24/03/11

Il nucleare: non è la soluzione!

Lo stato dell'arte

Il documento del Mit (Massachusetts Institute of Technology) che aggiorna un report del 2003 al 2009 sottolinea che, nonostante l'attenzione sul tema sia cresciuta e nuove politiche di rilancio siano state annunciate in molti paesi, lo sviluppo del nucleare è in calo a livello globale. Ad eccezione dell'Asia, e in particolare di Cina, India e Corea, esistono infatti pochi progetti concreti. Si tratta di 44 impianti attualmente in costruzione di cui solo 4 nei Paesi UE a 27 (due in Bulgaria).
Negli Stati Uniti non vi è attualmente alcun cantiere aperto ed il lento sviluppo del nucleare, rispetto agli annunci e alle previsioni, rende meno probabile lo scenario di espansione ipotizzato nel 2003 (mille Gwe nel 2050 di cui 300 negli USA). Viene inoltre ribadito il concetto chiave che in un'economia di mercato il nucleare non è competitivo rispetto al gas o al carbone. I costi del capitale e i costi finanziari delle centrali nucleari continuano ad essere infatti significativamente incerti.
Dal 2003 i costi di costruzione delle centrali nucleari sono aumentati drasticamente, con una media del 15 per cento all'anno in più, come dimostrano le esperienze in Giappone e Corea. Nel 2007, secondo i nuovi dati del Mit, realizzare una centrale nucleare costa 4.000 dollari per kW contro i 2.000 di quattro anni prima. Un aumento molto più consistente di quanto accaduto nel carbone e nel gas attualmente stimate a 2.300 dollari e 850 dollari a kW contro i 1.300 e 500 del 2003. Una crescita che si ripercuote inevitabilmente anche sui costi finali dell'energia: dai 6,7 centesimi a kilowattora stimati nel 2003 il nucleare è passato ad un costo di 8,4 cent a kilowattora contro i 6,2 del carbone ed i 6,5 del gas. In buona sostanza perché il nucleare sia competitivo oggi deve essere incentivato al pari delle energie rinnovabili.
La Commissione europea riporta che le prospettive di investimento nel nucleare sono più interessanti se si pone l'attenzione alla sostituzione o all'estensione della durata di vita delle centrali nucleari che raggiungeranno il termine della loro vita utile originariamente al 2020 piuttosto che a nuovi impianti. Secondo le previsioni attuali (che tengono conto delle decisioni definitive sulle nuove centrali nucleari, delle estensioni della durata di vita utile già approvate e dei progetti già annunciati di abbandono progressivo del nucleare) la capacità nucleare della UE potrebbe diminuire di 33 Gwe. Nel documento citato rispetto ai nuovi progetti di investimento in Europa oltre ai due reattori nucleari in Finlandia e Francia, fra le realizzazioni certe vi sono due unità in Bulgaria e due unità in Slovacchia e il via libera a nuovi impianti di Inghilterra e Italia.
Riguardo il grado di accettabilità che il nucleare ha presso le popolazioni si ribadisce che questo è fortemente legato alla disponibilità di soluzioni sicure e permanenti per la gestione dei rifiuti radioattivi, questione ben lungi da essere risolta.
Particolare attenzione viene poi data al fatto che gli impianti nucleari devono essere attentamente protetti sia contro i tentativi di sabotaggio che contro gli eventuali attacchi terroristici e l'eventuale furto di materiale nucleare. Così come nel documento del MIT viene sottolineata l'incertezza della convenienza economica di produrre energia elettrica del nucleare rispetto al carbone e al gas e si ribadisce la necessità di ricorrere a misure pubbliche per favorire il finanziamento, anche se il finanziamento della costruzione di nuove centrali nucleari spetta agli operatori privati.
Rispetto alla sicurezza nucleare la proposta di Direttiva EUROATOM definisce in maniera precisa le caratteristiche dell'Autorità di regolamentazione raccomandandone la competenza e l'indipendenza. All'art. 9 si sottolinea la necessità di avere a disposizione di esperti nella materia, ricordando che nei decenni passati non è stato fornito un numero sufficiente di specialisti e che quindi in questo settore sussiste anche il problema dell'invecchiamento del personale e degli ispettori. Si ricorda inoltre l'obbligo di garantire la disponibilità di sufficiente personale qualificato, riconosciuto anche dall'art. 11 della Convenzione sulla sicurezza nucleare. Per ultimo viene dedicato l'art. 5 alla Trasparenza, per garantire ai cittadini di partecipare ad un processo decisionale trasparente.

Il nucleare in Italia



La scelta del Governo in materia energetica di rientro del nucleare attraverso la legge 99/2009 e i successivi decreti attuativi, compreso quello per i criteri di localizzazione delle centrali nucleari, da oggi "congelato" in Parlamento rischia di allontanare l'Italia dalle politiche di fondo dell'Europa in materia di energia: infatti pur dichiarando un impegno sulle fonti rinnovabili e sulle politiche di implementazione del risparmio e dell'efficienza energetica, il Governo tende a sospingere l'Italia in tutt'altra direzione, con scelte che potrebbero ipotecare il futuro energetico del Paese per i prossimi 40 o 50 anni, puntando come scelta prioritaria sul "nucleare" di terza generazione, prima con l'accordo con i francesi e poi con un accordo italo-russo che se da un lato promuove uno scambio riguardo alla ricerca, dall'altro inquieta perché non dice con chiarezza quale ruolo i russi avranno riguardo alla costruzione delle eventuali centrali in Italia. Una contraddizione resa ancor più stridente dalla recente emanazione del Decreto attuativo della Direttiva europea per lo sviluppo delle rinnovabili in Europa che ha gettato nel caos la parte più innovativa delle imprese italiane.

Una scelta, quella del nucleare, che al di là della grande tragedia giapponese, è fuori tempo massimo e del tutto unica nel mondo occidentale (l'unico Paese che da zero parla di implementare del 20% al 2030 l'energia prodotta con il nucleare). Sarebbe fin troppo semplice cavalcare l'onda dell'emotività che si è determinata oggi nel mondo per evidenziare le grandi incognite che una tecnologia come quella nucleare porta con sé. Così come non si può non stigmatizzare il comportamento di questo Governo, che nell'arco di pochi giorni è passato da una difesa strenua della scelta nucleare a ritenere meramente a scopi di consenso elettorale tale scelta forse non così necessaria per il Paese.
Senza portare considerazioni di carattere ideologico, tra l'altro a mio parere assolutamente pertinenti, e, ripeto, il dramma di Fukushima dovrebbe anche aprire delle riflessioni più generali sul futuro energetico mondiale, vorrei entrare nel merito della scelta del Governo italiano per evidenziarne alcuni punti di debolezza certi.

E il libero mercato?

Intanto nessun approfondimento - doveroso - è stato fatto in merito a ciò che questa scelta può comportare per il funzionamento del mercato che, a fatica, è stato costruito in questi anni nel settore dell'energia elettrica; mercato che corre il rischio di essere pesantemente messo in discussione da un approccio che non consideri - magari per proporre idonee soluzioni - le difficoltà che possono nascere nel momento in cui si ipotizza che il 50% del mercato abbia prezzi che non si determinano nel mercato stesso, ma sono fissati dal potere politico. Dire che "la costruzione e l'esercizio degli impianti nucleari sono considerate attività di preminente interesse statale", così come è nell'articolato di legge proposto, è solo il primo passo verso un nucleare realizzato sotto la guida dello Stato: il nucleare farà eccezione allo schema di mercato secondo cui funziona oggi il mercato elettrico. È compatibile questa scelta con le direttive UE? In questo senso, il protocollo stipulato con la Francia, con cui di fatto si assegnano prioritariamente ad alcuni operatori i siti in cui costruire le centrali, può prefigurare scenari competitivi preoccupanti, e la stessa scelta di una tecnologia, quella EPR, rispetto alla quale noi italiani siamo stati sin qui sostanzialmente esclusi dal punto di vista della produzione «intelligente», lascia presagire un rischio elevato di colonizzazione tecnologica e di scarso coinvolgimento della nostra capacità di ricerca.
Non sono stati fatti passi in avanti per quanto riguarda l'individuazione del deposito di superficie: nel 2012 torneranno dall'Inghilterra e nel 2020 dalla Francia le scorie relative alle centrali chiuse a seguito del referendum del 1987, mentre siamo ancora intorno al dieci per cento di decommissioning effettuato. La credibilità di una scelta difficile e complessa come quella in esame si misura - come si è detto - anche dai primi passi concreti. La campagna per le elezioni regionali e le attuali dichiarazioni dei governatori hanno di fatto escluso la possibilità di localizzazione di alcunché di nucleare nelle loro regioni: in maniera bipartisan, è vero, ma forse con qualche responsabilità in più da parte di chi, come membro del Governo, aveva da poco approvato il corrispondente decreto. L'onda emotiva susseguente al disastro giapponese e i relativi sondaggi hanno indotto un atteggiamento, che definire superficiale è poco, che ha portato il Ministro all'Ambiente e quello dello Sviluppo economico a cambiare in ventiquattr'ore completamente idea rispetto alle grandi qualità del nucleare

Chi si occupa di ciò che resta?

A questo si aggiunga il dato, più puntuale, che nelle disposizioni recentemente approvate vi è un importante cambiamento rispetto alle proposte della Commissione tecnica nominata dal Ministro Bersani nel 2007: invece che affidare il compito di localizzare e realizzare il deposito a una Agenzia Pubblica (come avviene ovunque) si è pensato di far svolgere queste attività alla Sogin. Si può perciò parlare di "privatizzazione delle attività concernenti il trattamento e la custodia dei rifiuti nucleari", perché Sogin è una società "privata" anche se oggi è totalmente posseduta dal Tesoro (ma si è parlato a lungo - da parte del Governo - di fare entrare nel suo capitale Finmeccanica o Ansaldo o anche soci privati).
È invece necessario che, insieme all'assoluta chiarezza sulla destinazione del combustibile irraggiato e dei rifiuti, così da dare garanzie sulla chiusura del ciclo e non lasciare eredità pesanti o almeno non valutate alle generazioni future, chi si occupa dei rifiuti sia preoccupato unicamente della sicurezza e della protezione della popolazione. Un soggetto che produce rifiuti nucleari, che abbia obiettivi di profitto e che non sia in grado di garantire di occuparsi dei rifiuti per qualche secolo desta preoccupazioni. Il fatto che a Sogin venga affidato in esclusiva anche in futuro il compito di smantellare gli impianti (e forse anche di partecipare alla costruzione dei nuovi) rende ancora meno accettabile la soluzione prevista. Vi sarebbe infatti un potenziale conflitto di interesse tra un soggetto che deve cercare di smaltire rifiuti al minimo costo e con utili e un soggetto che li deve ricevere e custodire con la massima sicurezza. Ed altre cose si potrebbero dire in termini di garanzie finanziarie, sulle quali vi è più di un'ambiguità su questo tema, nonché di costi e coperture assicurative.

Quale sicurezza?

Un altro anello assolutamente debole dell'azione del Governo riguarda la Agenzia per la sicurezza.
Innanzitutto non è garantita la terzietà della struttura, in quanto non si capisce perché un organo che ha funzioni fondamentalmente di controllo debba vedere due rappresentanti del Ministero dello Sviluppo economico, quasi a costituire una sorta di presidio di controllo dell'operato della agenzia stessa.
Nel passato, con il passaggio della DISP (Direzione Centrale per la Sicurezza Nucleare e la Protezione Sanitaria dell'ENEA) all'ANPA (Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente), quindici anni fa si era risolto il problema del controllore/controllato e si era raggiunto finalmente un alto grado di indipendenza dell'Ente di controllo, che non era più collocato nella sfera del Ministero dell'Industria ma in quella del Ministero dell'Ambiente. Ora si è fatto il percorso inverso, creando una nuova Agenzia per portarla nella sfera del Ministero dello Sviluppo economico. Non vi è altro motivo. Non è irrilevante che sia proprio il Ministro dello Sviluppo economico il regista dell'operazione.
La scelta di costituire la nuova Agenzia attraverso l'unione di 50 operatori di ISPRA (Istituto Superiore Per la Ricerca Ambientale), ex agenzia dell'ambiente APAT (ex "nuclearisti" di APAT) con 50 persone di ENEA non risolverebbe il problema principale, che è quello della forte carenza di personale giovane. L'età del personale che in ENEA ha una competenza nucleare, ancorché di esercente, non è diversa da quella dell'ISPRA ed è molta avanzata. Il Governo propone quindi l'istituzione di un'Agenzia di importanza fondamentale senza prevedere spese aggiuntive in tema di formazione e di assunzione di personale.
Una nuova Agenzia autonoma richiede unità di servizi (personale, amministrazione, servizi generali ecc.) per le quali non sarebbero sufficienti le poche persone di supporto amministrativo presenti nel Dipartimento Nucleare, Rischio Tecnologico e Industriale dell'ISPRA.
Non è chiaro, anzi non è proprio previsto se l'Agenzia opererà anche tramite strutture regionali. Oggi il sistema di allarme radiologico è molto capillare e diffuso e numerosi sono gli enti che se ne occupano. Vi sono alcune regioni (Piemonte, Emilia Romagna) che possiedono reti di allerta. Le professionalità che oggi sono incardinate nelle Agenzie regionali per l'Ambiente non è chiaro come si collocano rispetto al progetto presentato. Al solito, così come è stato per la costituzione di ISPRA, si sceglie una strada fortemente centralista e poco attenta alle autonomie regionali e locali.
Per diversi anni l'attività di controllo sarà ancora destinata al decommissioning e alla sistemazione dei rifiuti radioattivi. Sarebbe impensabile far partire nuove centrali senza prima aver sistemato le vecchie e soprattutto senza aver realizzato le strutture necessarie per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi.
È comunque evidente, così come più volte riportato da nuclearisti convinti, che un assetto del nostro sistema energetico basato sul nucleare può realizzarsi solo attraverso la condivisione con la larga parte dei cittadini di questa scelta. Il Governo, invece, parla di siti di interesse strategico e pare intenzionato ad affidare alla neonata Agenzia per la difesa spa le gestione di tali luoghi.

Non solo penso che il nucleare in Italia sia difficilmente realizzabile, ma penso anche che questa scelta non avvantaggerà il tessuto imprenditoriale del paese che è basato sulla piccola media impresa e non sulla grande industria. Il futuro dell'Italia è nella green economy, è in tutte quelle soluzioni che vedono nel risparmio energetico e nello sviluppo delle rinnovabili non solo una scelta indispensabile per una nuova via allo sviluppo ma anche la strada maestra per consentire alle imprese di uscire dall'attuale crisi economica verso un futuro più certo e sicuro

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