
La sentenza del processo, prevista per il 23 maggio prossimo, dovrà fare luce sulla morte di 21 operai deceduti tra il 2004 e il 2010 per mesotelioma pleurico dovuto, secondo l’accusa, all’ingente presenza di fibre d’amianto presenti all’interno della fabbrica. Per la procura di Taranto, gli imputati omettevano “di adottare cautele che secondo l’esperienza e la tecnica sarebbero state necessarie a tutelare l’integrità fisica” dei dipendenti oltre “ad altre adeguate misure di prevenzione ambientali e personali” per ridurre la diffusione di polveri dannose. Gli operai, quindi, sarebbero stati “ripetutamente esposti ad amianto durante lo svolgimento di attività lavorative” tanto, secondo l’accusa, da ammalarsi mortalmente.
“Questo lungo dibattimento ha spiegato il pm Graziano durante la sua requiesitoria rappresenta uno spaccato della vita della comunità tarantina. È una vicenda che mostra le gravi violazioni avvenute in fabbrica in materia di sicurezza in fabbrica”. Il magistrato ha ricordato gli esiti delle maxi perizie dell’inchiesta “ambiente svenduto” che hanno certificato la situazione “allarmante” vissuta da operai e cittadini. Le indagini dell’Arpa secondo il pubblico ministero hanno dimostrato la “sostanziale compromissione della salute operai” ed evidenziato come tra nei primi anni ’90 nel capoluogo ionico vi fosse già un tasso di mortalità per mesotelioma pleurico nettamente maggiore rispetto al resto della Puglia. “È possibile pertanto ritenere si legge nelle conclusioni di un documento a firma di Lucia Bisceglia, dirigente dell’Arpa Puglia che i soggetti che hanno prestato servizio presso lo stabilimento siderurgico di Taranto e che risultano registrati nell’archivio Inps nel periodo 1974-1997 mostrano un rischio di morire per mesotelioma pleurico pari a più del doppio rispetto a soggetti confrontabili per sesso, classe quinquennali di calendario e di età della regione Puglia”.
In aula anche il procuratore capo Franco Sebastio che nella sua breve discussione ha mostrato la prima sentenza di condanna dell’Italsider datata 1982. “È un ciclo che si ripete ha spiegato Sebastio, ma a differenza di allora, oggi sento parlare di ‘tenere insieme salute e lavoro’, ma ancora no ho trovato nessuno in grado di spiegare come si fa. La speranza ha concluso il capo della procura è che questa sentenza possa rappresentare una risposta a questo interrogativo”.
Francesco Casula
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