Un paese in cui la produzione di spazzatura è aumentata più rapidamente
di quanto sia cresciuto il Pil è un paese che ha molti problemi sul
piano ambientale. E questa constatazione, contenuta nel rapporto Ocse
sulle performances ambientali dell’Italia diffuso oggi, è una buona
fotografia dello stato dell’arte della difesa dell’ambiente nel
«Belpaese»: certamente qualche progresso è stato compiuto, dei
miglioramenti legislativi sono stati varati, ma c’è un regime fiscale
pesante e incapace di scoraggiare gli inquinatori, si sottovaluta la
green economy, sono stati dimezzate le risorse dei fondi all’Ambiente.
«All’ambiente è stata assegnata una priorità relativamente bassa nella
maggior parte dell’ultimo decennio», si legge nel rapporto Ocse. «Di
conseguenza, la politica ambientale italiana è stata caratterizzata da
frammentazione e la sua formulazione è stata dettata soprattutto
dall’emergenza, con un orizzonte temporale di breve termine».
La
green economy ha rappresentato una spinta vitale che ha contenuto il
peso della crisi economica e ha permesso di abbattere le emissioni serra
del 9% tra il 2000 e il 2010, ma è stata mortificata dalla mancanza di
capacità di programmazione e di certezze delle regole. Ad esempio
l’efficienza energetica delle auto continua a migliorare e l’Italia ha
già raggiunto l’obiettivo comunitario, previsto per il 2015, di una
media di 130 grammi di CO2 per chilometro per le macchine di nuova
immatricolazione. Ma per i veicoli commerciali il miglioramento è stato
molto più lento anche a causa dei vantaggi fiscali sui carburanti di cui
godono gli autotrasportatori: chi inquina di più paga di meno. Le tasse
automobilistiche non prendono in considerazione i livelli di emissione
di CO2 e quelle sui camion non sono legate a criteri ambientali. Allarme
anche sul fronte dell’acqua. Il cambiamento climatico - ammonisce
l’Ocse renderà ancora più grave lo stress idrico che già colpisce
l’Italia. Aggiungendo l’inquinamento delle acque si ottiene un quadro
preoccupante: oltre un terzo dei fiumi e dei laghi e l’11% dei corpi
idrici sotterranei non raggiungeranno gli obiettivi di buono stato
ecologico fissati dalla direttiva europea per il 2015.
Le imprese della green economy hanno reagito in maniera dinamica riuscendo a contenere il danno: «Le domande di registrazione di brevetti per tecnologie legate all’energia da fonti rinnovabili sono aumentate più rapidamente che le domande di brevetti per tutti gli altri tipi di tecnologie». In particolare nel campo dell’energia rinnovabile ci sono stati investimenti pari a 21 miliardi di euro nel 2011, con un aumento del 43% rispetto all’anno precedente. «Gli incentivi, continua il rapporto hanno portato a uno straordinario incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e hanno incoraggiato la crescita e l’occupazione nel settore. Nel complesso, nel 2010 le energie rinnovabili hanno rappresentato circa il 10% del consumo finale lordo di energia, in aumento rispetto al 2005 (meno del 5%). L’Italia potrà quindi raggiungere l’obiettivo del 17% di energie rinnovabili sul consumo finale lordo di energia fissato per il 2020. Un progresso così repentino, tuttavia, ha comportato costi sempre più elevati».
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