19/04/13

Anche la sostenibilità è a rischio bolla

L'attualità dei "limiti dello sviluppo"

Non è un caso che in quegli anni gli attacchi al rapporto provenissero da tutti quei fronti ideologici e politici che non mettevano minimamente in discussione il concetto di crescita economica materiale e quantitativa delle società umane e la nostra evidente impossibilità di sorpassare i limiti dei sistemi naturali del nostro pianeta.

Le conclusioni del rapporto del 1972 furono le seguenti:

Nell'ipotesi che l'attuale linea di crescita continui inalterata nei cinque settori fondamentali (popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali) l'umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali della crescita entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso, incontrollabile declino del livello di popolazione e del sistema industriale.

È possibile modificare questa linea di sviluppo e determinare una condizione di stabilità ecologica ed economica in grado di protrarsi nel futuro. La condizione di equilibrio globale potrebbe corrispondere alla soddisfazione dei bisogni materiali degli abitanti della Terra e all'opportunità per ciascuno di realizzare compiutamente il proprio potenziale umano.

Se l'umanità opterà per questa seconda alternativa, invece che per la prima, le probabilità di successo saranno tanto maggiori quanto più presto essa comincerà a operare in tale direzione.

Nessun documento è stato capace di scatenare un dibattito così significativo sul dogma della crescita economica come è riuscito a fare  "I limiti dello sviluppo".

La politica e l'economia hanno fatto veramente molto poco, in questi decenni, per invertire seriamente la tendenza degli effetti disastrosi di una continua crescita materiale e quantitativa dell'impatto della nostra specie sul nostro pianeta ed oggi cominciamo a pagarne conseguenze sempre più significative.

Diventa quindi veramente difficile immaginare che una continua crescita economica, scontrandosi sempre più con i limiti ambientali, possa proseguire indisturbata ed è francamente preoccupante che questa "visione" sia ancora dominante nella politica e nell'economia mondiali. Siamo sempre più consapevoli che non può esistere una sostenibilità del nostro sviluppo sociale ed economico se cerchiamo continuamente di oltrepassare i limiti delle dimensioni biofisiche dei sistemi naturali e se indeboliamo la loro vitalità.
Diventa sempre più urgente e necessario "voltare pagina".

Secondo Randers ed il suo scenario il processo di adattamento dell'umanità ai limiti del pianeta è lentamente iniziato. Nel corso dei prossimi quarant'anni, gli sforzi per limitare la nostra impronta ecologica continueranno. La futura crescita della popolazione globale e il PIL saranno vincolati non solo da questo sforzo, ma anche dal rapido declino della fertilità a causa dell'urbanizzazione, dal declino della produttività a causa dei disordini sociali e dal perdurare dello stato di povertà di due miliardi di cittadini del mondo.

Allo stesso tempo, ci saranno progressi significativi nell'efficienza dell'utilizzo delle risorse e nelle soluzioni eco-compatibili. Ci sarà anche uno spostamento dell'attenzione verso il benessere umano piuttosto che per la crescita del reddito pro capite.

Sulla base del vasto database che sottende all'elaborazione di "2052" appare che la risposta umana sarà comunque troppo lenta. Il fattore più critico saranno le emissioni di gas serra derivanti dalle attività umane. Queste emissioni resteranno così alte che i nostri nipoti molto probabilmente dovranno convivere con un significativo riscaldamento globale nella seconda metà del XXI secolo.

Secondo "2052" la popolazione globale raggiungerà il livello massimo prima del previsto a causa della fertilità che diminuirà drammaticamente tra la popolazione sempre più urbanizzata. La popolazione dovrebbe raggiungere il suo picco di 8.1 miliardi di persone subito dopo il 2040 e poi inizierà a decrescere. Il PIL globale crescerà più lentamente del previsto a causa della più bassa crescita della popolazione e i tassi di crescita della produttività scenderanno. Il PIL globale dovrebbe raggiungere 2,2 volte i livelli attuali intorno al 2050. La crescita della produttività sarà più lenta rispetto al passato sia a causa dei crescenti conflitti sociali che delle interferenze negative generate da condizioni meteorologiche estreme.  Il tasso di crescita del consumo mondiale rallenterà perché una quota maggiore del PIL dovrà essere riallocata negli investimenti - al fine di risolvere i problemi creati dall'esaurimento delle risorse, dall'inquinamento, dai cambiamenti climatici, dalla perdita della biodiversità e dall'ingiustizia sociale. Il consumo globale di beni e servizi dovrebbe raggiungere l'apice nel 2045. Come conseguenza di un aumento degli investimenti sociali nei decenni a venire (anche se spesso involontario e in reazione alla crisi) i problemi riguardanti la crisi delle risorse e del sistema climatico non diventeranno catastrofici prima del 2052. Ma ci sarà molta inutile sofferenza a causa dell'ininterrotto danno climatico verso la metà del XXI secolo. La mancanza di una specifica ed energica risposta nella prima metà del XXI secolo metterà il mondo su una pista pericolosa nella direzione dell'auto-rafforzamento del riscaldamento globale nella seconda metà del XXI secolo.

La crescita lenta dei consumi pro capite in gran parte del mondo (e la stagnazione del mondo ricco), porterà ad un aumento di tensioni sociali e conflitti, riducendo ulteriormente la crescita ordinata della produttività. L'enfasi dominante sulle prospettive di breve periodo basate sul capitalismo e la democrazia faranno sì che le decisioni sagge e lungimiranti necessarie per il benessere a lungo termine non saranno realizzate in tempo. La popolazione mondiale sarà sempre più urbana e meno disposta a proteggere la natura per il suo stesso interesse. La biodiversità soffrirà.

L'impatto sarà diverso tra le cinque regioni analizzate nel libro: gli Stati Uniti; le altre nazioni dell'OCSE (compresa l'Unione europea, il Giappone e il Canada, e la maggior parte degli altri paesi industrializzati); la Cina; il gruppo del BRISE (Brasile, Russia, India, Sud Africa, e dieci altre grandi economie emergenti); e il resto del mondo (i restanti 2,1 miliardi di persone in fondo alla scala del reddito). Il perdente più inatteso sarà l'attuale élite economica, in particolare negli Stati Uniti (che sperimenteranno una stagnazione dei consumi procapite per la prossima generazione). La Cina sarà la vincitrice. I paesi raggruppati nel BRISE faranno dei progressi. Il resto del mondo rimarrà povero. Tutti - e in particolare i poveri - vivranno in mondo sempre più disordinato e danneggiato dal cambiamento climatico.

Lo scenario che emerge dal volume di Jorgen Randers nella straordinaria tradizione dei rapporti sui limiti della crescita voluti dal Club di Roma, costituisce una documentata e articolata analisi della necessità di non perdere ulteriore tempo prezioso. Abbiamo bisogno di una democrazia capace di maggiore rapidità decisionale; i grandi cambiamenti globali che abbiamo pericolosamente indotto nei sistemi naturali del nostro piane

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