Per l'Ue costo del non adattamento al cambiamento climatico pari a 328 miliardi dollari l'anno
I Climate change talks dell'United Nations framework convention on climate change (Unfccc), conclusisi a Bonn tra la disattenzione della stampa e della politica italiane, sembrano aver segnato una svolta positiva nei defatiganti summit dell'Unfccc, tanto che molti delegati hanno detto che sono andati «Sorprendentemente bene».
Il compito dell'Ad Hoc Working Group on the Durban Platform for Enhanced Action (Adp) dell'Unfccc è quello di negoziare un nuovo accordo sul clima entro il 2015 - che entrerà in vigore dal 2020 - e di trovare i modi per aumentare l'attuale inadeguata sforzo per affrontare i cambiamenti climatici indotti dall'uomo. L'ottimismo sulla possibilità di arrivare ad un nuovo accordo globale sul clima è temperato dal fatto che restano forti divisioni su come e quanto aiutare i Paesi in via di sviluppo. Gli esiti del meeting di Bonn e la prossima riunione di Adp che si terrà a giugno condizioneranno fortemente la 19esima Conferenza delle parti Unfccc, che si terrà a Varsavia a novembre. I co-presidenti dell'Adp, Jayant Moreshver Mauskar e Harald Dovland, hanno detto che con i colloqui della scorsa settimana «Stiamo facendo progressi, ma abbiamo tempo limitato... è quindi necessario proseguire e accelerare i nostri sforzi».
La segretaria esecutiva dell'Unfccc, Christiana Figueres, ha sottolineato che «I Paesi hanno discusso le soluzioni concrete per accelerare ed elevare l'azione. I delegati hanno anche discusso come costruire un accordo misurabile, trasparente e verificabile che ottenga il meglio da tutti i Paesi. E si sono impegnati ad adeguarsi alla tabella di marcia. I governi, mentre sono sulla buona strada per raggiungere i traguardi che si sono posti, non sono ancora sulla buona strada per soddisfare le esigenze della scienza».
Durante la settimana di incontri a Bonn i governi hanno convenuto che «Il cambiamento climatico deve essere affrontato da tutti i gruppi che lavorano insieme, dalle organizzazioni internazionali al settore privato, e con il supporto politico al più alto livello. I partecipanti - si legge in un comunicato Unfccc - hanno inoltre convenuto che ci sono molte opportunità per aumentare le azioni di mitigazione esistenti, in particolare con l'aiuto delle energie rinnovabili, e che vi è la necessità di costruire mezzi finanziari sufficienti per attuare l'azione».
Comunque, secondo il delegato cileno Andrés Pirazzoli, l'ultimo round dei negoziati Unfccc «E' stato molto positivo. Siamo stati in grado di essere più aperti, più franchi». Anche Sabine Bock, direttrice di Women in Europe for a Common Future (Wecf) Germania non nasconde il suo entusiasmo: «E' una atmosfera concentrata e positiva, il che è sempre molto importante in questi colloqui».
I 1.000 partecipanti e i delegati di 176 Paesi a Bonn hanno quindi lavorato in un clima finalmente positivo per i negoziati su un trattato globale per il post-Protocollo di Kyoto da approvare entro il 2015 e da far entrare in vigore nel 2020, ma a spingerli probabilmente è stata la paura dell'aver superato la soglia simbolica e critica delle 400 parti per milione di CO2 in atmosfera.
A Bonn, l'Organizzazione meteorologica mondiale dell'Onu (Wmo) ha confermato che il 2012 è stato il nono anno più caldo mai registrato. La temperatura media globale nel 2012 è stato di 0,45 gradi Celsius superiore alla media 1961-1990 di 14 gradi; lo Status of the Global Climate Wmo, pubblicato il 2 maggio, conferma anche che il 2012 è stato il 27esimo anno consecutivo con una temperatura superiore alla media globale.
Il segretario generale del Wmo, Michel Jarraud, afferma che «Anche se il tasso di riscaldamento varia di anno in anno a causa della variabilità naturale causato dal ciclo di El Niño, dalle eruzioni vulcaniche e da altri fenomeni, il riscaldamento continuo della bassa atmosfera è un segno preoccupante. La tendenza al rialzo continuo delle concentrazioni atmosferiche di gas serra e il conseguente aumento del forcing radiativo terrestre confermano che il riscaldamento continuerà. La tendenza al riscaldamento è responsabile dei livelli record di disgelo del ghiaccio nell'Artico e degli eventi climatici estremi, tra i quali la siccità e i cicloni tropicali. La variabilità naturale del clima ha sempre portato a tali estremi, ma le caratteristiche fisiche degli eventi meteorologici estremi e degli eventi climatici sono sempre più plasmati dal cambiamento climatico».
La presidente dell'United Nations office for disaster risk reduction (Unisdr), Margareta Wahlström, ha ricordato che il global warming non è solo un problema per i poveri: «L'Europa si sta riscaldando più velocemente di molte altre parti del mondo. L' Europa meridionale e centrale vedrà ondate di calore più frequenti, incendi boschivi e siccità. Mentre per l'Europa settentrionale e nord-orientale si prevede che ci saranno più precipitazioni e inondazioni». La Wahlström a Bonn ha ricevuto dall'Unione Europea la sua strategia in materia di adattamento ai cambiamenti climatici e ha detto che «L'adozione di questa nuova strategia è un importante incentivo per gli Stati europei a intensificare i loro sforzi per la riduzione del rischio di catastrofi e di adattamento al cambiamento climatico. La resilienza urbana è particolarmente importante in tutta la regione, dato che il 75% della popolazione vive in aree urbane che possono essere esposte ad ondate di calore, alluvioni o all'innalzamento del livello del mare».
L'Ue stima che il costo minimo del non adattamento al cambiamento climatico raggiungerebbe 131 miliardi di dollari l'anno entro il 2020 e 328 miliardi dollari l'anno entro il 2050 per l'intera Unione europea.
Garantire la sostenibilità ambientale è uno degli otto Obiettivi di sviluppo del Millennio contro la povertà che i leader mondiali si sono impegnati a raggiungere entro il 2015. L'Assemblea generale dell'Onu ha in programma questo mese un dibattito su questo tema a New York per concentrarsi sul cambiamento climatico, l'energia verde e la sostenibilità. Inoltre, con la Sustainable Energy for All Initiative, il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon chiede che il mondo raggiunga l'accesso universale a servizi energetici moderni nel 2030.
Sarà stata la paura per questi dati sempre più preoccupanti e vicini al punto di non ritorno che a Bonn c'è stato anche un nuovo protagonismo dei Paesi in via di sviluppo che sui temi climatici sembrano aver rotto vecchie alleanze e sudditanze con i Paesi sviluppati, e che prendono anche le distanze dalle "furbizie" dei Paesi emergenti come Cina ed India. Le Filippine hanno assunto il ruolo di rappresentanti dei Paesi più colpiti dai cambiamenti climatici e che rischiano di pagare il prezzo più alto degli effetti del global warming, compresi la perdita di territorio per l'innalzamento del livello del mare, la desertificazione, la deforestazione, il drammatico declino della biodiversità e gli enti climatici sempre più estremi.
Una delle questioni che hanno diviso in questo round di colloqui era se le potenze mondiali debbano concentrarsi sulla mitigazione del cambiamento climatico o su come aiutare i Paesi colpiti ad affrontarli. Qui il Cile ha cercato una posizione che non è piaciuta molto né ai sudamericani né agli altri Paesi del Sud. Secondo Pirazzoli «Le nazioni più ricche vedono che i Paesi in via di sviluppo e le economie emergenti emettono di più e presto saranno uguali in termini di quote. Così pensano che la mitigazione dovrebbe essere il focus». Ma la negoziatrice filippina, Bernaditas de Castro Müller, ha ribattuto con un acceso intervento: «Sì, prendiamo azioni di mitigazione. Non appena ci fermeremo annegheremo! Siamo frustrati per la richiesta di azione da parte delle nazioni in via di sviluppo, quando non hanno svolto nessun ruolo nel danneggiare l'ambiente e non hanno avuto vantaggi della attività industriale che è la principale causa del danno. E' obbligo di coloro che hanno le responsabilità storiche delle emissioni di condividere le risorse che hanno acquisito attraverso un cattivo uso dei beni comuni globali». La rappresentante filippina non è convinta che le nazioni in via di sviluppo debbano ridurre la loro impronta di carbonio: «Molti Paesi in via di sviluppo, compreso il mio, hanno basse emissioni. Che cosa si riduce quando un uomo mangia una volta al giorno? Come si fa a chiedergli di fare la dieta?». Pirazzoli ha spiegato di capire questa posizione: «Tutti, compresi i Paesi in via di sviluppo, ha un ruolo da svolgere. I delegati cileni vogliono vedere le nazioni ricche dare l'esempio. Crediamo che le nazioni che hanno tratto profitto da un mondo senza vincoli per il carbonio dovrebbero aprire la strada in termini di ambizione».
Anche la Bock, che a Bonn rappresentava più di 100 associazioni ambientaliste delle organizzazioni femminili, ha sottolineato che «Il 70% delle vittime dei cambiamenti climatici al mondo sono donne I poveri saranno più colpiti dal cambiamento climatico. E' davvero importante mettere in atto misure che consentano alle donne di contribuire alla mitigazione e all'adattamento e di mettere in atto salvaguardie per loro. I delegati sono sempre più consapevoli delle opportunità offerte dalla nuova green economy. Il mio Paese, la Germania, sta investendo molto nelle energie rinnovabili come parte di uno sforzo nazionale per ridurre le emissioni. Le persone devono essere consapevoli che c'è anche una nuova opportunità in questa grande trasformazione. Se si segue questa strada low carbon, ci sono reali opportunità in termini di posti di lavoro».
I climate change talks di Bonn, con questo nuovo protagonismo dei Paesi in via di sviluppo e delle Ong della società civile e con il basso profilo tenuto dai Paesi sviluppati sembrano comunque una svolta lungo la strada che porterà alla grande conferenza sul clima del 2015 a Parigi dove dovrebbe essere approvato un nuovo accordo globale sulla protezione del clima. La delegazione dell'Indonesia ha però avvertito che è necessario approvare un piano preciso per realizzare l'accordo del 2015: «Dobbiamo scegliere le azioni più efficaci ed efficienti che producono meno emissioni e che vadano a beneficio dello sviluppo sostenibile del Paese. E' necessario il coinvolgimento dei settori pubblici e privati ai diversi livelli di governante, e applicare concretamente le azioni di mitigazione e di adattamento».
I Paesi in via di sviluppo, insieme all'Europa, sembrano guardare con un altro atteggiamento alla Cina, che ha superato gli Usa come il più grande produttore mondiale di CO2 e puntano a fare i modo che le due grandi potenze mondiali si accordino su un nuovo patto globale sul clima. «Mi piacerebbe vedere la Cina impegnata. C'è questo gioco tra Stati Uniti e Cina. Sono entrambi in attesa che l'altro faccia un movimento - ha detto Pirazzoli, che però rappresenta un governo molto filo-statunitense - Nel frattempo, la gente in Cina sta soffrendo, le persone negli Usa soffrono. Vediamo cosa sta accadendo sulle loro coste. Il cibo sta per diventare un grande problema per la Cina. Cina e Usa hanno un ruolo importante da svolgere per definire il futuro. Mi piacerebbe vedere queste due nazioni essere più ambiziose: questo risolleverebbe le sorti del mondo».
U.M.
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