14/09/09

Riflessioni di un militante da fb..

Riporto la riflessione che un elettore PD ha scritto in una nota su Facebook.....

Leader del movimento studentesco di sinistra negli anni '70. Direi per i miei ricordi del Liceo una delle menti più brillanti ..Perchè Franceschini


Il punto di partenza è ... il futuro. Cioè l'idea di Stato e, più in generale, di Paese e di mondo che emergono dalle tre proposte. Mi perdonerete tutti per la schematicità.

Sono d'accordo col sen. Ceccanti quando considera "incompleta" la candidatura stessa di Marino (vedi http://www.ceccanti.ilcannocchiale.it/). Essa infatti ruota quasi interamente attorno ad un unico tema, quello della laicità dello Stato, che è certamente fondamentale, ma che da solo non definisce certamente l'identità del PD, ma anche del Paese nel suo complesso. Non me ne vogliano i sostenitori del prof per questo giudizio lapidario.

Le altre due, a mio giudizio, si differenziano sostanzialmente su quattro tematiche: l’analisi della realtà italiana, la qualità dello sviluppo economico, la strategia delle alleanze e l'ipotesi di legge elettorale, la forma partito.

1. Mi convince e condivido l’analisi di Franceschini sulla situazione della società italiana: lo spartiacque fra destra e sinistra caratterizzato, da quella parte, dalla rendita della strategia della paura e da questa dalla voglia di futuro e di speranza (che è un modo diverso e secondo me molto più pregnante di definire l’ottimismo). Poi la necessità di rompere l’egemonia culturale della destra, che si è fatta senso comune per tanti durante gli ultimi 15 anni, grazie soprattutto all’uso spregiudicato dei media da quando Berlusconi è entrato in politica e che ha prodotto effetti esiziali sulla percezione che molti italiani hanno della realtà del Paese.
La soluzione del conflitto di interessi deve perciò tornare ad essere una priorità dell’azione del PD.

Sulle medesime tematiche mi pare invece di cogliere sul fronte bersaniano accenti e sfumature diverse; come se in nome del realismo della politica si potesse dimenticare l’assoluta anomalia democratica costituita da Berlusconi e fosse possibile assimilare la situazione italiana di oggi a quella di una normale democrazia dell’alternanza. Quanti altri vani tentativi di accordo dobbiamo tentare per comprendere che Berlusconi, grazie al controllo diretto dell’informazione, non è riconducibile ad un leader politico “normale”?
Dopo le rivelazioni su escort e festini, se è vero che il consenso degli italiani nei suoi confronti non è diminuito significativamente e immaginando che la maggioranza del Paese in condizioni “normali” non avrebbe accettato da un premier un comportamento di quel tipo, emerge con chiarezza che oggi gli italiani continuano ad appoggiare Berlusconi perché non intravedono un’alternativa credibile, nonostante il degrado dimostrato ed anche la disistima nei suoi confronti. Questa condizione, assimilabile a quella di chi “ha venduto l’anima al diavolo”, è molto pericolosa in quanto, una volta rotto il muro dell’etica condivisa, lascia le persone indifese anche nei confronti delle ipotesi più abbiette (xenofobia, razzismo, egoismo territoriale e di status).

2. L'idea di sviluppo che emerge dal testo di Bersani mi pare di stampo tradizionale e per certi versi solo difensiva. Certo c'è la crisi e bisogna prioritariamente difendere chi ha perso o rischia di perdere il lavoro (ma su questo credo siamo tutti d'accordo).
C'è però il dopo. Quella cosa che una volta si chiamava "modello di sviluppo", che non può, a mio avviso, ridursi ad una semplice riproposizione in chiave di maggiore efficienza dell'esistente. Servono un cambio di passo ed un salto di qualità.
In quest'ottica la posizione sul nucleare perde ogni connotazione ideologica (nucleare "cattivo" a prescindere), ma assume un significato emblematico e dà, in un certo senso, la misura della subalternità rispetto alla visione del mondo neoliberista che ha imperversato, non solo in Italia, negli ultimi 10 anni.

Sono anch’io convinto che questa crisi sia la prima di una serie che l'occidente è destinato a subire finché non avrà cambiato radicalmente il proprio modo di consumare e di rapportarsi con il resto del mondo e, più in generale, con le risorse del pianeta. Le sue radici sono infatti riconducibili ad un problema di eccessivo indebitamento (pubblico o privato importa poco), che negli ultimi due decenni è stato tollerato (quando non incentivato o addirittura indotto) dalle autorità economiche per alimentare uno sviluppo drogato, senza il quale le economie occidentali avrebbero rischiato di collassare.
Continuare su questa strada per il futuro non è possibile: la riduzione dei consumi e dell'impatto ambientale sono le uniche soluzioni possibili dell'equazione, a maggior ragione ora che Cina e India iniziano a reclamare con forza la loro parte. Prima ancora di essere un tema etico, è una questione di compatibilità ambientali ed economiche.
In questo contesto il possibilismo sul nucleare di Bersani, tenendo anche conto dei tempi di realizzazione delle centrali, prefigura il rifiuto di una scommessa di un modello economico diverso per il futuro. La rinuncia ad ogni lungimiranza in nome di una'ipotetica concretezza di corto respiro e peraltro tutta da dimostrare. In sostanza, della discontinuità in atto non vengono colte le opportunità, ma solo i rischi, per i quali si propongono rimedi già noti.

3. Sempre Ceccanti nel suo blog utilmente contrappone il "modello Ulivo" (1996) al "modello Unione" (2006). Si tratta evidentemente di una piccola forzatura, nella misura in cui non si può certo affermare che tutto il bene sia da una parte e tutto il male dall'altra. L'Ulivo era senz'altro una compagine più coesa dell'Unione: peccato non avesse una maggioranza autonoma e fosse perciò soggetta ai condizionamenti di Rifondazione.
L'Unione però è stato un tentativo sbagliato dalle fondamenta: un'accozzaglia di partiti e partitini, ognuno dei quali si è trovato nelle condizioni di poter esprimere un potere di veto. L'enciclopedico e ipertrofico programma elettorale del 2006 è la dimostrazione tangibile dell'inconciliabilità intrinseca delle posizioni/interessi presenti nella coalizione.

L'ipotesi di sistema elettorale sponsorizzata a più riprese da Bersani (maggioritario alla tedesca) prefigura inesorabilmente uno scenario in cui, in un contesto semplificato rispetto a quello del 2006 grazie allo sbarramento, un partito di centro (Casini/Montezemolo/(Rutelli ?)/ecc.) diventa l'ago della bilancia e decide di volta in volta con chi allearsi a seconda di chi concede le condizioni migliori.
Il risultato non può che essere un sistema politico bloccato e che non riesce a decidere sulle questioni più significative; una sorta di riedizione dei governi dell’ultima parte della prima repubblica (che a volte par di intuire molti sembrano rimpiangere) dove le lobby e le clientele la facevano da padroni e dove la pratica consociativa era la prassi per realizzare qualunque minimo cambiamento, che per forza di cose non poteva mai assurgere al livello di una riforma organica e avveniva comunque sempre al di fuori del Parlamento.
E' preferibile allora un'ipotesi più lineare dove due schieramenti coesi si contendono il governo del paese. La legge elettorale deve perciò essere basata su meccanismi che obblighino all'accordo prima delle elezioni: l'uninominale più o meno corretto (però allora con sbarramento) mi sembra da questo punto di vista preferibile.
Mentre il concetto di “vocazione maggioritaria”, così come espresso originariamente da Veltroni non mi ha mai convinto (andare alle elezioni da soli; cioè quasi), la rilettura che ne fa Franceschini, che ne allarga la portata ad una coalizione coesa (modello Ulivo) e la svincola così da un’ipotesi bipartitica stretta, mi sembra molto più realistica e adeguata alla realtà italiana.

4. L’idea di ridurre il PD ad un partito socialista (europeo) è strategicamente sbagliata. Non solo per una questione di numeri (i DS erano già un partito socialista), ma soprattutto perché il movimento di ispirazione socialista è in crisi in tutta Europa, per ragioni che rimandano direttamente all’evoluzione delle società occidentali negli ultimi 50 anni. Le battaglie del socialismo in Europa hanno portato quasi ovunque, sia pure con accenti diversi, alla nascita di sistemi di protezione per il lavoro dipendente, di sistemi di stato sociale e di legislazioni che impediscono lo sfruttamento selvaggio dei lavoratori. Dove i socialdemocratici hanno governato a lungo, p.e. nei Paesi Scandinavi, sono state costruite società che hanno fatto prevalere maggiore equità e parità di trattamento fra i propri cittadini.
Ora, tuttavia, di fronte alle sfide della globalizzazione, tutte quelle esperienze mostrano segni di crisi profonda, che danno ragione del prevalere delle destre a livello continentale, e sembrano incapaci di fornire risposte adeguate ai bisogni dei cittadini.
Personalmente ritengo che il problema in radice sia costituito dal fatto che tutta l’ideologia che ha prevalso nelle socialdemocrazie è fondata su un’ipotesi implicita di continuo e sempre crescente sviluppo economico, che l’occidente ha realizzato in passato attingendo, in ultima analisi, materie prime ed energia dal terzo mondo sottosviluppato. Le rivendicazioni dei movimenti socialisti hanno sempre di fatto semplicemente richiesto una redistribuzione più equa dei profitti generati da questo modello di sviluppo, senza però mai metterlo sul serio in discussione proponendone uno più equo.
Ora questa strategia mostra i propri limiti e sarà sempre meno praticabile. Occorrono invece visioni del mondo più ampie, che solo forze in grado di raccogliere gli stimoli e le analisi emerse in questi anni al di fuori del campo socialista, possono essere in grado di promuovere. Questo spiega l’interesse che i partiti dell’Internazionale Socialista rivolgono all’esperienza italiana del PD.


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