Alessandro Bratti. Signor Presidente, il provvedimento che noi oggi discutiamo rappresenta, come è stato ricordato, una svolta significativa, non solo in ambito strettamente giuridico, cioè l'elevare a delitti i principali reati ambientali, ma anche perché credo ci consenta di fare un passo decisivo per definire quale tipo di sviluppo vorremmo per il nostro Paese. Mentre la crisi continua a manifestarsi in tutta la sua drammaticità, soprattutto in perdita di posti di lavoro e aumento della disoccupazione giovanile, l'Italia stenta a scegliere una strada che possa darci un futuro in un mondo globalizzato. Il
modello di sviluppo che ci ha portato fino qui, basato su un uso delle
risorse naturali senza limiti ha mostrato tutti i problemi in termini
soprattutto di inquinamento e spesso di rischio sanitario
per l'uomo. L'ambiente nel senso ampio del termine è sempre stato
considerato un bene comune infinito. Non è così. È grazie alle grandi
battaglie dell'ambientalismo, fin dagli anni Sessanta, mi riferisco al
secolo scorso ovviamente, passando attraverso, purtroppo, a grandissimi
disastri ambientali, pensate a Bhopal o a Seveso, per rimanere in
Italia. Grazie a questo oggi abbiamo acquisito un'altra consapevolezza.
L'ambiente, quindi, come risorsa da sfruttare a sua difesa per impedirne la devastazione: questo è stato il primo grande salto culturale, che ha portato anche nel nostro Paese alla costituzione nel 1986 del Ministero dell'ambiente, con una legislazione che ha rivoluzionato completamente il rapporto tra economia, ambiente e salute. Le prime norme per la gestione dei rifiuti, quelle per preservare le risorse idriche, per la definizione delle aree protette dei parchi, l'Agenzia ambientale per il controllo del territorio sono alcune di quelle che hanno costituito un nuovo quadro regolamentare. Questa rivoluzione legislativa, in parallela a quella europea, sempre più attenta, puntuale e numerosa in termini di emanazione di direttive, ha avuto come principale scopo quello di contrastare gli effetti negativi sull'ambiente che causavano le attività economiche.
Alla fine del secolo scorso, poi, si è affermata una visione ancora più sfidante per i decisori politici, per noi. Da Riva al 1992 si è cominciato a parlare più decisamente di sviluppo sostenibile, concetto che presuppone che l'ambiente assuma un'ulteriore valenza: non solo ambiente come il principale insieme di beni comuni da tutelare in quanto grande casa per l'uomo, ma un'importante opportunità per impostare un nuovo sviluppo basato fondamentalmente sulla cultura della rinnovabilità delle risorse. In questo humus culturale, causa anche la drammatica crisi climatica oltre che economica, si sviluppa la green economy, cui oggi noi facciamo riferimento considerandola come una delle possibili strade da percorrere per dare una prospettiva di sviluppo futuro, una strada che l'Italia per storia e vocazione può e deve intraprendere da protagonista.
Ci si chiederà: ma cosa c'entra l'elevare i reati ambientali dal rango di contravvenzioni a delitti ? Credo che c'entri eccome. Se, infatti, la via dello sviluppo è quella della qualità, della green economy , dell'innovazione, della valorizzazione della nostra agricoltura e delle nostre emergenze storico-culturali, occorre non solo procedere ad una forte semplificazione amministrativa, ma è necessario anche creare un sistema di regole poche e chiare e potenziare le strutture di controllo per garantire alle imprese di qualità e innovative, di stare e affermarsi sul mercato.
Se questo non succede e si lavora solo sulla cosiddetta semplificazione, il rischio è che, in un Paese in cui l'illegalità è purtroppo molto diffusa, ne traggano vantaggio solo quelle attività più spregiudicate e spesso colluse con il malaffare, non quelle più innovative.
È interessante a questo proposito capire, attraverso i dati, di che cosa stiamo parlando, facendo una piccola premessa d'obbligo, che è la seguente. L'Italia è uno dei pochissimi Paesi che, attraverso un'azione costante di enti preposti e, soprattutto, dell'associazionismo, monitora da alcuni anni i fenomeni illegali collegati ai reati ambientali. Paesi considerati molto più avanzati presentano molte di queste problematiche, ma non ne conoscono l'entità: pensate solo al traffico illegale transnazionale dei rifiuti, in ordine al quale porti importanti, anche del nord Europa, svolgono un ruolo da protagonisti al riguardo.
Ma veniamo ai numeri nostri, di casa, italiani. Nel 2012, secondo i dati forniti dal rapporto «Ecomafia» di Legambiente, basato, lo ricordo, sul lavoro della magistratura, dei corpi di polizia giudiziaria, dell'attività condotta anche dalle Commissioni parlamentari d'inchiesta, emerge che sono circa 34 mila i reati, 28 mila persone denunciate, 161 ordinanze di custodia cautelare, più di 8 mila sequestri, per un giro d'affari e questo è un dato che, secondo me, dovrebbe far riflettere di circa 17 miliardi di euro, gestito da oltre 300 clan mafiosi, sei in più rispetto a quelli censiti lo scorso anno.
Il numero degli illeciti ambientali accertati nel 2012 delinea una situazione di particolare gravità: oltre il 40 per cento dei reati è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa Campania, Sicilia, Calabria e Puglia,
seguite dal Lazio, con un numero di reati in crescita rispetto al 2011; ma anche la Toscana e altre regioni del nord, come la Liguria, non stanno certamente meglio. Crescono nel 2012 anche gli illeciti contro gli animali e la fauna selvatica, sfiorando quota 8 mila, una media di quasi 22 reati al giorno e ha il segno «più», purtroppo, anche il numero di incidenti boschivi che hanno colpito il nostro Paese.
È la Campania, comunque, ancora una volta, purtroppo, a guidare quest'anno la classifica dell'illegalità ambientale, con 4.700 infrazioni accertate, oltre 3 mila persone denunciate, 34 arresti: e questo discorso vale sia per il ciclo illegale del cemento che per quello dei rifiuti. Ricordo che, proprio in questi giorni, per la prima volta dopo numerosi anni di denunce, come Parlamento, attraverso la conversione in legge del decreto-legge del Governo n. 136, il decreto cosiddetto «terra dei fuochi», stiamo dando un segnale concreto di risposta ad una situazione emergenziale che riguarda proprio la regione Campania, ma che è, come è noto dalle diverse indagini giudiziarie, determinato da un traffico illegale di rifiuti che, per anni, si è mosso lungo una direttrice nord-sud. Un decreto che ha soprattutto l'obiettivo, oltre che di favorire la bonifica delle eventuali aree inquinate, di salvaguardare una delle maggiori attività economiche di quella regione, ma anche dell'Italia: l'agricoltura. Una situazione molto grave, che, oltre a provocare danni irreparabili alle matrici ambientali, drena risorse importanti all'economia legale e, quindi, soprattutto oggi, in un momento di crisi, va contrastata con tutti i mezzi.
Quindi, per riassumere, tre sono le direttrici su cui sviluppare un'azione di contrasto all'illegalità ambientale. Primo: la semplificazione normativa, che riduca i margini di discrezionalità e di incertezza. Su questo qualche passo avanti è stato fatto. Secondo: la riforma del sistema dei controlli. Dovremo e faccio appello a tutte le forze politiche in pochi giorni licenziare in Commissione ambiente un testo sulle riforme delle agenzie ambientali e dell'ISPRA; una riforma necessaria che assume oggi un'importanza strategica. Sempre nel decreto «terra dei fuochi» abbiamo giustamente stanziato risorse importanti per gli screening sanitari per le popolazioni campane e tarantine soggette ad una forte pressione dell'inquinamento ambientale. Non dobbiamo però dimenticare il ruolo determinante della prevenzione e questo è esercitato in gran parte proprio dalle agenzie ambientali. Terzo: l'introduzione dei delitti contro l'ambiente nel codice penale, come, tra l'altro, era già stato previsto, in sostanza, dalla direttiva comunitaria del 2008. Ed è di questo che oggi stiamo parlando.
Come è stato ricordato da tutti e due i relatori, a cui faccio i complimenti per l'ottimo lavoro svolto in Commissione, il quadro normativo complessivo dei reati ambientali è oggi prevalentemente contenuto nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, cosiddetto Testo unico ambientale, che individua reati di pericolo astratto prevalentemente collegati al superamento dei valori soglia puniti a titolo di contravvenzione. Il testo unificato delle tre proposte di legge inserisce, finalmente, con un intervento di sistema, i reati in materia ambientale nel codice penale, con un nuovo titolo, quindi, dedicato ai delitti contro l'ambiente. Si introducono è stato ricordato all'interno di tale titolo i delitti di inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale di alta radioattività, impedimento al controllo. Si stabilisce che le pene previste possono essere diminuite per coloro che collaborano con le autorità prima della definizione del giudizio, il cosiddetto ravvedimento operoso; si obbliga, dove è possibile, al ripristino dello stato dei luoghi; si coordina la disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche in caso di reati ambientali; si inserisce nel codice dell'ambiente un procedimento per l'estinzione delle contravvenzioni ivi previste collegato all'adempimento da parte del responsabile della violazione di una serie di prescrizioni, nonché al pagamento di una somma di denaro.
È un grande passo avanti, una riforma importante che si aspettava da moltissimi anni. Se riusciremo davvero a sviluppare in tempi brevi quelle tre direttrici che ho sopra ricordato, non solo avremo finalmente costruito un quadro legislativo moderno per tutelare l'ambiente e, quindi, la salute dei cittadini, ma, come ho cercato di dire all'inizio del mio intervento, avremo costruito le regole base per poter consentire davvero alle imprese migliori e di qualità di potersi definitivamente affermare e allo Stato di non essere derubato da quell'economia grigia e nera che oggi, purtroppo, continua a proliferare nel nostro Paese
(Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà) .
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