Le
ombre nere delle nubi si allungano anche sulle luci del Natale. Il fumo
e l’odore acre dei roghi arrivano nei luoghi dello shopping, nei
parcheggi dei centri commerciali, mentre con le borse della spesa ancora
in mano la gente cerca invano riparo nelle auto.
La Terra dei
fuochi continua a bruciare. Non bastano nuove leggi, non servono gli
appelli, non aiutano le rassicurazioni delle istituzioni, non c’è tregua
nemmeno alla vigilia di Natale. I tweet della rabbia e le foto di
denuncia su facebook non lasciano scampo. I comitati documentano tutto: è
un tempo contromano e infelice quello del Natale 2013, scandito non dal
rintocco delle ore, ma da ogni nuovo incendio segnalato direttamente da
chi respira l’aria appestata. La Terra dei fuochi è un abisso, dove il
fondo non è mai un arrivo, sempre una nuova partenza. E dove certi roghi
continuano a bruciare anche dentro, alimentandosi di anni di abbandono,
di voglia di riscatto e protesta. Gli incendi di rifiuti sono diminuiti
del 40 per cento in un anno in provincia di Napoli e del 25 per cento
in quella di Caserta, secondo i dati della task force del ministero
dell’Interno, guidata dal prefetto Cafagna. Ma comitati e cittadini
mostrano sui social network la cadenza quotidiana delle fiamme,
appiccate ovunque nella vasta area a cavallo tra le due province e
contestano i dati. Gli ultimi due proprio ieri sera: alle 17.30 nelle
campagne tra Afragola e Caivano, nei pressi dell’Ipercoop; alle 19 in
via Rotondella a Sant’Arpino, dove le fiamme sono divampate in un
deposito di auto e pneumatici, minacciando le case e anche un deposito
di gas.
I residenti hanno allertato i soccorsi, ma hanno dovuto
attendere che i vigili del fuoco arrivassero da Caserta. Hanno pure
visto scappare alcune persone. Fantasmi. Come accade troppo spesso. La
«caccia» Così prosegue la «caccia a Moby Dick», difficile da scovare
come i moderni untori della terra. Già, ma chi sono?
E perché
vanno avanti più o meno indisturbati, nonostante il recente decreto
legge del governo introduca pene severissime, come il carcere? Dal 3
dicembre, data di approvazione del provvedimento, sono stati solo due
gli arresti effettuati in base alle nuove norme, «perché è davvero
difficile cogliere questi criminali in flagranza, bastano pochi minuti
di ritardo e si perde l’occasione. E poi siamo di fronte a un territorio
vasto e a forze di polizia sotto organico», spiega Corrado Lembo,
procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. I
l
magistrato che ha coordinato i primi e unici arresti post-decreto, e
che con il protocollo di salvaguardia ambientale ha impiegato anche i
droni per scovare rifiuti e piromani lancia l’allarme: «Non bastano le
manette, perché l’effetto deterrente passa dopo poco, occorre invece un
controllo costante da parte delle forze di polizia, con l’ausilio di
sistemi di videosorveglianza. Ma oggi tutto questo non è possibile per
le carenze di personale».
La conferma arriva dal grido di aiuto
di chi i controlli va a farli, come il comandante regionale del Corpo
forestale, Vincenzo Stabile: «La Forestale è passata dal ruolo
preminente di polizia preventiva a quello di forza investigativa e
repressiva, ad oggi abbiamo tante di quelle deleghe dalle Procure che
addirittura io ne ho dovuta prendere una», racconta e svela: «A Caserta
possiamo contare su appena 36 uomini in servizio, a Napoli sono 55 ma le
attività per conto della Dda assorbono quasi tutto. Ho dovuto far
arrivare personale dal Cilento per affrontare l’emergenza dei roghi.
Siamo al collasso, con i comandi locali oberati fino all’inverosimile.
Attendiamo che arrivino i rinforzi promessi dal governo. E non
dimentichiamo - conclude Stabile - che oltre ai roghi, lavoriamo
contemporaneamente sui rifiuti tombati e sull’inquinamento delle acque,
in un clima di allarme continuo».
I «colpevoli» «Il cuore
dell’affare-incendi non è tanto la camorra, il problema anche
l’economia illegale», dice Piero Cappello, presidente del consorzio Asi
di Caserta, che ingloba centinaia di aziende e due grandi aree
industriali, come quella di Aversa-Teverola e Marcianise. Un aspetto
poco indagato a monte: «È necessario un impegno maggiore innanzitutto
nel contrasto alle tante piccole fabbriche che ancora oggi sono
sconosciute a tutti, ma che producono marchi contraffatti, destinati al
mercato parallelo e lavorano completamente in nero». L’ultimo sequestro
nella Terra dei fuochi è di pochi giorni fa: 72mila paia di scarpe
griffate, rigorosamente false, trovate a Maddaloni. «È evidente che se
l’apparato produttivo è clandestino, anche per smaltire i rifiuti si
utilizza il sistema più semplice, prima si buttano in aperta campagna e
poi si manda qualcuno a dare fuoco».
Tre le tipologie di attività
«incriminate». A rivelarlo è la natura stessa dei veleni sversati: sono
quelle del settore calzaturiero, dell'abbigliamento e le officine
meccaniche. Che si traduce in pellami, vernici e gomme date alle fiamme.
Diventa allora molto stretto il legame tra la lotta ai roghi e quella
all’economia sommersa. «Stimiamo in circa il 10 per cento la presenza
sul territorio di opifici completamente sconosciuti», fa sapere
Cappello. E da gennaio l’area industriale di Marcianise sarà
videosorvegliata. L’obiettivo è prevenire. Nel campo nomadi di
Giugliano, spostato proprio accanto alla discarica Resit di Cipriano
Chianese, i bambini giocano tra i rifiuti. Li ha visti anche il
presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi nella sua visita di
dieci giorni fa, denunciando indignata lo scandalo.
Oggi, accanto
alle aziende-fantasma, tra i principali imputati dei roghi ci sono
proprio loro: i rom, che vanno alla ricerca di rame e ferro, materiali
che vendono poi al mercato nero. Li tirano fuori da elettrodomestici e
auto, agiscono su commissione: piccole aziende dell’indotto affidano a
loro lo smaltimento improvvisato dei componenti e le nubi tossiche si
vedono a chilometri di distanza. «Ma con i rom ci andiamo cauti, bisogna
essere in tanti a intervenire e poi c’è una miriade di problemi per
mandarli via, rischiamo di perdere settimane dietro di loro e non ce lo
possiamo permettere», confida un investigatore. Ai rom si aggiungono i
contadini che continuano a bruciare plastica per serre e polistirolo,
nuocendo in primis a sé stessi, e poi l’inciviltà dei tanti cittadini
che credono di sbarazzarsi prima dei rifiuti, creando colonne di fumo a
ogni ora del giorno e della notte.
I controlli La task force
delle forze dell’ordine che si occupa dei controlli nella Terra dei
fuochi è costituita da carabinieri, polizia, forestale e polizie
provinciali. I Comuni dovrebbero giocare il ruolo fondamentale di
sentinelle, impiegando gli agenti della polizia municipale. «Ma sono
troppo pochi e non abbiamo nemmeno le risorse per pagare gli
straordinari», lamentano i sindaci dell’area, con in testa Raffaele
Vitale, primo cittadino di Parete. «Mi dite con quattro vigili come
possiamo pattugliare già solo l’area al confine con il polo delle
discariche di Giugliano? », domanda amareggiato. Chiedono di modificare
il decreto in sede di conversione in legge e tra i cambiamenti puntano
anche l’indice contro il comma che riguarda l’accertamento dei roghi,
«perché è quasi impossibile da provare che qualcuno stia gettando
rifiuti a fini di incendio, così si rischia di restare impotenti e di
lasciarli impuniti». Dal litorale domizio fino a Caivano, gli
amministratori hanno rilanciato le loro difficoltà alle istituzioni. «Si
parla sempre di quanto viene abbandonato nella terra – hanno detto alla
commissione Ambiente del Senato – ma le stesse aziende scaricano
liquami e veleni anche nell’acqua, in particolare nei Regi lagni, dritto
al mare. Tra quanti anni sapremo cosa hanno messo sott’acqua, oltre che
sottoterra?».
Per poter ottimizzare le risorse e lavorare al
meglio, l’area della Terra dei fuochi è stata divisa in pià ¹ zone,
sotto il coordinamento delle prefetture. Zone in cui tutti gli organi di
polizia si dividono i compiti: appostamenti e pattugliamenti. La zona A
è quella dell’agro aversano, la B1 è compresa tra Castelvolturno e
Mondragone. Un territorio vastissimo, che comprende anche il mare. La
polizia provinciale di Caserta riesce a «batterla» solo due, al massimo
tre volte a settimana. Nonostante i limiti dei controlli, in un anno
sono stati individuati un centinaio di discariche abusive. La mappa
degli interventi tocca da vicino le aree da sempre più a rischio: i
cavalcavia degli assi stradali; le periferie delle aree industriali e i
campi nomadi. Punti nevralgici che, seppure ben conosciuti, non possono
essere presidiati a dovere.
Modello Puglia. «Le nuove norme
impongono che per ogni rogo individuato vada aperta un’inchiesta per
risalire alla filiera delle responsabilità, ai mandanti. È questo ora
l’anello mancante nel contrasto agli incendi», denuncia Enrico Fontana,
coordinatore nazionale dell’associazione «Libera » e curatore del
Rapporto annuale sulle ecomafie di Legambiente. «Anche noi abbiamo
segnalato la diminuzione dei roghi, ma non basta. Per rassicurare i
cittadini e stroncare definitivamente il fenomeno bisogna spostare
l’attenzione sui flussi dei rifiuti dati alle fiamme». Prima però
occorre distinguere i livelli. «Siamo di fronte a due tipi di azioni.
L’una portata a compimento da soggetti che vivono ai margini. Questa è
la grande questione sociale, che non si risolve con l'inasprimento
delle pene. Conterebbero di più interventi sociali, che non si vedono
all’orizzonte». Diverso il caso in cui ci sia un profilo criminale
dietro le fiamme. «Allora avverte Fontana concentrarsi sul rogo è un
errore, se parallelamente non s’indaga sui mandanti. La norma prevede
pene così severe proprio per consentire questo tipo di accertamenti».
Fontana invita a guardare al modello Puglia. «Non solo chiediamo di
rafforzare i poteri del prefetto Cafagna, ma anche l’attività di
controllo del territorio, sul modello dell’operazione ”Primavera” contro
il contrabbando in Puglia. Ora non si può davvero più abbassare la
guardia».
Il Mattino
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