Mentre si è consumato il primo round delle elezioni amministrative, che ha lasciato davvero vittorioso sul ring soltanto il partito dell'astensionismo (con quattro elettori su dieci che hanno disertato le urne), qualche notizia positiva si attende che piova oggi dall'alto, dall'Europa. La Commissione raccomanderà per l'Italia l'uscita dalla procedura di deficit eccessivo; saranno poi gli stati che dovranno confermare questa proposta.
Ci ha pensato il ministro degli Affari regionali, Graziano Delrio, a quantificare il margine di spesa aggiuntivo che si prospetta per l'Italia, nel 2014: 7-10 miliardi di euro, 12 a essere ottimisti. Davvero poca cosa all'interno di un bilancio della Pubblica amministrazione che abbraccia 800 miliardi l'anno, ma comunque molto rispetto alla strettissima camicia di forza che gli stati europei hanno deciso di autoimporsi. Pur senza sforare lo stringente livello del 3% del Pil, il prossimo anno il nostro Paese potrà permettersi il lusso di controlli meno stringenti e una boccata d'ossigeno in più, in attesa di risorse aggiuntive contro la disoccupazione che potrebbero arrivare dal vertice europeo di giugno.
Cosa chiede (ancora) in cambio l'Europa, per questo? Bruxelles approverà una serie di raccomandazioni, alcune delle quali sconfortanti - si insiste ancora sulla necessità di maggiore flessibilità nel mercato del lavoro, come sul consolidamento a tappe forzate dei conti pubblici - altre positive, che ricalcano quelle da tempo pubblicate sulla Gazzetta europea: «Prendere ulteriori azioni per spostare il carico fiscale dal lavoro e dal capitale verso i consumi e i patrimoni nonché l'ambiente».
Facendo molta attenzione a muoversi per equità contributiva, una riforma fiscale verde sarebbe in effetti il timone giusto per iniziare a progettare concretamente una nuova politica industriale nel segno della green economy, per il rilancio occupazionale e manifatturiero del Paese. Per rendere operativa la svolta servono però risorse. Il vero campo di battaglia è quello europeo, per far cadere il dogma dell'austerità senza fini. Nel frattempo, però, possiamo racimolare molto altro sul fronte interno ridistribuendo le risorse già disponibili, un'aggiunta ben più sostanziosa per l'attuazione di politiche sostenibili della flessibilità europea per l'uscita dalla procedura d'infrazione per deficit eccessivo.
L'ultima dimostrazione pratica (in ordine di tempo, non certo d'importanza) viene dalla Consip, società per azioni con azionista unico il ministero dell'Economia, e che opera al servizio delle pubbliche amministrazioni. Come è possibile osservare nel rapporto annuale dell'azienda, appena presentato a Roma, nel 2012 Consip ha generato un valore per complessivo per la Pubblica amministrazione di 6,15 miliardi di euro. Un valore che è un risparmio derivante non soltanto dall'azione di riduzione dei prezzi dei beni e servizi (per un valore di 4,6 mld di euro) portata avanti da quella che è la centrale acquisti della pubblica amministrazione, ma proveniente anche da azioni di «dematerializzazione, azioni verdi e semplificazione dei processi». Una fetta che ha inciso non poco, 1,59 miliardi di euro. Da sole, le attività di introduzione di criteri di sostenibilità ambientale e sociale - le «azioni verdi» di cui sopra - è stato stimato un risparmio complessivo da azioni verdi quantificato in 379 milioni di euro.
Tutto questo, con la possibilità di presidiare soltanto una fetta della spesa complessiva della PA, pari 30,1 miliardi di euro. Ricordiamo che Riccardo Rifici, responsabile Gpp - Green public procurment del ministero dell'Ambiente, sulle nostre pagine spiegò bene come «anche più della metà del totale della spesa totale per beni e servizi potrebbe essere assorbita dagli acquisti verdi: dipende da quali sono le volontà politiche. Quantitativamente, per l'Italia si parla all'incirca di un potenziale di 50 miliardi di euro». Di solo potenziale Gpp da implementare. Altro che 30,1 miliardi di euro complessivi.
L'esempio della Consip è dunque da estendere e potenziare. Merita lo sforzo di essere migliorato, per due motivi almeno. Il primo è che offre un modello di acquisto razionale e intelligente, capace di ridurre la spesa che diventa spreco. L'altro è che invece può valorizzare la buona spesa pubblica, quella che crea sviluppo ( e i più recenti studi economici internazionali non fanno che confermare questa potenzialità ) e facendola correre sul binario della sostenibilità, che passa dall'utilizzo efficiente dell'energia quanto quello della materia. Un virtuosismo che dovrebbe colpire in Europa molto più degli equilibrismi sullo zero virgola del deficit di bilancio.
Luca Aterini
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