Il documento congiunto pone al governo richieste precise, ma ancora non convince del tutto
Confindustria e sindacati hanno siglato un importante accordo che i media hanno già entusiasticamente consegnato alla storia come “patto di Genova”. La lettura del breve documento suggerisce diverse considerazioni, alcune positive e altre un po' meno.
Le buone notizie stanno ovviamente innanzitutto nel fatto che i “produttori” si siano ritrovati su alcuni punti comuni e quindi abbiano potuto esprimere una posizione più forte nei confronti di un governo che ha sinora mostrato non poche timidezze nell’affrontare i problemi chiave della ripresa. Il dato politico si unisce poi ad un convinto richiamo al tema della Green economy, a cui viene dedicato un intero paragrafo, con un’articolazione sicuramente interessante che comprende il tema dell’efficienza energetica e dello sviluppo delle rinnovabili, quello delle bonifiche dei siti di interesse nazionale «nella logica di favorire il riuso del territorio a fini industriali e produttivi» e quello delle filiere produttive collegate al recupero e al riciclo.
La lettura del documento lascia però anche alcuni dubbi. Il primo deriva dallo stesso testo, che appare più una sommatoria di posizioni tra loro non incompatibili piuttosto che l’esplicitazione di una linea effettivamente comune e realmente coerente nelle sue articolazioni. In altre parole, il patto dei produttori non si configura come una vera proposta di policy, ma ancora come una lista (integrata) di richieste. Tra queste la domanda di una politica industriale dimentica clamorosamente l’esigenza di una strategia orientata al futuro, se appunto si eccettua l’inciso sulla green economy. Il sostegno all’innovazione, vi si dice, deve essere «a 360 gradi», espressione che legittima sussidi e sgravi trasversali e non programmi mirati, secondo quella prospettiva di “smart specialisation” che viene suggerita con forza dall’Europa. Al tempo stesso si ripropone l’idea di una cabina di regia sulle crisi, che di fatto istituzionalizza le attuali e assai discutibili prassi di intervento.
Il Patto di Genova è quindi senz’altro un passo avanti. Il timore è che ci sia parecchio d’aspettare per il successivo.
Ecco il testo integrale del documento firmato da CGIL, CISL, UIL e Confindustria
Una legge di stabilità per l’occupazione e la crescita
In questi giorni sono in fase di definizione i provvedimenti conseguenza degli accordi politici che hanno dato vita all’attuale Governo.
Oggi la governabilità è un valore da difendere, perché vuol dire stabilità, condizione determinante per riavviare un ciclo positivo della nostra società. Essa però assume un significato concreto solo se genera adesso soluzioni ai problemi reali del Paese, delle imprese e del lavoro. Le iniziative promosse in questi giorni per assicurarla hanno però sottratto per la loro realizzazione risorse che sarebbero state meglio impiegate per misure più efficaci per il rilancio delle imprese e il sostegno dei lavoratori.
Il Governo ha più volte dichiarato l’intenzione di uscire dalla crisi puntando sul ruolo dell’industria e sul lavoro. È questo l’obiettivo su cui far convergere l’azione di Governo e delle parti sociali per la crescita in coerenza con gli insegnamenti derivati dalla crisi finanziaria e con gli indirizzi e gli orientamenti elaborati anche in sede di Unione Europea.
Da adesso, quindi, ci aspettiamo iniziative governative sostanziali, coerenti con le intenzioni più volte dichiarate e utili a rimettere al centro la scommessa della crescita.
La centralità dell’industria e del lavoro quale snodo attorno al quale costruire il rilancio deve passare per una nuova e più efficace articolazione delle politiche fiscali e industriali, con l’obiettivo della crescita e in un’ottica di redistribuzione del reddito, e per una riflessione sull’assetto istituzionale in chiave di maggiore efficienza della PA e di effettiva razionalizzazione della spesa pubblica.
Sono queste le priorità su cui chiediamo un impegno preciso al Governo nei prossimi mesi, a partire dalla legge di stabilità, che andranno declinate attraverso un confronto permanente con le forze sociali, con al centro delle politiche economiche il tema della crescita e dello sviluppo industriale per rilanciare l’occupazione e ridare fiducia al paese in un quadro di accordo sulle scelte strategiche di medio-lungo periodo.
Politiche fiscali
Per tornare a creare lavoro e benessere e per restituire una prospettiva alle giovani generazioni, a corollario di una nuova strategia di politica industriale, il fisco assume un ruolo chiave.
Un fisco esoso, complesso e incerto, che non guarda alle attività lavorative e alla competitività delle imprese, soffoca la crescita. E poca crescita significa disoccupazione, scarsa produttività, povertà. Gli interventi di politica fiscale capaci di promuovere tali obiettivi sono chiari da tempo. Occorre innanzitutto un sistema fiscale efficiente, semplice, trasparente e certo, con poche e stabili scadenze, non ostile all’attività di impresa e alla creazione di lavoro e che non scoraggi le scelte degli investitori. Un fisco stabile, che non complichi la vita ai contribuenti onesti, è il presupposto essenziale per restituire attrattività al Paese ed è un obiettivo improcrastinabile, perché a costo zero per le finanze pubbliche. Per queste ragioni sosteniamo i provvedimenti volti ad ammodernare, dare certezza e stabilità al sistema fiscale – tra i quali la delega fiscale e il DDL di semplificazione fiscale – e ne auspichiamo una approvazione e attuazione in tempi rapidi.
Occorre ridurre il carico fiscale su lavoro e imprese, per aumentare il reddito disponibile delle persone e riequilibrare la tassazione sui fattori produttivi. Per questo:
• va ridotto il prelievo sui redditi da lavoro – esigenza non più rinviabile, soprattutto per ragioni di equità
e di redistribuzione del reddito – attraverso le detrazioni per lavoratori e pensionati, così da aumentare il reddito disponibile e rilanciare i consumi;
• va eliminata la componente lavoro dalla base imponibile IRAP, così da favorire e non penalizzare, come accade oggi, le imprese che assumono e investono in capitale umano, e ripensata la tassazione dei beni immobili dell’impresa che siano strumentali all’attività produttiva;
• vanno rese strutturali le attuali misure sperimentali di detassazione e decontribuzione per l’incremento della produttività del lavoro.
Bisogna continuare la lotta all’evasione fiscale e approvare un provvedimento legislativo che destini alla riduzione delle tasse quanto recuperato ogni anno.
Infine, per concorrere efficacemente in mercati globali sempre più esigenti e competitivi, occorre utilizzare la leva fiscale per rilanciare gli investimenti produttivi e il rinnovo tecnologico delle imprese, nonché il loro rafforzamento patrimoniale.
Politiche industriali
I numerosi tavoli di confronto aperti al Ministero dello Sviluppo Economico sono stati in questi anni lo specchio delle difficoltà che stanno caratterizzando il nostro sistema industriale. Per affrontare in modo organico e coordinato le diverse situazioni di crisi occorre istituire una cabina di regia nazionale sulla crisi d’impresa che preveda la partecipazione del Governo, di tutte le forze sociali e degli altri soggetti coinvolti (principalmente il sistema delle banche e l’amministrazione fiscale) con il compito di individuare strumenti e soluzioni adeguate alla drammaticità della situazione.
Sul piano più diretto delle politiche industriali dovranno essere poste al centro dell’azione del Governo e della parti sociali quattro questioni strategiche per il futuro dell’industria italiana:
1) Il rafforzamento degli investimenti nell’innovazione a 360 gradi, per affrontare e vincere la competizione globale, attraverso:
• l’introduzione di una misura stabile ed automatica di agevolazione fiscale (anche nella forma del credito d’imposta) per gli investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo;
• una strategia moderna e coerente con Horizon 2020 di ricerca e sviluppo per le imprese;
• la definizione di un meccanismo di garanzia pubblica per favorire la partecipazione del sistema finanziario al finanziamento di grandi progetti di innovazione industriale realizzati da filiere o reti di imprese;
• la rapida attuazione dell’Agenda digitale italiana.
2) Lo sviluppo della green economy, per garantire un rapporto equilibrato tra attività produttive / tutela della salute e dell’ambiente e crescita di nuove attività economiche, attraverso:
• la definizione di un piano strutturale di sostegno all’efficienza energetica e allo sviluppo delle rinnovabili in grado di valorizzare le potenzialità industriali e le competenze del sistema produttivo italiano;
• la definizione di un piano nazionale di intervento sulle bonifiche dei siti di interesse nazionale nella logica di favorire il riuso del territorio a fini industriali e produttivi;
• interventi per il consolidamento e lo sviluppo delle filiere produttive collegate al recupero e al riciclo di materie prime da rifiuti.
3) La creazione di una nuova finanza per lo sviluppo, per favorire una maggiore capitalizzazione delle imprese e il rilancio degli investimenti produttivi, attraverso:
• il rafforzamento dei meccanismi di detassazione degli utili reinvestiti a partire dall’ACE;
• il rafforzamento dei meccanismi di sostegno all’accesso al credito da parte delle imprese;
• l’istituzione di un nuovo fondo per la ristrutturazione industriale con la partecipazione della CDP e di altre istituzioni finanziarie per la realizzazione di interventi temporanei nel capitale di rischio di imprese in difficoltà, ma con potenzialità di sviluppo.
4) La riduzione del costo dell’energia, per il miglioramento della competitività delle imprese nel contesto europeo e globale, attraverso:
• lo sviluppo delle infrastrutture energetiche con la razionalizzazione degli assetti decisionali per l’autorizzazione di infrastrutture energetiche in un’ottica nazionale e di integrazione con gli altri mercati europei e globali;
• la riduzione delle componenti parafiscali della bolletta attraverso una rimodulazione temporale degli incentivi pagati dagli utenti;
• la resa strutturale della convergenza dei prezzi del gas italiani e internazionali attraverso lo sbottigliamento delle principali infrastrutture di interconnessione;
• la revisione delle modalità di funzionamento del mercato elettrico coordinando in modo efficiente la produzione di energia da fonti rinnovabili e da fonti termiche convenzionali che manterranno un ruolo essenziale per lo sviluppo manifatturiero.
5) Revisione degli assetti istituzionali ed efficienza della spesa pubblica:
Le complicazioni normative, i ritardi procedurali, le inefficienze delle amministrazioni pubbliche costituiscono un peso insostenibile per cittadini e imprese ed incidono negativamente sulla spesa pubblica, determinando sprechi di risorse, che potrebbero essere più utilmente impiegate in iniziative a favore della crescita.
6) Per questo è urgente intervenire, in via prioritaria, attraverso:
• la revisione del Titolo V della Costituzione, per restituire allo Stato la possibilità di intervenire unitariamente su alcune materie di interesse generale, come la semplificazione, le infrastrutture, l’energia, le comunicazioni, il commercio estero. Conseguentemente vanno rivisti i 3 livelli istituzionali creando enti dimensionati ai nuovi compiti e in grado di gestire con efficienza le funzioni attribuite. Questo significa abolire le Province, aumentare la soglia dimensionale dei piccoli Comuni, istituire le Città metropolitane e, coerentemente, ridurre drasticamente il numero dei componenti degli Organi elettivi a tutti i livelli di Governo;
• una seria politica di revisione della spesa pubblica per garantire servizi di qualità a cittadini e imprese. Una spending review diversa rispetto a quella finora attuata, non più basata su una logica di tagli lineari, che hanno colpito indistintamente tutti gli enti, quelli virtuosi e quelli inefficienti, rischiando così non solo di non eliminare le inefficienze, ma di ridurre l’efficienza di quelle parti della PA virtuosa, e scaricando i tagli su aumenti di tariffe e imposte locali. Occorre ora svolgere un’analisi selettiva della spesa pubblica a tutti i livelli di governo, coinvolgendo la revisione delle funzioni svolte dalle amministrazioni centrali e da quelle decentrate, riducendo i costi impropri della politica e definendo i “costi standard”, che vanno attuati rapidamente come metodo di finanziamento delle amministrazioni pubbliche. Tutto ciò va realizzato in un quadro di riforma della PA e dell’erogazione dei servizi pubblici.
Nicola Bellini
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