In un decreto legge, denuncia il M5S, il governo tenta di trovare una
soluzione “postuma” all’assenza di VIA nell’iter autorizzativo di
alcune centrali a biogas nelle Marche. Ma c’è il rischio di ulteriori
contenziosi, e di interventi punitivi da parte dell’Unione europea
Un
pasticcio in salsa italiana, un caos normativo in perfetto stile
nostrano. Nel decreto legge 91 del governo da poco pubblicato in Gazzetta Ufficiale, c’è un articolo apparentemente inoffensivo,
contenente «Disposizioni finalizzate al corretto recepimento della
direttiva 2011/92/UE (...) in materia di valutazione di impatto
ambientale». Nelle Marche, invece, ci sono una quarantina di centrali
per la produzione di energia da biomasse e biogas, autorizzate da una
legge regionale incostituzionale, perché in contrasto con la stessa
direttiva europea. E il problema riguarda anche altre regioni, come
l’Umbria. Il nesso, al penultimo comma dell’articolo, è chiaro: il
tentativo è quello di sottoporre a posteriori gli impianti che non
dovrebbero più operare, perché i permessi si sono rivelati privi di
validità alla parte dell’iter autorizzativo che in precedenza non
hanno superato. Provando così a “metterci una pezza”, con ricadute
prevedibili a livello europeo, dove la chiusura della procedura di
infrazione aperta dall’UE sul tema a questo punto appare un miraggio. Ma
anche locale: non è difficile immaginare la gran quantità dei ricorsi
che fioccheranno, sia da parte di comitati di cittadini già promotori di
diverse azioni legali, sia da parte degli imprenditori.
Per vederci chiaro, bisogna tornare indietro nel tempo di 11 anni: nel 2003, di fronte al mancato recepimento da parte dell’Italia della direttiva comunitaria sulla Valutazione dell’impatto ambientale (VIA), l’Unione europea ha aperto una procedura di infrazione contro il nostro Paese. Congelata e poi riavviata varie volte in base ai timidi passi in avanti italici, non è mai stata definitivamente chiusa, ma è anzi sfociata nel 2009 in una seconda procedura. L’Europa, infatti, ci chiedeva, per un gruppo di opere e impianti per la produzione di energia, di fare un esame preventivo, con lo scopo di decidere, secondo criteri di compatibilità ambientale, se caso per caso fosse necessaria o meno una VIA. Richiesta a cuil’Italia nel 2006 risponde furbescamente, risolvendo tutto con un limite di dimensione: tutte i progetti di centrali termiche – e dunque anche a biogas e biomasse – che non superano i 50 MW di potenza per legge non dovranno passare attraverso lo screening dettato dalle leggi europee e potranno essere costruiti senza VIA.
Molte Regioni, tra cui Umbria e Marche, non fanno altro che uniformarsi alla normativa statale, e in quei territori le centrali a biomasse e biogas spuntano come funghi, sotto la spinta di incentivi vantaggiosi e pressioni dei gruppi industriali sulle pubbliche amministrazioni. La Corte costituzionale, nel maggio 2013, si è pronunciata dichiarando «l’illegittimità costituzionale degli allegati (…) alla legge della Regione Marche 26 marzo 2012, n. 3 (...)» perché «nell’individuare i criteri per identificare i progetti da sottoporre a VIA regionale o provinciale ed a verifica di assoggettabilità regionale o provinciale, non prevedono che si debba tener conto, caso per caso, di tutti i criteri indicati nell’Allegato III alla direttiva 13 dicembre 2011, n. 2011/92/UE». Dopo la sentenza della Suprema Corte, la parlamentare del M5S Patrizia Terzoni, insieme ad altri colleghi pentastellati, chiese al governo con una risoluzione di applicare l’art 120 della Costituzione, dove si prevede che l’esecutivo possa sostituirsi agli enti locali nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria. «Il sottosegretario De Vincenti (oggi viceministro allo Sviluppo economico, ndr) diceva che era difficile applicare l’articolo, adesso abbiamo capito perché: si è scelta la strada più facile, ma scorretta dal punto di vista giurisdizionale. Il governo ha solo accettato di condurre un monitoraggio , che però non è ancora partito», commenta la deputata. Ma per applicare l’articolo 120, l’esecutivo avrebbe dovuto prima cambiare la normativa nazionale: «E’ il legislatore statale il primo a essere in difetto», spiega Urbano Barelli, avvocato esperto in diritto ambientale, che ha studiato da vicino il problema delle centrali a biogas.
Per cercare di risolvere il pasticcio, il governo ricorre così, nel decreto 91 del 24 giugno scorso, alla «verifica di assoggettabilità postuma» alla VIA, la quale dovrà seguire una serie di linee guida coerenti con la legislazione europea già annunciate in una legge di agosto 2013 e che adesso il governo si è impegnato a definire entro 90 giorni. Nel frattempo, si stabilisce «la prosecuzione dell’attività fino all’adozione dell’atto definitivo», che dovrà arrivare entro 180 giorni, anche per quegli impianti colpiti da «annullamento dell’autorizzazione in sede giurisdizionale». Un provvedimento che sembra fatto su misura per le Marche, dove su diverse centrali pendono sentenze del TAR che ne invalidano le autorizzazioni: «Il primo passo verso lo spegnimento e la demolizione, interventi che però spettano a Comuni e Province e non sono stati ancora messi in atto», prosegue Barelli.
Ma che succederà dopo il colpo di mano del governo, che molti non esitano a definire «un vero e proprio condono»? Se dallo screening risulterà che per certe centrali non era necessaria una VIA, queste continueranno a operare sebbene autorizzate da una legge dichiarata illegittima dal punto di vista costituzionale? E nei casi invece in cui si rivelerà necessaria la Valutazione d’impatto ambientale, questa sarà fatta a posteriori? E che accadrà, poi, se la VIA darà esito negativo?
Nonostante i solleciti, il ministero dell’Ambiente non ha risposto alle nostre domande. In ogni caso, l’ipotesi di una VIA a posteriori, già avanzata dalla Regione Marche, è stata bocciata nel febbraio scorso dal Consiglio di stato, il quale in un’ordinanza ha richiamato la «nota e consolidata giurisprudenza anche europea che non ammette una VIA ex post».
Uno scenario che innescherà, non è difficile prevederlo, una vera e propria guerra giudiziaria: «Le Regioni si troveranno a dover far fronte ai ricorsi degli imprenditori del settore, che si sono visti prima autorizzare e poi fermare i propri impianti, e a quelli dei cittadini, le cui richieste sono state legittimate dalla sentenze del Tribunale amministrativo ignorate dal governo», dice Patrizia Terzoni. «Comunque sia aggiunge Barelli ci sarà un pezzo di realtà sociale o imprenditoriale che reagirà alle regole sbagliate: una conseguenza prodotta dall’elusione delle leggi europee sulla VIA che in Italia va avanti da decenni. I giudici saranno obbligati a disapplicare la normativa nazionale, perché in contrasto con quella comunitaria».
E l’Europa, invece, che farà? «Visto che la questione è già coperta dalla procedura di infrazione 2009/2086, in linea di principio non ne apriremmo un’altra su questo tema specifico (in caso cioè di VIA ex post, ndr)», ha detto a La Stampa Joe Hennon, portavoce del commissario all’Ambiente Janez Potočnik, facendo intendere che l’attuale operato del governo non aiuterà comunque al superamento della procedura di infrazione. Tutto, insomma, dipenderà dal successore di Potočnik: il mandato commissariale alla fine, insieme all’inizio del semestre di presidenza italiana, per adesso impongono il basso profilo.
(La stampa)
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