05/10/14

La lunga scia dei rifiuti tossici dietro il caso Alpi

Ancora irrisolto l'omicidio della giornalista. Dietro ci sarebbe un imponente giro di armi e interessi

Ci sarebbe un imponente giro di armi e rifiuti tossici che parte dall’Italia dietro l’omicidio della giornalista di Rai 3 Ilaria Alpi e del cameraman Miran Hrovatin, avvenuto il 20 marzo 1994 a Mogadiscio in Somalia. Dell’intricata vicenda, che rimane ancora irrisolta dopo oltre vent’anni, se n’è parlato in uno degli incontri nell’ambito di Internazionale, dal titolo “Da Ilaria Alpi alla Terra dei Fuochi”, che ha visto confrontarsi, nella Sala Agnelli della Biblioteca Ariostea, Amalia De Simone di Radio Sani, il giornalista de “Il Fatto Quotidiano” Andrea Palladino e il giornalista e regista Emanuele Piano.
Testimoni presunti, testimoni che scompaiono nel nulla, vertici dei servizi segreti che si avvalgono del segreto di stato e fusti pieni di rifiuti tossici che magicamente compaiono sulle spiagge somale all’indomani dello tsunami che ha colpito il sud-est asiatico nel 2004. È questo il nebuloso background che si staglia dietro l’omicidio della giornalista del Tg3. Negli anni è stato trovato anche un colpevole, forse l’esecutore materiale del delitto, Hashi Omar Hassan, dopo che la famiglia Alpi aveva sollecitato gli inquirenti per risolvere il caso. I testimoni che incastrano Hassan però si sono dimostrati assai poco affidabili e, talvolta, addirittura inesistenti.

“Negli anni ’90 c’era poco interesse per la vicenda- rivela Emanuele Piano- perché si pensava che fosse solo un omicidio come tanti in zone calde del pianeta. Probabilmente sul corpo di Ilaria non è neppure stata eseguita l’autopsia e la scena del delitto totalmente contaminata al punto che pure un giornalista della Rai si portò a casa come cimelio uno degli oggetti presenti sulla scena. L’interesse è tornato all’inizio degli anni Duemila quando varie procure italiane hanno portato alla luce un importante traffico di armi verso la Somalia. Il caso Alpi non è solo la morte di una giornalista, è il portone di ingresso per capire tutto un mondo sommerso che vede coinvolta la politica e la diplomazia italiana di quegli anni. Sarebbe utile- conclude il giornalista- aprire un’inchiesta nell’inchiesta perché, trovando chi ha avuto interesse nel depistare le indagini, si trova anche chi aveva interesse ad insabbiare la vicenda”.

D’altronde in quegli anni i rapporti politici e diplomatici tra l’Italia e la sua ex colonia erano ancora molto forti e frequenti. Ne è testimonianza la visita nel 1985 dell’allora premier Bettino Craxi, unico capo di stato ad essersi recato in territorio somalo. “La Somalia era una sorta di fortino del Psi. – spiega Andrea Palladino- In quegli anni venne fuori un eloquente giro di tangenti proprio nelle cooperazioni con lo stato somalo. C’erano poi una grande quantità di armi che dall’Italia giungevano sul Corno d’Africa, e come facevano queste armi a raggiungere la metà? semplice, tramite le navi dell’ambigua compagnia Shifco. Nel giugno di quest’anno finalmente Renzi ha deciso di desecretare buona parte della documentazione relativa a quel periodo, ora gli archivisti stanno lavorando e siamo già ad una conoscenza del 6 % di quelle carte, ora attendiamo di poter sapere di più su come potrebbe realmente essere andata”.

Strettamente collegate alla vicenda Alpi potrebbero essere le dinamiche di smaltimento illecito dei rifiuti nella cosiddetta ‘Terra dei Fuochi’. “Tra le due vicende c’è sicuramente una strettissima correlazione.- conferma Amalia De Simone- Quando si parla di ‘terra dei fuochi’ spesso si cade nell’errore di riferirsi al luogo geografico delle province di Napoli e Caserta, ma ci si sbaglia. La terra dei fuochi è invece un sistema illecito di smaltimento dei i rifiuti, non solo in loco ma anche verso l’estero attraverso il porto di Gaeta, dove partivano i fusti con la complicità dei servizi segreti, questo lo riferisce il pentito Carmine Schiavone. Si era creata insomma una sorta di holding dello smaltimento illecito. Ma la cosa più preoccupante e sconcertante è che vent’anni dopo le famiglie colpevoli del disastro ambientale le troviamo coinvolte nelle opere di bonifica dell’area”


di Marcello Celeghini

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