Si tratta del più grande processo, in tema di sicurezza del lavoro e di
provocato da amianto mai celebrato in Europa,
contro un gigante multinazionale come Eternit. Arriva oggi la sentenza
di condanna a 18 anni di reclusione per disastro doloso e omissione di
cautele all’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, imputato a
Torino nel processo Eternit, che in primo grado era stato condannato a
16 anni
L’avvocato Valentina Stefutti, che ha seguito tutte le
udienze per conto del Panda, esprime «Soddisfazione per la sentenza che
conferma il primo grado per quanto riguarda la posizione del Wwf e
inoltre riconosce pienamente la penale responsabilità dell’imputato
anche per quanto riguarda i gravissimi reati ambientali commessi». Oltre
che per i numerosi risarcimenti per le vittime, la sentenza è stata
accolta con soddisfazione dal Wwf Italia per la conferma del
risarcimento che gli viene attribuito, risarcimento definito in primo
grado.
La direttrice dell’ ufficio legale-legislativo del Wwf Italia, Patrizia Fantilli, sottolinea che «Il Wwf Italia, parte civile nel processo iniziato nel dicembre 2009, è presente anche oggi nell’affollatissima aula della Corte d’appello di Torino alla lettura della sentenza che ha confermato quanto faticosamente dimostrato dal lavoro eccezionale del pool del PM Guariniello, grazie a cui si è arrivati all’accertamento della verità e ad una sentenza che ha reso giustizia alle centinaia di morti e malati causati dall’amianto».
Il Wwf ricorda che «La sentenza conferma la gravità del disastro ambientale e sanitario con danni ambientali e sofferenze umane inenarrabili, in un’area molto vasta che ha interessato Casale Monferrato e 48 comuni limitrofi con oltre 2000 vittime accertate dall’esposizione al’amianto , ed un indeterminato numero di lavoratori e popolazione colpita . Il processo di Torino non costituisce solo la risposta dovuta dallo Stato nei confronti di una situazione così grave, ma anche un monito per tutti coloro che continuano ad ignorare i doverosi criteri di precauzione che devono sempre essere adottati quando non si è in grado di escludere scientificamente che determinate sostanze possano compromettere la salute e l’ambiente. Ora l’impegno deve passare dalla Magistratura a Governo e Parlamento che devono trovare le risorse economiche per avviare un rapido e serio piano di bonifiche nelle aree contaminate dall’amianto».
In Italia l’amianto è stato messo al bando fin dal 1992, ma solo dal 1998 sono state individuate le prime aree da bonificare, oltre 20 anni dopo la sua massima diffusione sia negli insediamenti industriali che civili. Questo lascia una pesantissima eredità tanto che il picco di forme tumorali dovute all’amianto è previsto dalla letteratura scientifica tra il 2015 e il 2020. I “Siti d’Importanza Nazionale (Sin.) soggetti a bonifica sono sati già individuati per legge o per decreto ministeriale e sono 7: oltre a Casale Monferrato, c’è anche Balangero (in provincia di Torino), Emarese in provincia di Aosta, Broni in provincia di Pavia, Bari, Bagnoli a Napoli e Targia a Siracusa. Purtroppo i dati sanitari dell’Inail ci dicono che nel nostro Paese gli effetti dell’esposizione all’amianto sono destinati a crescere fino al 2020 e le stime indicano alcune decine di migliaia di casi nei prossimi anni. Oltre al problema delle bonifiche da effettuare (e i corrispettivi denari da sborsare), rimane anche la resistenza psicologica che nel nostro Paese impedisce di trovare soluzione anche per smaltire tutto il materiale delle bonifiche stesse. Anche dove esiste una legge che prevede per ogni discarica un modulo dedicato allo smaltimento dell’amianto, ci si rifiuta di applicarla con serietà.
Per il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, quella di oggi rimane comunque di «Una sentenza esemplare che restituisce giustizia a migliaia di persone e famiglie che hanno sopportato e sopportano ancora un vero calvario. Speriamo che anche il terzo grado di giudizio confermi questa sentenza perché il caso italiano sia ora d’esempio e faccia giurisprudenza nel mondo, soprattutto nei Paesi dove l’amianto continua ad essere estratto e lavorato e continua silenziosamente a mietere vittime. Le bonifiche in molti casi o non sono partite proprio o sono ancora nella fase di messa in sicurezza. Non c’è più tempo da perdere, dobbiamo liberarci dall’amianto quanto prima e evitare che la strage possa continuare per troppo tempo nel futuro».
Anche Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, costituitasi parte civile al processo e presente alla lettura della sentenza insieme a centinaia di persone tra cui moltissimi francesi, esprime soddisfazione per il verdetto di primo grado. Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, ha detto che «Questa sentenza è sicuramente un risultato storico per la tutela dei lavoratori ma anche per la salute dei cittadini che ancora oggi, spesso inconsapevolmente, sono esposti al rischio amianto ma proprio per loro crediamo importante avere la garanzia che i risarcimenti ai Comuni arrivino presto per continuare le bonifiche e limitare il diffondersi ulteriore dei casi di tumore. Ogni anno a Casale Monferrato continuano a morire almeno 50 persone per patologie legate all’eternit. Inoltre riteniamo grave che Inail e Inps siano stati esclusi dai risarcimenti perché proprio loro dovranno affrontare le spese per i malati attuali e futuri».
Il Cigno Verde fa il quadro di una situazione troppo spesso dimenticata: «E’ un’eredità pesante quella della produzione d’amianto nel nostro Paese, che va da un milione di metri quadrati delle coperture di edifici privati di Casale Monferrato (Al) ai 45milioni di m3 di pietrisco di scarto contaminato presso la miniera di Balangero (To), passando per i 90mila m3 di fibra, in varie forme, contenuto nello stabilimento produttivo di cemento amianto nella città di Bari, fino ad arrivare ai 40mila big bags contenenti rifiuti d’amianto prodotti fino ad oggi con la bonifica di Bagnoli a Napoli. C’è poi l’amianto domestico, sparso nelle case, scuole o edifici pubblici. Su questo non ci sono ancora dati certi ma le ultime stime del Cnr e dell’Ispesl parlano di oltre 32 milioni di tonnellate presenti sul territorio nazionale, ma i numeri totali potrebbero essere molto maggiori».
Anche secondo il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, «La sentenza della Corte d’Appello di Torino rappresenta un fatto storico per la difesa del diritto alla salute e all’ambiente oltre che un precedente importantissimo per tutte le vittime dell’inquinamento e dei veleni che hanno diritto ad ottenere giustizia. La sentenza Eternit rappresenta un precedente importantissimo per l’inchiesta e per il processo sull’Ilva di Taranto in quanto le tesi accusatorie sono le medesime: il fatto che la Corte d’appello di Torino abbia confermato in appello le condanne per il disastro dell’Eternit, inasprendo le pene, lascia ben sperare anche per tutti coloro che a Taranto attendono giustizia». Bonelli conclude: «In Italia ci sono tantissime “Eternit”, bombe ecologiche dimenticate dalla politica e realtà industriali abbandonate nei pressi delle quali i cittadini si ammalano e muoiono. Chiediamo subito al governo un grande Piano nazionale per le bonifiche che sono la più grande opera incompiuta del nostro Paese e chiediamo che vengano finalmente promosse delle indagini epidemiologiche in tutti i territori messi in ginocchio dall’inquinamento: il governo deve sostituirsi a quelle regioni che o non sono in grado o non vogliono farle».
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