L’aumento della temperatura globale può costare cara all’Europa, e in
particolare all’Italia. Lo dice uno studio della Commissione europea
Almeno
190 miliardi di euro di danni. Tanto potrebbe costare all’Europa un
aumento della temperatura terrestre di 3,5° C entro la fine del secolo.
Tra decessi per ondate di calore, inondazioni, incendi e danni alle
coste, il Vecchio Continente arriverebbe a perdere l’1,8 per cento del
Pil attuale. E’ la stima del Joint Research Center della Commissione
Europea, che in un nuovo rapporto sottolinea come a pagare di più gli effetti della febbre del Pianeta saranno i paesi a sud dell’Europa, tra cui l’Italia.
Lo
scenario prospettato parla chiaro: senza tagli alla CO2 e con un
aumento delle temperature di 3,5° C, gli eventi estremi potrebbero
raddoppiare. Le morti per caldo arriverebbero a 200 mila, i danni delle
inondazioni dei fiumi potrebbero superare i 10 miliardi di euro e
nell’Europa del sud brucerebbero 8 mila km quadrati di foreste. Il
numero di persone colpite da siccità sarebbe sette volte più grande e i
danni alle coste triplicati per l’innalzamento del livello dei mari. Le
perdite economiche maggiori quelle per morti premature (120 miliardi di
euro), seguite dagli impatti su coste (42 miliardi) e agricoltura (18
miliardi).
Secondo lo studio, l’Italia sarà tra le nazioni più colpite insieme a Portogallo, Spagna, Grecia e Bulgaria: il 70% dei danni ricadrà infatti sull’Europa del sud. “La vulnerabilità del nostro paese agli impatti attuali e futuri dei cambiamenti climatici è confermata da diversi studi nazionali, europei e internazionali, spiega Sergio Castellari, ricercatore del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) di Bologna -. In particolare abbiamo sei aree di criticità in cui gli effetti potranno essere maggiori”. Sono le risorse idriche e le aree a rischio desertificazione, le zone costiere, le regioni alpine e appenninica, la salute, le aree a rischio idrogeologico e tutta l’area idrografica del bacino del Po. “Nel caso del Po stiamo già assistendo negli ultimi decenni a un calo della portata media estiva del fiume, che si traduce in una maggiore intrusione dell’acqua salata dal Mar Adriatico, con la conseguenza che le acque del fiume possono essere difficilmente utilizzabili per l’irrigazione in alcuni periodi”, - aggiunge Castellari.
Quanto costerà alle casse italiane il clima che cambia? Difficile fare stime precise. “Solo da pochi anni la comunità scientifica nazionale sta cercando di quantificare gli impatti dal punto di vista economico. Di certo le perdite più consistenti si avranno nei settori che più dipendono dal clima, come il turismo, l’agricoltura, la pesca; ma anche il settore energetico e le infrastrutture, - continua Castellari -. “Bisogna intervenire con misure di adattamento per rendere il nostro territorio più resiliente e minimizzare i danni. Il costo di queste politiche, infatti, è di gran lunga inferiore alle spese da affrontare in caso di inazione”.
In sostanza, meglio spendere oggi in prevenzione per evitare una spesa pubblica più grande in futuro. “Una migliore gestione delle coste e delle risorse idriche, una messa in sicurezza del nostro territorio, una riduzione dello stress termico urbano sono tra gli interventi utili da avviare. Alcune misure di adattamento, come i green roof, sono in sinergia anche con la mitigazione dei cambiamenti climatici, cioè la riduzione delle emissioni di gas serra e l’aumento dei pozzi di assorbimento di carbonio”, conclude Castellari.
Che questa sia la strada giusta da seguire lo conferma lo stesso studio europeo: adottando forti azioni di riduzione della CO2 e mantenendo la temperatura terrestre sotto i 2°C, i danni economici potrebbero ridursi di 60 miliardi di euro, il 30% in meno.
LA STAMPA
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