16/01/14

Via entro il 2014 l’ex inceneritore dei rifiuti industriali

Procede lo smantellamento dell’impianto inattivo dal 2005 Sorgeva nell’ “angolo ” dei veleni”, le voci sul caso Karin B
 
In passato si è temuto circa la continuità del Laboratorio ambientale di Syndial, che al petrolchimico occupa 23 lavoratori, cui si somma un'altra decina di dipendenti impegnati sul versante delle bonifiche ambientali. Dalle parole espresse ieri in conferenza stampa dai vertici dell'azienda, pare di scorgere un futuro all'insegna della sicurezza: «Il laboratorio spiega l'amministratore delegato Milani è una presenza importante e molto avanzata, in collaborazione con le autorità di controllo. Grazie al suo lavoro siamo riusciti a fare una serie di prove in campo per nuove tecnologie, applicabili in siti più rilevanti di questo». Il laboratorio è uno dei due presenti sul territorio nazionale targati Syndial (l'altro si trova a Priolo, in Sicilia) e opera nel campo della tutela e del controllo dell'ambiente con servizi di campionamento e analisi di acque, suoli, rifiuti, emissioni in atmosfera e ambienti di lavoro. Complessivamente Syndial svolge la sua attività in una cinquantina di aree dismesse si proprietà. Occupa in totale circa ottocento dipendenti a livello nazionale. (f.t.)
Il materiale ferroso di risulta è già in parte accumulato ai piedi di una torre che tra pochi mesi verrà giù: il crollo è inesorabile, stabilito da tempo. Pinnacolo abbattuto, come del resto lo sarà l’intera struttura del vecchio inceneritore all ’interno del petrolchimico: per la fine del 2014, anche se in assenza di intoppi si conta di anticipare l’esecuzione della “sentenza”, qui verrà tutto spianato. Un’area di circa 13mila metri quadrati, al confine nord-occidentale del polo: per oltre trent ’anni questo è stato “l’angolo dei veleni” di Ferrara, uno tra i dodici impianti italiani specializzati nella distruzione di scorie industriali, una mappa coperta a lungo da un alone di mistero svelato a fine anni ’80 da una commissione governativa. Tiziano Tagliani ricorda bene: «Questo forno, che bruciava prodotti chimici, è stato per molto tempo una tra le maggiori preoccupazioni dei ferraresi. Ora siamo arrivati ad una tappa significativa, di delicatezza particolare, prevista all’interno degli accordi di programma per la riqualificazione del petrolchimico». Il sindaco partecipa, assieme all' assessore all’ambiente Rossella Zadro e al direttore di Unindustria, Roberto Bonora, al sopralluogo che fa il punto nella zona delle operazioni. Iniziate un anno fa, poi a settembre si è dato il via alla vera e propria demolizione (decommissioning è il termine gergale in lingua inglese), effettuata da General Smontaggi: una mole di interventi, anticipata da una bonifica integrale dell’area, che vale un milione di euro. «Siamo ad uno stato di avanzamento lavori del 45% spiegano i tecnici e sono già stati prodotte 550 tonnellate di rifiuti: per metà ferrosi, da rivendere in modo da ricavare valore». Il sito è di proprietà di Syndial, azienda del Gruppo Eni specializzata nelle misure di bonifica e ripristino ambientale: «Noi siamo come i giapponesi che abbandonano l’isola sostiene in modo ironico l’amministratore delegato Giovanni Milani ci occupiamo di raccogliere il patrimonio industriale e immobiliare dismesso per restituirlo alla possibilità di nuovi insediamenti o comunque per renderlo nuovamente fruibile al territorio. Dal 2014 al 2017 spenderemo 15 milioni di euro in demolizioni a Ferrara: non mi attendo tanto redditività  , quanto appunto un colpo significativo in direzione di uno sviluppo futuro». Il forno Monteco, branca aziendale della Montedison, sorse all’inizio degli anni ’70 e venne spento nel 2005, contestualmente all’inceneritore di via Conchetta e pochi anni prima della messa in funzione della nuova centrale di via Diana targata Hera, peraltro non molto distante dal polo chimico. Dove l’impianto a tamburo rotante dedicato a trattare solidi e liquidi era autorizzato per rifiuti speciali e pericolosi, con una capacità di smaltimento di 12mila tonnellate annue. Un impianto piccolo in definitiva, eppure decisamente inquinante. Si sospetta, tra l’altro, che a fine anni ’80 vi siano stati bruciati in parte, se non tutti, i rifiuti tossici che facevano parte del carico della Karin B, la nave dei veleni destinata ad essere affondata nel Mediterraneo vicino alla costa africana, ma rimandata indietro in Italia e poi misteriosamente sparita.

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