19/09/14

LA STAMPA - Ecomafie, un fatturato da capogiro. E nel mirino ora c’è l’alimentazione

Calano i numeri, ma non cambia la sostanza. Le ecomafie, in Italia, continuano a muoversi prive di ostacoli.

L’ultimo rapporto redatto da Legambiente non lascia spazio ai dubbi: 29274 le infrazioni registrate nel 2013, per un equivalente di ottanta reati al giorno, poco più di tre ogni ora. Da cui un fatturato da capogiro, in un periodo di crisi: 15 miliardi, con 321 clan coinvolti nella spartizione della golosa torta. Dati che lasciano poche speranze, nonostante una lieve flessione delle violazioni rispetto all’anno precedente: dovuta soprattutto alla riduzione degli incendi boschivi. A spiccare, per la prima volta, sono i reati commessi in ambito agroalimentare: più del doppio rispetto ai dodici mesi precedenti. «La truffa del Made in Italy è molto redditizia, soprattutto all’estero, dove arriva a pesare cinquanta miliardi di euro». Costanti, invece, le altre voci: riguardanti la fauna (dal bracconaggio all’abigeato, dagli allevamenti illegali alla pesca di frodo), il ciclo dei rifiuti e quello del cemento.

La criminalità ambientale rimane una delle falle più grandi nel sistema legale italiano. A fronte di un calo dei reati, si registra infatti una maggiore difficoltà di ingresso nel sistema gelatinoso in cui le cosche stringono affari con i funzionari pubblici e i professionisti. «È proprio da questa commistione che occorre partire: osservando l’interesse che le mafie rivolgono all’ambiente, si riconoscono le responsabilità di chi con loro non dovrebbe avere a che fare, e invece scende sistematicamente a patti», afferma Giuseppe Muti, ricercatore in geografia politico-economica all’università di Cassino, relatore alla quarta edizione della Summer School sulle Ecomafie organizzata dalla facoltà di scienze politiche dell’ateneo di Milano. «Fermiamoci al problema dei rifiuti. C’è una contraddizione enorme: l’imprenditore deve spendere cifre considerevoli per smaltire qualcosa non ha più un valore. È in questo meccanismo che si inseriscono le organizzazioni criminali: con un esborso ben più contenuto, chi fa impresa risparmia e chi specula s’assicura proventi corposi, oltre a esporre l’ambiente a qualsiasi rischio».

Intercettare i reati, in questo caso, è ben più difficile e, quand’anche ciò accade, le pene sono spesso blande. Gli unici reati disciplinati in materia sono il traffico illecito di rifiuti e la combustione illecita, da pochi mesi inserita nel decreto sulla Terra dei Fuochi. Qualcun altro potrebbe venire fuori dall’approvazione del disegno di legge 1345 visto però con sospetto dal vicepresidente della commissione giustizia di palazzo Madama, Felice Casson. «Alcune impostazioni del testo possono condizionare pesantemente indagini e processi in corso». Così nel deserto legislativo, sostiene Legambiente, «diventa impossibile agevolare la svolta green dell’Italia, come dimostrano i casi di infiltrazione criminale nella gestione delle fonti energetiche rinnovabili».

Dall’ultimo rapporto emerge il triste primato della Campania, dove sono state registrate oltre 4700 infrazioni nel solo 2013. Un dato che, aggiunto a quelli raccolti nelle altre tre regioni a tradizionale insediamento mafioso - Puglia, Calabria e Sicilia -, restituisce l’esatta misura del ruolo giocato dalle organizzazioni criminali: il 47% dei crimini verso l’ambiente risulta compiuto da Napoli in giù. Mica un caso, secondo Vittorio Martone, docente di sociologia urbana e dell’ambiente all’università Federico II del capoluogo partenopeo: «Le cosche partono da una profonda conoscenza del territorio e da una rete di rapporti intessuti con la politica: più poteri vengono conferiti a livello locale, maggiori sono le opportunità di fare profitto». Il cemento e i rifiuti rappresentano uno dei piatti più succulenti. «La quasi totalità delle imprese del calcestruzzo nella provincia di Caserta ha legami con la camorra. Da trent’anni a questa parte in Campania vige una capillare suddivisione del territorio: chi è entrato in gioco con i fondi per il terremoto in Irpinia ha poi spostato il mirino sulla costruzione dei collegamenti ad alta velocità». Così è nato l’interesse verso i territori del basso Lazio, dove i Casalesi si sono progressivamente espansi.

«L’area pontina è stata pressoché colonizzata: da qui la scelta di svolgere a Latina l’ultima manifestazione nazionale di Libera», ricorda Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto, ucciso dalla mafia, e docente di sociologia dei processi economici, del lavoro, dell’ambiente e del territorio all’università di Milano. «Le organizzazioni criminali hanno elementi in comune nel corso del tempo, ma cambiano gli ambiti di azione - chiosa Rocco Sciarrone, professore di sociologia generale all’università di Torino -. Per riconoscerli occorre porsi in un punto d’osservazione tra l’economia e la politica: soltanto controllando il rapporto tra pubblico e privato, la gestione degli appalti e il coordinamento delle emergenze ci si può opporre in maniera efficace alle mafie».


Fabio Di Todaro

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