04/12/08

Ieri sera alle 22 intervento in aula

Qui il link e di seguito il testo...

ALESSANDRO BRATTI. Signor Presidente,
come ho avuto occasione di dire in
Commissione, credo che il decreto-legge in
discussione, in realtà, mostri una doppia
politica di questo Governo. Da un lato, vi
è la proposta del sottosegretario Bertolaso,
basata molto, viste anche le circostanze,
sulla filosofia del comando-controllo, che
inasprisce tutta la serie di sanzioni amministrative
e penali e che fa, forse, un
eccessivo ricorso alle deroghe, svuotando,
di fatto, il Testo unico ambientale. Vi sono
parecchie deroghe, richieste anche alla
luce degli emendamenti presentati questa
sera, in sede di Commissione e del Comitato
dei nove, che rendono, tra l’altro, il
citato Testo unico, già di difficile interpretazione


e applicazione da parte degli
operatori, assolutamente difficile da interpretare
ed applicare, svuotandolo un po’
della filosofia per cui era nato, quella,
cioè, di dare un’organicità alla tematica
ambientale in questo Paese.
Si tratta di un approccio che, però, non
va disconosciuto: ha dato, e sta dando,
anche dei risultati sicuramente importanti
e, quindi, in qualche modo e per certi
versi, può essere seguito.
Dall’altro lato, però, non dobbiamo dimenticare
(qui non sono d’accordo con il
rappresentante del Popolo della Libertà
che mi ha preceduto) che sull’altro fronte
abbiamo il Ministro Prestigiacomo che in
pochi mesi ha smantellato l’Agenzia nazionale
per l’ambiente; ha sciolto la Commissione
di valutazione di impatto ambientale
e la Commissione di autorizzazione
di impatto ambientale, nominando
poi in quelle nuove alcuni improbabili
personaggi spesso privi di professionalità e
con palesi conflitti di interesse; ha disconosciuto
l’impegno per contrastare i cambiamenti
climatici assunto in sede europea;
ha applaudito al ritorno del nucleare
in Italia, rinunciando anche a svolgere un
ruolo molto importante riguardo al tema
della sicurezza nucleare.
Direi, insomma, che dietro lo slogan
« ambientalismo del fare » di questo centrodestra,
in realtà, non vediamo politiche
virtuose basate sulla filosofia degli incentivi
verdi, sulla tassazione ecologica, sui
sistemi volontari di gestione ambientale,
sulla contabilità ambientale, sulla politica
di acquisti e appalti verdi e sul risparmio
ed efficientamento energetico. Al contrario,
dietro questo slogan credo ci sia un
po’ la voglia di smantellare un sistema che
sicuramente ha molte lacune, quello della
sicurezza e del controllo ambientale, senza
però proporre nulla di alternativo. In
questo modo non solo non si tutela l’ambiente,
ma non si favorisce nemmeno uno
sviluppo di qualità, dando dei via libera
sistematici a qualsiasi opera infrastrutturale,
senza distinzione di alcun tipo.
Si segue una politica di tagli generalizzati,
penalizzando pesantemente il
mondo delle piccole imprese e i cittadini.
La sensazione che si ha, insomma, alimentata
da una situazione di crisi che investe
la nostra economia, è che ci sia una sorta
di desidero di ritorno al passato, quando
le politiche ambientali erano considerate
elemento di ostacolo e di contrapposizione
a quelle economiche.
In Italia faticosamente si era avviato un
percorso verso la sostenibilità attraverso lo
sviluppo delle energie rinnovabili e del
risparmio energetico, interessando centinaia
di piccole imprese. Questo percorso è
stato interrotto dall’approvazione di alcuni
provvedimenti sostenuti dall’attuale maggioranza:
si elimina la certificazione energetica
degli edifici e addirittura non si
garantisce più alle famiglie la detrazione
fiscale per gli interventi edilizi, creando
sconcerto e indignazione nelle imprese,
anche se pare dalle ultime notizie che ci
sia una sorta di retromarcia da parte del
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Governo, sebbene le dichiarazioni dei due
rappresentanti del Governo siano differenti.
Lo strabismo delle politiche ambientali
del Governo si ritrova in questo provvedimento.
Come veniva ricordato, l’articolo
6 inasprisce le pene configurando nelle
aree di emergenza un ricorso allo strumento
penale che, pur giustificato, non
penso contribuirà a risolvere in maniera
efficace il problema dell’abbandono di rifiuti.
Sulla legittimità di questo articolo i
primi commenti dei costituzionalisti – ne
abbiamo parlato anche in quest’Aula –
sono abbastanza contrastanti.
Ciò che, però, credo sia censurabile in
sede politica è che si finisca sempre per
affrontare il tema delle sanzioni ambientali
con provvedimenti un po’ manifesto,
magari condivisibili nel loro intento educativo,
ma sempre avulsi da un equilibrato
ed efficace esame complessivo della materia.
Infatti, come è già stato fatto notare
da alcuni giuristi ambientali dopo l’emanazione
del decreto-legge sull’emergenza
in Campania, chi a Napoli abbandona un
materasso per strada commette un delitto
punito con la reclusione fino a tre anni e
sei mesi, mentre chi, sempre a Napoli, ma
anche in qualunque altre parte d’Italia,
gestisce rifiuti pericolosi senza registri
MUD rischia (in base all’articolo 258 del
Testo unico ambientale) al massimo una
sanzione amministrativa.
Ciò di cui c’è veramente bisogno è,
quindi, un disegno di legge organico, che
preveda l’introduzione nel codice penale di
alcuni selezionati delitti ambientali e l’applicazione,
anche in questo settore, della
responsabilità delle persone giuridiche
prevista dal decreto legislativo n. 231 del
2001. Sarebbe, quindi, opportuno che il
Governo, oltre a sanzionare penalmente
chi abbandona rifiuti ingombranti a Napoli,
presentasse un provvedimento organico
sui delitti ambientali sulla scorta del
disegno di legge n. 2692, che fu presentato
dal Governo Prodi nel corso del 2007.
Ma in realtà ciò che desta molte preoccupazioni,
come è stato detto anche dai
colleghi che mi hanno preceduto, è l’introduzione
all’articolo 9 (che è, a mio
avviso, il vero cuore del decreto-legge,
nonostante il titolo e nonostante tutta
un’altra serie di misure che ricordavo
prima e che sono sicuramente importanti)
dell’incentivazione per la costruzione degli
impianti di incenerimento che viene, ancora
una volta, introdotta in modo surrettizio.
Non viene, inoltre, operata alcuna distinzione,
rispetto all’incentivazione, tra le
regioni e non si considera l’efficienza
energetica di questi impianti, così come
raccomanda l’ultima direttiva-quadro sui
rifiuti, che non è ancora in vigore e deve
essere recepita, ma che ci dà la linea per
il futuro. Diversi miliardi di euro sono
stati dirottati negli ultimi anni dalle energie
rinnovabili ad altre fonti, di cui circa
il 10 per cento agli impianti di incenerimento.
È pur vero, come veniva ricordato
dall’onorevole Alessandri, che gli incentivi
legati al CIP 6 sono stati ampiamente
sfruttati per la costruzione di impianti di
termodistruttori al nord, soprattutto in
Lombardia, ma è altresì vero che in questa
realtà gli inceneritori sono oggi in funzione
e le percentuali di raccolta differenziata
sfiorano il 40-45 per cento, in piena
media europea.
Situazione diversa, al di là della Campania,
come veniva ricordato prima, è
quella della Sicilia, dove i quattro megaimpianti
– consentitemi di chiamarli così,
perché sono tra i più grandi che verranno
costruiti in tutta Italia (si parla complessivamente
di circa un milione e 600 mila
tonnellate di rifiuti all’anno) – dovevano
essere realizzati da anni ma non sono mai
partiti. Anche in Sicilia il commissariamento
straordinario è stato un fallimento.
Secondo la relazione della Commissione
parlamentare di inchiesta approvata nel
febbraio 2008 – cito questa fonte, che
rappresenta un lavoro molto importante
realizzato nella scorsa legislatura – la
raccolta differenziata in quella regione
non va oltre il 7 per cento. La Sicilia
continua ad avere, tra le regioni italiane,
la più bassa percentuale di copertura dei
costi totali, pari a circa il 64 per cento. A
ciò si aggiunga la piaga dell’evasione. La
Commissione invita la regione a rivedere il
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piano (un piano che è stato molto criticato)
e soprattutto la dimensione degli
impianti, nonché le modalità di collocazione
che, lasciate ai privati, hanno favorito
– cito sempre la Commissione bicamerale
– le attività criminose. Da un
punto di vista amministrativo e gestionale,
la costituzione degli ambiti territoriali ottimali,
i cosiddetti ATO, cui sono stati
affidati compiti di regolazione e di gestione
(situazione anche questa molto criticabile)
si è rivelata un disastro. È di
queste ore – lo abbiamo visto un paio di
giorni fa – l’aggravarsi della situazione a
Misterbianco, in provincia di Catania, che
ci consegna delle immagini di recente
memoria, del tutto simili a quelle che
abbiamo visto in relazione all’emergenza
campana. Questi organismi, gli ATO, che
da 27 dovrebbero essere ridotti a 10, per
poi, da gennaio prossimo, trasformarsi in
consorzi, hanno accumulato – cito sempre
dati della Commissione bicamerale – circa
430 milioni di euro di debiti, a cui vanno
aggiunti i costi per la stabilizzazione del
personale, in parte assunto dai comuni e
poi trasferito agli ATO stessi.
Gli ATO e le società miste della gestione
dei rifiuti hanno rappresentato,
sempre secondo la Commissione, il terreno
privilegiato della criminalità organizzata.
Il sistema dei controlli è assolutamente
inefficace, sia per l’impreparazione dei
dirigenti, sia per l’inevitabile conflitto di
interessi che si determina in queste strutture.
Si registra una totale assenza di
controlli e non soltanto sulle modalità di
svolgimento della attività connesse al ciclo
dei rifiuti, ma sugli stessi costi di gestione
delle principali attività.
Un dato allarmante è quello relativo
alla scarsa adeguatezza dell’ARPA, sia
sotto il versante della dotazione organica
che sotto quello della qualificazione professionale.
Il fatto che vi siano soltanto
due tecnici per la provincia di Palermo
rappresenta, in modo emblematico, la
strutturale carenza di incisività dell’Agenzia,
nonché la conseguente resistenza ad
operare controlli su delega dell’autorità
giudiziaria.
Molto ci sarebbe poi da dire rispetto
alle innumerevoli indagini in corso, che
vedono in tutta l’isola infiltrazioni mafiose
attorno al grande business dei rifiuti. Ricordo
che se questo decreto non verrà
modificato verranno erogati circa 2 miliardi
di euro di incentivi agli inceneritori,
non alle fonti rinnovabili, di cui un miliardo
400 milioni andrebbero in Sicilia, il
tutto per la costruzione di quattro impianti
ex novo. Può darsi che questi conti
non siano precisi, ma non mi allontano
molto dal vero.
Ricordo che in Emilia Romagna – è
una situazione che conosco bene e dove la
gestione è sicuramente un po’ più oculata
– ne sono stati costruiti otto funzionanti
che smaltiscono circa 500 mila tonnellate
all’anno, che hanno ricevuto complessivamente,
prima del 2007, incentivi per un
totale di circa 500 milioni di euro, con
raccolte differenziate che arrivano oggi
oltre il 40 per cento.
Sarebbe veramente inspiegabile e poco
credibile aggiungere risorse attraverso
qualsiasi forma di incentivazione, siano
essi i certificati verdi o i proventi dei CIP6,
ad una gestione come quella siciliana che
già ha bruciato tantissime di queste risorse
e che ha dimostrato di non essere in grado
di gestire nell’ordinarietà il ciclo integrato
dei rifiuti.
È indispensabile, quindi, se si vuole
contribuire con tali importi, che venga
dichiarato, così come diceva prima l’onorevole
Margiotta, lo stato di emergenza
così come fatto in Campania e che il
sottosegretario Bertolaso si occupi direttamente
della gestione dei rifiuti in Sicilia.
Altra proposta che desta molte perplessità
è quella che riguarda il piano nazionale
degli impianti di incenerimento urbano.
Ammesso che abbia senso e si riesca
a fare un piano nazionale, occorre garantirsi
da fenomeni di turismo dei rifiuti
urbani che potrebbero diventare assolutamente
ingestibili. Già oggi il Paese è attraversato
da flussi di sedicenti rifiuti
speciali che sono stati semplicemente lavorati
e frullati da qualche semplice impianto,
che non li ha fatti diventare altro
da rifiuti urbani stessi (vi è l’esempio
Atti Parlamentari — 156 — Camera dei Deputati
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dell’organico e delle varie frazioni di plastica
sporca). Il piano nazionale dovrebbe
essere la somma di piani regionali e non
porsi in contrapposizione con le linee
individuate da ogni regione, che sono una
garanzia di rispetto delle autonomie; soprattutto,
la decisione del loro utilizzo
deve vedere la reale compartecipazione dei
diversi soggetti e certo non si può agire, a
mio parere, con un decreto-legge.
Questo piano deve essere legato a meccanismi
di finanziamento, anche privati. Ci
devono essere regole chiare e trasparenti
attraverso gare. Il rischio è che si superi la
pianificazione territoriale, passando attraverso
accordi solo imprenditoriali senza
che regioni e province possano inserire la
loro voce. Viene, inoltre, contraddetto il
principio della vicinanza territoriale tra
impianti e produzione dei rifiuti, principio
cardine del cosiddetto decreto Ronchi che
peraltro non ha mutuato che le direttive
europee.
Non deve, inoltre, venir meno il principio
economico e di coerenza « tariffe
uguale a costi », definendo fin dove possibile
le voci ammissibili dei costi e istituendo
una nuova funzione in sede di
osservatorio e di authority.
Il decreto-legge si arricchisce poi di una
proposta assolutamente pericolosa come
quella della possibilità di triturare il materiale
organico con dissipatori di rifiuti
alimentari. Questa è chiaramente una richiesta
un po’ « lobbystica »: sono ormai
dieci anni che gira e fortunatamente non
ha mai visto un recepimento giuridico. Si
tratta di un nuovo elettrodomestico – un
trituratore – che poi ovviamente a fine
vita dovrà andare da qualche parte. Necessita
di un costo energetico elevatissimo,
oltre che di un’elevata richiesta idrica.
Anche se condizionata ad un’autorizzazione,
è una soluzione molto pericolosa
perché disincentiva la cultura della raccolta
differenziata e della formazione e
utilizzo del compost. Inoltre, appesantisce
in modo critico la depurazione del ciclo
dell’acqua. Nelle zone pianeggianti, inoltre,
le fognature possono rischiare di andare in
tilt. Da non sottovalutare, inoltre, il fatto
che i depuratori di mezza Italia sono
calcolati con un parametro tecnico che si
chiama BOD 5 che riguarda la richiesta di
ossigeno che – per semplificare – misura
il tasso di sostanza organica lavorabile,
che è circa di 90 grammi per abitante al
giorno, mentre l’organico dovrebbe raggiungere
i 120 grammi come succede negli
Stati Uniti (cosa che da noi non avviene).
Insomma, si tratta di un decreto-legge
che probabilmente era nato con una filosofia
e che poteva avere anche un senso,
ma che alla fine credo che si ritrovi un po’
pasticciato, il cui forse unico obiettivo
rischia di essere l’incentivazione di impianti
di incenerimento.
Credo che di ben altri provvedimenti
abbia bisogno il nostro Paese per poter
affrontare in maniera efficiente ed efficace
la gestione integrata dei rifiuti. Oltre che
dotare il Paese di una moderna impiantistica,
sarebbe opportuno garantire anche
un reale recupero della materia. Il tutto
dovrebbe essere accompagnato da politiche
che, a monte, minimizzino il rifiuto
attraverso il cosiddetto eco design e il
sistema degli appalti verdi. Non c’è nulla
da inventare, né tecnicamente, né dal
punto di vista di nuove regole: basta
mutuare esperienze di paesi come la Germania
e la Austria, ma anche mettere in
valore tante esperienze condotte in diverse
realtà locali del nord del Paese, che nulla
hanno da invidiare al resto dell’Europa.
Quindi, direi basta con questi decretilegge
un po’ manifesto, ma si attivi davvero
un serio lavoro coerente ed efficace che
veda come protagonisti le imprese e le
autonomie locali con il Governo centrale
per costruire tali condizioni attraverso una
normativa semplice e chiara. Sul territorio
si creano i problemi ambientali e credo
che sul territorio si possano e si debbano
risolvere (Applausi dei deputati dei gruppi
Partito Democratico e Italia dei Valori).

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