La
S.C. ha statuito che i materiali bituminosi provenienti da escavazione o
demolizione stradale non possono essere ricondotti all’interno della
categoria delle rocce e terre da scavo, la cui legittimità di
trattamento e reimpiego è subordinata a condizioni di fatto e a garanzia
previste dagli artt. 41 e 41-bis del D.L. 69/2013, conv. nella L.
98/13.In materia di asfalto, quando si rende necessario rimuovere porzioni del manto stradale (ad esempio perché usurati e pericolosi), macchine fresatrici o escavatori demoliscono progressivamente la pavimentazione, frantumando il materiale che la compone: questo materiale è detto fresato d’ asfalto o conglomerato bituminoso di recupero. La norma tecnica UNI-EN 13108-8 definisce il fresato d’ asfalto quale “conglomerato bituminoso recuperato mediante fresatura degli strati del rivestimento stradale che può essere utilizzato come materiale costituente per miscele bituminose prodotte in impianto a caldo”.
In passato, la Corte di Cassazione si era già espressa sul rapporto asfalto e materiali da scavo, stabilendo che la disciplina sulle terre e rocce da scavo non è applicabile in via analogica ai residui di asfalto ed ai conglomerati bituminosi (così Cass. Pen. Sez. III, 15 maggio 2007, n. 23778; conf.
Cass. Pen. Sez. III, 19 giugno 2007, n. 23787).
Ciò premesso, si rammenta che il D.L. n. 69 del 21 giugno 2013 recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, poi convertito nella L. 9 agosto 2013, n. 98[1], in vigore dal 22 giugno 2013, si segnala, in particolare, per la portata delle previsioni dell’art. 41, recante disposizioni in materia ambientale. Questa norma, al c. 2, introduce nell’art. 184-bis del D.L.vo 152/06 (sottoprodotto) il nuovo c. 2-bis, il quale stabilisce che il D.M. 161/2012 “si applica solo alle terre e rocce da scavo che provengono da attività o opere soggette a valutazione d’impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale”.
È di tutta evidenza che l’art. 41, c. 2, mediante l’introduzione del nuovo c. 2-bis all’interno dell’art. 184-bis del D.L.vo 152/06, ha sollevato non poche criticità nell’attuale gestione dei materiali da scavo. Inoltre, l’art. 41 bis del D.L. Fare, al c. 5 così dispone: “Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 [ovvero quelle sui materiali da scavo da piccoli cantieri] si applicano anche ai materiali da scavo derivanti da attività e opere non rientranti nel campo di applicazione del comma 2-bis dell’articolo 184-bis[2] del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, introdotto dal comma 2 dell’articolo 41 del presente decreto”.
Inoltre, l’art. 41 bis del D.L. 69/13 (D.L. Fare) prevede che in tema di materiali da scavo da piccoli cantieri, in deroga a quanto previsto dal regolamento di cui al D.M. 161/12, i suddetti materiali da scavo, prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti, sono sottoposti al regime di cui all’articolo 184-bis se il produttore dimostra:
a) che è certa la destinazione all’utilizzo direttamente presso uno o più siti o cicli produttivi determinati;
b) che, in caso di destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti ambientali o altri utilizzi sul suolo, non sono superati i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, con riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e alla destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione e i materiali non costituiscono fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee, fatti salvi i valori di fondo naturale;
c) che, in caso di destinazione ad un successivo ciclo di produzione, l’utilizzo non determina rischi per la salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo delle materie prime;
d) che ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre i materiali da scavo ad alcun preventivo trattamento, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere.
In conclusione, e tornando al caso di specie, la S.C. aggiunge alla motivazione del Tribunale di primo grado che i materiali bituminosi provenienti da escavazione o demolizione stradale non possono essere ricondotti all’interno della categoria delle rocce e terre da scavo; queste ultime, infatti, sono costituite da materiali naturali, mentre i materiali bituminosi provengono da lavorazione del petrolio e presentano un evidente potere di contaminazione, cui segue l’attribuzione di codice CER 17.04.01 o 02, con conseguente classificazione come rifiuto diverso dalle terre e rocce.
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