Dai pozzi dismessi partono tubi che rilasciano, tra gli altri, mercurio, ferro, piombo e cadmio
Le
guardie armate non si guardano alle spalle. E sul versante più nascosto
del monte si può tentare l’irruzione: si indossa la mascherina, si
striscia sotto la rete metallica e si attraversa un sentiero nascosto
dagli alberi. L’odore arriva anche a distanza, ma per vedere quanto è
grande la bomba ecologica bisogna superare la barriera di eucaliptus. Il
mostro è tutto blu e fa molta paura. Il sole estivo lo ha reso
scheletrico ma appena piove si rigonfia e continua a divorare le viscere
di questo angolo nascosto di Sardegna.
Siamo lontani dal mare e
di un tesoro che doveva far diventare tutti ricchi è rimasto lo scarto
puzzolente: un grande lago di cianuro. La ricerca dell’oro ha fatto
ricchi solo gli australiani che hanno sventrato la collina di Santu
Miali e agli abitanti di Furtei, Guasila e Segariu è rimasto in eredità
un disastro ambientale. La Sardinia Gold Mining (controllata dalla
canadese Buffalo Gold Itd, partecipata dalla Regione Sardegna e
presieduta dal 2001 al 2003 dall’attuale governatore sardo Ugo
Cappellacci) ha interrotto l’attività alla fine del 2008. E nel 2009 ha
portato i libri in tribunale. Decretato il fallimento, gli operai sono
stati licenziati e delle bonifiche nessuno si è preoccupato. A evitare
l’esplosione ci pensa l’Igea, la società regionale che controlla le
miniere dismesse, ma intanto il lago di acido nascosto dietro al monte
diventa sempre più grande.
Gli uccelli che atterrano per
sbaglio non hanno scampo e le carcasse nascoste tra i cespugli lanciano
lo stesso messaggio di un cartello giallo con il teschio: alle rive di
questa distesa di acidi è meglio non avvicinarsi troppo. I rubinetti che
scaricano sono sempre aperti. Grossi tubi neri partono dai pozzi
dismessi e rilasciano a valle una valanga di metalli disciolti:
mercurio, ferro, piombo, cadmio e zolfo. Non è acqua di sorgente e il
colore lo dimostra. Il liquido che si espande in ogni angolo si presenta
con lo stesso colore dell’oro, ma quando il sole picchia forte i
metalli si cristallizzano e formano grandi zolle blu. La contaminazione
si allarga ulteriormente e tutto quello che non si vede è già nel
sottosuolo. Eppure, oltre le sponde del lago dei veleni c’è qualche
agricoltore che produce grano e carciofi. «Ogni tanto scaricano acqua,
ma è solo un depistaggio, un modo per mescolare le sostanze – racconta
Onofrio Giglio, 68 anni passati quasi tutti in campagna – In questo
terreno che apparteneva al Comune avevamo piantato decine di eucaliptus,
ma da quando è iniziata l’attività nelle miniere si è creato il
deserto».
L’unico bel ricordo dell’oro di Furtei è il calice donato a Benedetto XVI. Per tutto il resto, questa è la storia di un fallimento e di un disastro. In dieci anni di scavi sono venute fuori meno di cinque tonnellate d’oro, sei d’argento e quindicimila di rame. Nel 1997 erano stati assunti in 110 ma pochi anni dopo erano solo 42. E così il sogno del nuovo Eldorado si è infranto. «La Regione deve spiegare perché dal fallimento a oggi nessuno ha bonificato la distesa di cianuro denuncia il deputato Mauro Pili – E come se non bastasse non ha neppure riscosso le garanzie fideiussorie: ora che la società è sparita i sardi dovranno farsi carico di tutti i costi. È stata una grande operazione speculativa e l’indagine finanziaria internazionale lo dimostra».
Il governatore Ugo Cappellacci, che della miniera di Furtei conosce bene la storia, affida al portavoce il compito di spiegare i progetti e il lavoro fatto finora: «Abbiamo già effettuato la caratterizzazione del suolo e sottoscritto due convenzioni con Igea (4,2 milioni la prima e 2,5 la seconda) per un impianto di depurazione delle acque acide. Da poco abbiamo stanziato altri 9 milioni per la bonifica integrale».
Nessun commento:
Posta un commento