23/09/13
Ilva: ciò che resta di un sogno industriale anni 70′, tra morti bianche, inquinamento e tumori
La Commissione europea, che nei prossimi giorni potrebbe aprire una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per non aver obbligato l’Ilva a rispettare le norme dell’Ue sulla salvaguardia dell’ambiente, sta esaminando un dossier molto ampio e addirittura una fonte della stessa Commissione europea fa sapere che “l‘Ilva ha violato i limiti di vari permessi ambientali concessi dalle autorità italiane, e l’Italia non ha monitorato a sufficienza queste violazioni e non ha preso misure adeguate”. Le emissioni più pericolose dell’Ilva, calcolate in grammi/ anno, sono quelle di diossina: grazie alla legge regionale sulla diossina, fortemente voluta dalle associazioni ambientaliste, le emissioni sono scese da oltre 170 grammi/ anno, a circa 10 grammi/ anno; tuttavia la regione Puglia non ha fatto installare il campionamento in continuo (previsto dall’art 3 legge regionale sulla diossina) nonostante dovesse partire dal febbraio 2009.
Ma la diossina depositata sui suoli e in mare è un inquinante persistente, che si degrada solo parzialmente e in tempi molto lunghi. Le misure di sicurezza sono scattate, sia per pascoli che per mare, solo dopo la denuncia e le analisi fatte eseguire, a proprie spese, dalle associazioni Peacelink e Fondo Antidiossina Taranto Onlus. Facciamo un breve salto indietro nel tempo: era il 2008 quando Alessandro Marescotti, dell’associazione Peacelink, scoprì che la percentuale di diossina nel pecorino prodotto alla periferia di Taranto era 3 volte oltre i limiti di legge: 2 grammi di quel pecorino superavano la dose di diossina giornaliera tollerabile da un bambino di 20 chili. L’Asl confermò le sue denunce, abbattendo molte pecore e molte altre vennero condannate a morte, interdicendo il pascolo libero, nei terreni incolti, nel raggio di 20 km dall’area industriale. Nel gennaio 2011, l’associazione Onlus Fondo Antidiossina di Taranto, conducendo analisi sul fondale del mar Piccolo, come ha spiegato lo stesso Alessandro Marescotti, che ha affiancato nella ricerca il Fondo Antidiossina, ha evidenziato notevoli differenze rispetto ai dati delle analisi compiute dalla Asl che hanno rilevato valori alti, ma non così allarmanti. Marescotti ha sottolineato che l’allarme riguarda solo le coltivazioni che avvengono sul fondale perchè la diossina non si scioglie in acqua, depositandosi invece sul fondo, venendo raccolta solo da quei molluschi che sono posati sul fondale. A Taranto quindi, vengono sforati i limiti di legge della diossina. Il presidente della Peacelink Taranto, Alessandro Marescotti, citando i dati del biomonitoraggio sui metalli pesanti nell’urina degli abitanti di Taranto, presentati a Oxford in un convegno scientifico, frutto di una ricerca condotta da un gruppo di studiosi americani e italiani di cui ha fatto parte anche il dirigente Arpa Puglia, Giorgio Assennato, riferisce in una nota, che nelle urine dei tarantini è stata riscontrata la presenza del piombo, sostanza neurotossica e cancerogena. Su 141 soggetti analizzati ( 67 uomini e 74 donne), il valore medio del piombo urinario riscontrato nelle analisi è stato di 10,8 microgrammi/litro, mentre i valori di riferimento, per la popolazione non occupazionalmente esposta, sono fissati in un intervallo che va da < 0,5 a 3,5 microgrammi per litro( secondo la Società italiana valori di riferimento).
Per via dell’inquinamento, anche i morti non trovano pace. Le analisi effettuate dall’Arpa (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) nel terreno del cimitero di San Brunone, situato nel quartiere Tamburi, vicino all’Ilva, hanno riscontrato un inquinamento tale che il sindaco ha sospeso le inumazioni finchè la cooperativa incaricata della gestione non doterà i dipendenti di un abbigliamento protettivo adeguato. Una salma è rimasta per giorni in una cella frigorifera in attesa di ricevere degna sepoltura. Già varcando la soglia del cimitero, tutto ha un colore rosso luccicante ed i maggiori disagi si registrano nella zona nuova di esso, con fontane non funzionanti e a secco o addirittura sdradicate dalla loro sede originaria, che compromettono fortemente l’igiene all’interno delle sepolture. Le lapidi e le fotografie sono ricoperte dal minerale di ferro dell’industria e dai fumi neri della raffineria. Dai vari rapporti Arpa Puglia degli ultimi anni, è emerso che la maggior fonte di emissioni di IPA totali e Benzo(a)pirene sia da addebitarsi al polo industriale. Nella relazione Arpa, in 33 pagine piene di grafici, dati e spiegazioni, viene messa in risalto la preponderanza dell’inquinamento derivante dall’Iva. E’ riportato : “…le emissioni in aria di IPA e BaP sono attribuibili in modo preponderante, per più di un ordine di grandezza, allo stabilimento siderurgico Ilva, e in particolare alla cokeria”.
Taranto manifestazione per Ilva Il benzo(a)pirene viene classificato dall’Agenzia per la ricerca sul Cancro (IARC) come cancerogeno per l’uomo (classe 1). Esso è definito come “marker”di una classe di inquinanti organici denominati “Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), generati dalla combustione incompleta di sostanze organiche durante processi industriali e civili, che sono tra i microinquinanti organici più diffusi nell’ambiente. Le principali sorgenti degli IPA sono i processi industriali (trasformazione di combustibili fossili, processi siderurgici, processi di incenerimento, produzione di energia termoelettrica), il traffico auto veicolare e navale ed i sistemi di riscaldamento domestico. La normativa italiana di riferimento sul benzo(a)pirene è data dal DM 25/11/94 e dal Dlgs 152/07, che fissano un valore obiettivo di 1,0 nanogrammi per metrocubo, calcolato come media su un anno civile. Nelle zone e negli agglomerati in cui si registri una concentrazione superiore a questa soglia, le regioni sono chiamate a perseguire il raggiungimento di un valore obiettivo, attraverso l’adozione di misure che intervengono prioritariamente sulle principali fonti di emissione. Dal 2012 ad oggi, a Bruxelles sono giunti, quasi ogni giorno, rapporti dettagliati sull’emergenza sanitaria e ambientale legata al noto complesso siderurgico. Il Governo sta tentando, proprio in questi giorni, di evitare la procedura di infrazione dell’Ue, rafforzando i contatti con la Commissione e fornendo tutte le informazioni richieste a Bruxelles.
L’Ilva di Taranto, dopo la bufera che ha investito il gruppo Riva, se la Commissione dell’Ue, dovesse confermare, tra mercoledì e giovedì prossimo, l’orientamento di aprire una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per le violazioni ambientali del siderurgico, quest’ultimo rappresenterebbe un grosso problema per il Governo, proprio mentre la stessa Ilva ha annunciato la sperimentazione di una tecnologia che consentirà di produrre ghisa con meno inquinanti. Con la missiva dello scorso luglio, Bruxelles ha chiesto chiarimenti sul Decreto legge “Salva Ilva bis” n°61/4 giugno 2013, convertito in legge il 4 agosto 2013. Per l’IIva di Taranto, il commissario nominato per 12 mesi (prorogabili fino a 36) è Enrico Bondi, che esercita i poteri del Consiglio di Amministrazione, col compito di predisporre il piano industriale che dovrà conformarsi al piano ambientale, garantendo l’attuazione dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale). L’Europa vuol sapere in che modo i piani, non ancora presentati, garantiranno la protezione dell’ambiente e della salute ed il rispetto dell’Aia. Occhi, quindi, puntati a mercoledì-giovedì, cruciali per le sorti del grande stabilimento.
Pubblicato da
Alessandro Bratti
alle
20:46
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Reati ambientali
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