La denuncia di Legambiente: "Sono più di 80 gli sbocchi industriali
nel fiume. "La catena alimentare è in buona parte compromessa ci dice il
dottor Massimo Natalia, di Anagni,, da anni analizziamo l'aumento di
patologie tumorali, non so più quanti pazienti giovani ho dovuto curare
per un cancro alla prostata"
“Se il Casertano è la Terra dei fuochi, noi siamo la Terra dei veleni”. Cimitero di Sgurgola, Lazio meridionale, da qui ci parla Olga Kozarova,
cittadina polacca da vent’anni in Italia. Questo è il punto più alto
del paese, alle nostre spalle riposano i morti, di fronte la valle del
Sacco con le sue fabbriche, gli inceneritori, il fiume ammorbato con le
zone off-limits dove anche l’erba è morte, come le piante, come gli
animali che la mangiano, come l’acqua del fiume e dei pozzi. “Queste
fabbriche una volta portavano lavoro e un po’ di benessere nelle nostre
famiglie, oggi ci regalano solo malattie e disoccupazione“. Un medioevo moderno, con le sue miserie e la sua peste.
Gli occhi di Olga, che per questa terra non sua si batte da anni con le mamme, gli ambientalisti,
la gente comune che vuole sapere e capire, sono rossi di indignazione.
Sono cent’anni che in questa parte del Lazio fabbricano veleni. C’è di
tutto. A Colleferro fabbriche belliche dal 1912, dove si
producevano i gas per le guerre coloniali, e oggi sistemi missilistici
negli anni passati finiti nel mirino dell’Onu e dei pacifisti per il
sospetto che venissero utilizzati da Saddam Hussein come vettori per le armi chimiche. Negli altri poli dell’illusione industrialista, fabbriche di medicinali, cementifici, industrie per la produzione di insetticidi. “Tutte scaricavano le loro acque nel fiume Sacco“, ci racconta Anna Natalia, del Coordinamento ambientale di Anagni.
Sono più di 80, si legge nei dossier degli ambientalisti, gli sbocchi industriali nel fiume, “basta venire di notte sulle rive per sentire gli odori”. Ferentino, Anagni, Colleferro, Morolo, qualche anno fa nelle campagne di questi paesi dovettero abbattere 6mila capi di bestiame. Avevano mangiato erba e bevuto acqua inquinata, il loro latte era veleno, la loro carne marcia. “La catena alimentare è in buona parte compromessa ci dice il dottor Massimo Natalia, di Anagni, da anni analizziamo l’aumento di patologie tumorali, non so più quanti pazienti giovani ho dovuto curare per un cancro alla prostata”. I dati ufficiali sono allarmanti. Secondo uno studio del 2012 sui tumori infantili nella Valle del Sacco diffuso da Legambiente, a Colleferro, Segni e Gavignano si registra un aumento del 40% dei ricoveri per patologie tumorali nelle fasce di età dai 0 ai 14 anni; a Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Murolo e Supino, la percentuale di “ospedalizzazione” di bambini della stessa fascia di età è del 18% in più rispetto alla media regionale. Dati da brivido ad Anagni, 281% in più rispetto alla media di tumori all’encefalo, e 174% di tumori maligni del sistema linfatico per i maschi da 0 a 14 anni. “E hanno chiuso anche l’ospedale. Aumentano le malattie e il presidio sanitario più importante della zona viene cancellato per risparmiare”, ci racconta il dottor Natalia.
Siamo proprio all’ingresso del fu ospedale di Anagni, vista da qui (la patria di Franco Fiorito, l’ex capogruppo del Pdl alla Regione, assurto a icona vivente dello scialo di soldi pubblici da parte dei partiti), la vicenda del risparmio è davvero surreale. L’ospedale ha sale operatorie nuove di zecca chiuse, l’acqua dei rubinetti ha il colore della ruggine, ma qui una volta c’erano reparti all’avanguardia. Intanto 4 milioni di euro sono stati buttati al vento per progettare l’aeroporto di Frosinone, costo preventivato 90 milioni, un giocattolo che è servito solo alle campagne elettorali dei ras locali, finito in inchieste e scandali. Mentre il morbo avanza. Uno studio recente del Dipartimento epidemiologia del servizio sanitario della Regione Lazio ha registrato la presenza nelle acque di livelli significativi di esaclorocicloesano (un sottoprodotto della produzione di insetticidi usato fino al 2001), un veleno potentissimo che provoca danni alla funzionalità renale, alterazioni al sistema cognitivo e agli ormoni sessuali delle donne. “E pensare che anche di fronte a questi dati il Ministero dell’Ambiente ha deciso di declassare da sito di interesse nazionale a sito di interesse regionale l’intera Valle del Sacco. Questo significa meno soldi per le bonifiche e una perdita di attenzione nazionale”, protesta Lorenzo Parlati, presidente di Lagambiente Lazio.
Non solo le industrie, anche discariche e inceneritori hanno fatto la loro parte. “Quelle ufficiali – sottolinea Alberto Valleriani, della Rete per la tutela della Valle del Sacco -, ma soprattutto quelle clandestine. Qui negli anni passati si sono interrati rifiuti tossici e pericolosi sotto i capannoni delle fabbriche, le vacche morte nel 2005 erano avvelenate da cianuro, e non c’è mai un colpevole, le aziende coinvolte all’epoca furono assolte da ogni responsabilità. I processi, quello per l’inquinamento della Valle, e l’altro per l’inceneritore di Colleferro, vanno a rilento, di rinvio in rinvio, col rischio reale della prescrizione”. Prima di lasciare la Valle ci affacciamo dal ponte della Sgurgola che passa sul fiume Sacco, piove e l’acqua è nera. “Venite di notte o nei giorni di festa – ci dice un contadino – l’acqua sparisce e al suo posto c’è solo schiuma gialla. È la nostra peste”.
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