16/07/14

I chiarimenti del Ministero sulle terre e rocce da scavo


Con la Circolare n.13338 del 14/05/2014, il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare risponde ad un quesito dell'ISPRA  "in merito alla corretta interpretazione normativa di alcuni aspetti applicativi inerenti la gestione delle terre e rocce da scavoe dei materiali di riporto" .

Nello specifico i quesiti vertono su:

- Applicabilità del DM 161/2012 ai piccoli cantieri con produzione inferiore a 6.000 metri cubi localizzati all'interno di siti sottoposti a VIA o AIA

Il Ministero è categorico, il DM 161/2012 si applica con riferimento esclusivo alle attività realizzate nell'ambito di opere sottoposte a procedura di VIA o AIA, che prevedono il riutilizzo delle terre e rocce da scavo, nel rispetto delle condizioni e procedure dettate dal decreto ministeriale;

Pertanto, se il progetto è sottoposto a VIA o AIA e prevede il riutilizzo di terre e rocce da scavo (indipendentemente dal volume),  è comunque sottoposto alle disposizioni del DM 161/2012.

- Caratterizzazione e gestione dei materiali di riporto

La Circolare riprende quanto previsto dall'art. 185 del D.Lgs 152/2006, al cui comma 1 dispone:


1. Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto:

b) il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminati;

c) il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato;
Riprende la definizione di "matrici di riporto" data dall'art. 41 del del D.L. 69/2013 conv. in Legge 98/2013 che modifica il D.L. 25/01/2012 n. 2:”  ...costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e reinterri."

conferma che la definizione di "suolo" è riferita anche alle "matrici di riporto"  (art. 3 D.L. 25/01/2012 n. 2):
1. Ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al "suolo" contenuti all'articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all'allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo.

Il riutilizzo e l'esclusione dei materiali di riporto dal novero della normativa sui rifiuti, è comunque sottoposta alla verifica analitica prevista dal D.M. 5 febbraio 1998  ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere i rischi di contaminazione delle acque sotterranee   ed ai parametri previsti per i Test di Cessione in materia di bonifica dei siti contaminati (Allegato 5 Titolo 5 alla Parte IV del D.Lgs 152/2006) "Concentrazione Soglia di Contaminazione (CSC) nel suolo e nel sottosuolo riferiti alla specifica destinazione d'uso dei siti da bonificare").

A tale riguardo, la circolare ministeriale chiarisce che  "i parametri di interesse devono essere identificati, di concerto con l'autorità di controllo, sulla base delle caratteristiche dei materiali di riporto e dell'origine degli stessi, nonché della potenziale mobilità e tossicità delle sostanze in essi presenti",  pertanto, i parametri del DM 05/02/1998 non sono esaustivi.

I limiti di controllo per le acque sotterranee restano quelli della Tabella 2 dell'Allegato 5 alla Parte IV del D.Lgs 152/2006 (CSC nelle acque sotterranee).

Il tutto è comunque legato alla volontà del "riutilizzare" il terreno o matrici di riporto e non al "disfarsi", ovvero destinarli ad attività di recupero o smaltimento, e rispettare le disposizioni dell'art. 41-bis del D.L. 69/2013 conv. in Legge 98/2013.

Se le matrici di riporto non risultano conformi ai limiti dei Test di Cessione sopra richiamati, sono sottoposti alle disposizioni sulla bonifica dei siti contaminati.

Relativamente alla presenza o meno di materiali eterogenei ai "materiali di riporto", ribadisce che la norma non prevede un limite massimo entro il quale possono essere contenuti, però, a tale riguardo, il Ministero riprende il limite del 20% fissato dall'Allegato 9 del DM 161/2010.

Eventuali rifiuti rinvenuti durante lo scavo, devono essere gestiti come tali.

 - Riutilizzo in situ  per i materiali scavati provenienti da attività di bonifica.

E' sempre consentito nel rispetto delle CSC stabilite in base alla destinazione d'uso delle aree interessate; nel caso in cui la stessa area è distinta in diverse sub-aree devono essere rispettate le diverse destinazioni d'uso assegnate dall'ente competente per territorio.

- La "normale pratica industriale e di cantiere"

La normale pratica industriale e di cantiere alla quale può essere sottoposto il terreno da riutilizzare, e affinché non possa (tale pratica) essere  considerata "trattamento", e quindi rispettare le condizioni poste dall'art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006,  è necessario che tutti i trattamenti non hanno un'incidenza sulle caratteristiche chimico-fisiche della sostanza o dell'oggetto ai fini del rispetto dei requisiti sanitari ed ambientali richiesti dalla norma.

Ad esempio: il terreno non contaminato miscelato con calce o altra sostanza per esigenze strutturali rientra nella normale pratic industriale;

se, invece il terreno è contaminato e l'aggiunta di calce o di altra sostanza è finalizzata anche a modificarne le caratteristiche chimico fisiche, al fine di garantire che l'utilizzo nel ciclo di produzione avvenga nel rispetto di tutti i requisiti sanitari ed ambientali, siamo al di fuori della normale pratica industriale e il materiale è un rifiuto.

La circolare termina nel fare riferimento all'Allegato 3 del D.M. 161/2012 quali esemplificazioni delle operazioni più comunemente effettuate, che rientrano pertanto nella normale pratica industriale:

- la selezione granulometrica del materiale da scavo;

- la riduzione volumetrica mediante macinazione;

- la stabilizzazione a calce, a cemento o altra forma idoneamente sperimentata per conferire ai materiali da scavo le   caratteristiche geotecniche necessarie per il loro utilizzo, anche in termini di umidità, concordando preventivamente le modalità di utilizzo con l'ARPA o APPA competente in fase di redazione del Piano di utilizzo;

- la stesa al suolo per consentire l'asciugatura e la maturazione del materiale da scavo al fine di conferire allo stesso migliori caratteristiche di movimentazione, l'umidità ottimale e favorire l'eventuale biodegradazione naturale degli additivi utilizzati per consentire le operazioni di scavo;

- la riduzione della presenza nel materiale da scavo degli elementi/materiali antropici (ivi inclusi, a titolo esemplificativo, frammenti di vetroresina, cementiti, bentoniti), eseguita sia a mano che con mezzi meccanici, qualora questi siano riferibili alle necessarie operazioni per esecuzione dell'escavo.

Mantiene la caratteristica di sottoprodotto quel materiale di scavo anche qualora contenga la presenza di pezzature eterogenee di natura antropica non inquinante, purché rispondente ai requisiti tecnici/prestazionali per l'utilizzo delle terre nelle costruzioni, se tecnicamente fattibile ed economicamente sostenibile.

A cura di Luca D'Alessandris-Ambiente.it

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