
La chiesa sconsacrata
Ulderico Baglietti, classe 1939, era già stato definito nel 1979 e sul finire del campionato di serie B, quando Roversi gli cedette il passo, “l’innovatore”. Un uomo che ha fatto della pallavolo la sua vita, da schiacciatore prima e da alzatore poi. «Abitavo in corso Isonzo – ricorda Baglietti – e già da piccolo avevo iniziato a giocare nel campetto della parrocchia di San Biagio, così come a scuola con i campionati studenteschi. Poi per un anno giocai nei pulcini della Spal a calcio. Mi distrussero un ginocchio e cambiai rotta. A 18 anni, visto che ero abbastanza bravo e me la cavavo bene, mi chiamarono a giocare nei campionati universitari e mi diedero anche un documento con un nome falso: Loris De La Giorgia. Giocai nei Vigili del Fuoco, per l’associazione marinai e nei diversi tornei ai lidi nelle mitiche sfide fra i diversi bagni che si contendevano il primato estivo».
E con padre John Caneparo iniziò ad allenare le giovanili della 4 Torri negli anni ‘60. «Poi andai a Copparo, allenando amici che giocavano anche con me. A Montecatini andammo a fare i campionati italiani Csi under 18, dove eliminammo, in Emilia, sia la Panini che la Casadio Ravenna, squadre che avevano i due allenatori, Anderlini e Costa, all’epoca i più quotati nel panorama del volley della nazionale». Da qui, deriva la sua filosofia della difesa. «Avevamo una difesa paurosa, perché tiravamo su di tutto. Incuriositi mi chiesero come facevamo e gli risposi che ci allenavamo in 8 in una chiesa sconsacrata, piccolissima, dove il campo era 9 metri per 9, e lì la difesa era continua. Non c’erano tempi morti e proprio la difesa ti distrugge lo schiacciatore».
Una sorta di precursori del ruolo del libero nel volley dei nostri giorni. «Sì, proprio così. Dopo questa esperienza, fra il ’74 e il ’75 continuai ad allenare le giovanili andando anche a Sant’Agostino, portando Scalabrin dalla 4 Torri di Ferrara per farlo crescere. Fummo promossi nell’allora B1, battendo i giocatori del Sassuolo che venivano dalla A1. Fu un campionato molto bello». Raggiunta la serie B, i ragazzi della 4 Torri chiesero a Ulderico Baglietti di diventare il loro allenatore fra il ’78 e l’80.
«Provai e fummo promossi in A2 contro il Treviso. Poi andai con Carmelo Pittera ad allenare la nazionale italiana a Roma, dove arrivammo secondi al campionato del mondo battendo Cuba. E da quell’esperienza consolidai i miei principi dei tempi morti. Pittera ripeteva sempre: “Tanta tecnica, perché la pallavolo la esige, e ridurre i tempi morti”. Per andare a prendere i palloni, infatti, facevo fare due o tre tuffi per terra. Tanti piccoli espedienti per formare poi dei grandi giocatori. Sicuramente ho avuto la fortuna di avere dei bravi giocatori, fra l’80 e l’81, come Bratti, Zambelli, Zanolli, Roberto Rossetti, Fusi, Fagioli, Ferruccio e Roberto Poli, Scalabrin, Tosi e Merlo. Con loro conquistai subito il vertice in A2».
Grandi risultati
In cinque anni da allenatore Baglietti ottenne due secondi posti in A2 e tre terzi posti. «In tanti anni ho giocato molto e ho avuto la fortuna di stare a contatto con i più grandi dirigenti del volley di oggi. E come i grandi cantanti, sono un po’ presuntuoso nel dirlo, mi sono ritirato nel momento giusto».
Le trasferte con i panini e le “torture” a Bratti
«Andavo a pescare i giocatori per le giovanili anche nelle squadre di altri sport. Uno di quei giovani fu proprio Alessandro Bratti,unodi quelli che ho “torturato” forse di più – rammenta Baglietti -. Ricordo che sua mamma, Fosca, ci faceva i panini per risparmiare sulle trasferte. Bei tempi. Poi, fatto il percorso di allenatore,ho capito che vicino a un allenatore discreto ci voleva anche un bravo dirigente che fosse pure un tecnico. E dopo tre anni o cambi tutti i giocatori,oppure ti cambi tu. Così cominciai con Aldo Bendandi, a fine anni ’80, un uomo di una maturità superiore, insegnante all’Isef di Urbino. Poi come dirigente fui nell’avventura,sempre a Ferrara, con Nino Beccari, Tabordae Travica e fu una parentesi con sei squadredi serie A».
«A loro seguirono le compagini di Barbieri e Cuoghi. Poi,fra il 2008 e il 2009, Sandro Bratti e il padre Luciano mi chiesero di rifare una squadra con principi sani e così ci siamo ritrovati di nuovo nei panni della 4 Torri». Ma molte sono le differenze tecniche fra la pallavolo di allora e quella di oggi.«Nonc’era il bagher, si saltava su una gamba
sola come fanno le donne adesso, addirittura si schiacciava di taglio perché era più forte e la battuta era da sotto. La cosa più assurda, andando avanti nella pallavolo quando ho cominciato a fare l’allenatore a certi livelli: dalla panchina non potevi suggerire al giocatore tecnicamente nemmeno su come muoversi. E’ indubbio che adesso la forza fisica fa la differenza e l’elevazione è
determinante. Basta guardare la velocità delle battute in salto con una palla molto più veloce ».
«Poi c’è la tattica: devi raffrontarti con gli scout che fai, tuoi e degli avversari. Io ebbi la fortuna che, quando eravamo a Roma, Pittera mi mise a fare gli scout di Kim Ho-Chul, il famoso alzatore coreano, vedere palleggiare lui con le sue tattiche e vedere le sue priorità di palla ho visto che le tattiche sono molto importanti. Quello che sta facendo adesso Zambelli: vedere dove schiaccia l’avversario e dove tu giocatore ti devi posizionare in difesa». MaBaglietti fu anche il primo in Italia a portare lo stretching. «Lo inserii nella pallavolo dieci anni prima del calcio e qualche anno prima del basket, perché avevo visto Rudolf Nuriev nella danza classica così elastico: chiesi a un’insegnante di danza che pesi adoperavano e lei rispose che facevano molti allungamenti. Poi Angelo Marocchino mi portò da Bali, quando era con la nazionale italiana, un libro sullo stretching e mentre gli altri correvano noi facevamo 12 minuti di esercizi. Ci guardavano tutti, come i vari Lucchetta e Zorzi. Il calcio ci arrivò dopo 4o5 anni». La palla, il campo e ora, nelvolley moderno, la figura del libero…
«Il libero oggi mi piace moltissimo.Ho visto Zappaterra lo scorso anno e Poli: i liberi devono avere grande intelligenza tattica e molta tecnica. Ricevono delle pallonate a oltre 120 chilometri all’ora e la devono dare in bagher all’alzatore. Molte volte ora riusciamo a vedere che un’azione si vince per merito del libero». Il cambio palla è solo un ricordo. «Ho fatto fatica a farmi piacere il nuovo sistema di gioco che ha tolto l’estrosità dell’alzatore, che prima poteva anche rischiare il cambio palla con una giocata spettacolare: ora deve fare solo punto. Ma l’alzatore è ancora, in assoluto, il registra della squadra»
Federica Achilli
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