Antonino Abrami, ex giudice di Cassazione, docente universitario e fondatore dell’Accademia Internazionale di Scienze Ambientali, è il simbolo della battaglia ormai decennale per la costituzione di una Corte Penale Internazionale per i Reati Ambientali e di un Tribunale Europeo dell’Ambiente. Più che battaglia, però, sarebbe più corretto definirlo un lungo e complesso lavoro legislativo e diplomatico, che unisce il dialogo costante con i rappresentanti politici a diversi livelli alla ricerca e alla sensibilizzazione di istituzioni e cittadini. Lo scopo ultimo è ambizioso: far sì che i disastri transnazionali vengano puniti in modo adeguato e le compensazioni richieste alle multinazionali, spesso responsabili dei misfatti, siano eque, considerando “il grave reato ambientale intenzionale transfrontaliero quale crimine contro l’umanità”.
Tutto è partito nel 2003, con la nascita dell’Accademia Internazionale di Scienze Ambientali, oggi presieduta dal Premio Nobel per la Pace Adolfo Perez Ezquivel, che promuove ricerche e iniziative per la tutela dell’ambiente. A partire dall’impegno per la nascita dei due nuovi organismi giudiziari. Venerdì scorso, a Venezia, durante il primo convegno organizzato dalla Fondazione Internazionale per la Giustizia Ambientale (la SEJF, Supranational Environmental Justice Foundation), nata da pochi mesi per supportare le battaglie giuridiche dell’Accademia e costituirsi parte civile nei principali processi ambientali, sono state presentate 12 storie esemplari di ecocidio, per “rendere evidente come molte delle più gravi sciagure ambientali che hanno devastato o stanno ancora devastando il Pianeta, in presenza di una legislazione internazionale più efficace, potevano essere del tutto evitate oppure in altri casi risarcite in modo adeguato al danno provocato, con i colpevoli assicurati alla giustizia”. Nella lista ci sono i casi dei 350.000 abitanti delle Maldive che si preparano a emigrare a causa del cambiamento climatico e delle grandi estensioni di foresta tropicale distrutte in Indonesia dalla multinazionale della carta APP, al ritmo dell’equivalente di 300 campi di calcio ogni ora. “L’elenco degli hot spot non è che una tappa del percorso che vuole portare a redigere un vero e proprio Atlante dell’Ecocidio su scala planetaria e soprattutto alla creazione di strumenti che intervengano laddove gli Stati nazionali sono conniventi con le ragioni degli inquinatori, perché troppo deboli o ricattabili”, spiega Antonino Abrami, presidente di SEJF.
Un primo passo per un sistema giudiziario sovranazionale per i reati ambientali potrebbe essere la costituzione del Tribunale Europeo. “Potrebbe essere un nuovo organismo oppure una nuova sezione della Corte di Giustizia Europea. In questo percorso, una tappa importante è stata la mia audizione in Commissione Ambiente, Salute Pubblica e Sicurezza Alimentare dell’Europarlamento. Dopo si è riunita la Direzione Generale Politiche Interne, Diritti dei Cittadini e Affari Costituzionali che ha esaminato la proposta ritenendola realizzabile a medio termine, ossia in un paio d’anni”. L’Europa potrebbe così fare da traino per dar vita poi a una sezione della Corte dell’Aja dedicata ai reati ambientali: “Giudicherebbe reati transnazionali, agendo in via di supplenza, ossia al posto dei tribunali nazionali quando questi sono inadempienti. Sarebbe un organo totalmente indipendente, in grado di intervenire anche in via preventiva: pensiamo per esempio alle tante carrette del mare che oggi circolano cariche di petrolio, mettendo a rischio gli ecosistemi marini e le economie basate sulle risorse ittiche e sul turismo. Sono in tutto una settantina, e la Corte potrebbe sequestrarle impedendo loro di partire e causare eventuali nuovi disastri come quelli della Prestige o della Enrica Lexie”.
Non un’invasione di campo nei confronti dei tribunali nazionali, ma una garanzia, precisa Abrami: “Quando c’è un reato ambientale, le indagini subiscono sempre un rallentamento. Entrano in gioco pressioni, giochi di competenze, ingerenze da parte di multinazionali da cui interi Stati spesso dipendono. In questo senso, l’esistenza di una Corte Internazionale potrebbe far lavorare in modo più tranquillo anche le istituzioni nazionali”.
Un caso virtuoso è quello del processo a Torino ai vertici dell’Eternit: “Lì non si sono considerati solo i morti, ma anche l’entità sul disastro e gli effetti sulla popolazione. Ma è un caso ancora raro”. E in questa battaglia potrebbe essere coinvolto anche Papa Francesco, sensibile a questi temi: “Il presidente dell’Accademia Adolfo Perez Ezquivel, professore e attivista argentino per i diritti umani, ieri lo ha incontrato, chiedendogli di promulgare un’enciclica sulla tutela ambientale e la giustizia transnazionale dell’ambiente”.
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