combinazione di internet e la diffusione delle energie rinnovabili porti verso una democratizzazione della società. Il Piano B di Lester Brown (2010), che partendo da un esame lucido e moderno dei limiti dell’attuale sviluppo economico va oltre la crisi attuale della finanza e indica come salvare la terra e chi la abita. La Blue economy di Pauli (2010), che costruisce una nuova economia sul funzionamento dei meccanismi della biologia. Sono alcuni esempi di nuove visioni dello sviluppo.
Uno sviluppo, ma del tipo giusto e che duri per molti decenni, è non solo necessario, ma anche possibile.

Dando quindi certo che le condizioni per impostare una nuova via allo sviluppo come può la politica, la buona politica accelerare questo percorso?
Intanto la prima domanda da porsi è: tutti i decisori politici sono convinti che la cultura ambientale sia elemento centrale per lo sviluppo o non debba considerarsi in un momento di crisi un ostacolo allo sviluppo?  E poi di fronte ai processi di globalizzazione dell’economia, dei mercati gli strumenti di governance tradizionale, i governi dei singoli Paesi sono in grado di affrontare la sfida della sostenibilità ? della lotta ai cambiamenti climatici ?
La mia opinione è che quasi tutti i Governi sia di stampo progressista che conservatore davanti alla crisi attuale che ha colpito in maniera più forte le democrazie occidentali al di là di politiche di aggiustamento a volte fortemente rigoriste, a volte più attente al welfare, fatichino ad intraprendere nuove strade. Paesi importanti come Stati Uniti, Cina, Corea del sud Germania hanno messo risorse importanti come green stimulus alla ripresa economica ma non hanno effettuato scelte radicali verso un’economia sostenibile. Tanto meno Paesi come l’Italia che stanno affrontando la crisi in assenza di indirizzi di questo genere.
La green economy, le energie rinnovabili il recupero di materia sono ancora considerati come un pezzo dell’economia non la nuova economia.
Così come penso che il giusto tentativo di dare una governance globale ai processi di sviluppo mondiali partito a Rio nel 1992 sia fallito a causa da un lato della debolezza degli attuali organismi internazionali come le Nazioni Unite dall’altro dal fatto che alcuni importanti Paesi come gli Stati Uniti, la Russia ma anche la Cina così come i paesi più poveri hanno  rallentato questo processo attraverso veti incrociati. Testimonianza sono gli scarsi risultati dei successivi Summit da Joannesburg a Rio più 20 di quest’anno che hanno messo in luce che anche se vi sono tutti i presupposti e le condizioni per una svolta verso un’economia verde l’interesse dei singoli stati nel difendere le loro scelte contingenti è prevalente.
La stessa Europa che nei negoziati da Rio in poi ha sempre svolto un ruolo propositivo e che attraverso importanti direttive e documenti ha indirizzato fortemente l’economia dei Paesi membri verso obiettivi importanti nel campo energetico, della produzione dei gas serra e della gestione delle risorse naturali, sconta una grande debolezza politica nelle proprie istituzioni di governo.
La strada quindi verso la sostenibilità è ancora lunga e ricca di insidie. Credo si debba partire dalle buone pratiche realizzate, dalla messa in rete dei saperi, dal rivedere la governance dei processi , dal ricostruire una fiducia tra i cittadini e i propri rappresentanti attraverso percorsi partecipati, dall’applicare strumenti più innovativi per misurare il benessere delle persone.
Non vi è dubbio che come detto in precedenza in un percorso così ambizioso il mondo accademico, così come già riconosciuto in Agenda 21 licenziato a Rio (1992) , dovrà svolgere un ruolo fondamentale  attraverso un approccio più multidisciplinare e aprendosi sempre di più alle esigenze delle proprie comunità fornendo ai decisori politici quei tools necessari per impostare sempre di più politiche innovative.

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