07/04/13

Segrè e la nuova visione dell’economia “ecologica”

Il professore e insegnante universitario ha parlato di economia a colori e sostenibilità con Alessandro Bratti


Una serata lunga e densa di contenuti, quella di ieri 5 aprile con Andrea Segrè. Ad intervistarlo Alessandro Bratti, entomologo, esperto in sostenibilità e deputato ferrarese. I due si conoscono molto bene e fin dall’inizio Bratti stimola Segrè con domande sul suo libro e sulla sua nuova definizione di economia. Il libro che il ricercatore presenta è “Economia a colori”.

“ Nel mio libro parto dalla scienza che si autodefinita triste  spiega Segrè. Sono gli stessi economisti che lo dicono. Io sono cresciuto nell’economia agraria con una prospettiva dal basso, come le piante, ma che non crescono all’infinito. È molto semplice. Anche gli economisti ecologici dicono che se le risorse naturali sono limitate, lo dicono il primo e secondo principio della termodinamica. Allora anche i consumi devono essere limitati.” Io però vado oltre. Economia e ecologia hanno la stessa radice: ma l’economia è la casa piccola, la nostra casa. L’ecologia è la gestione della casa più grande, il nostro pianeta. Vi sembra normale che la casa piccola contenga la casa grande? Allora mi definisco ecologista economico. L’economia deve essere un capitolo dell’ecologia. Questo è il punto di partenza del libro. L’economia è uno strumento dell’ecologia e non viceversa, allora potremo capirne i limiti”.
Bratti interviene con una domanda che molti si stanno ponendo nella sala: “ Come possiamo fare o meglio che c’è da fare dopo le montagne di dichiarazioni di intenti?”. Segrè sottolinea come ci siamo scordati che le risorse naturali come il suolo, l’acqua, l’energia, non sono scarse come dice qualche economista o illimitate come si diceva un tempo, “ma limitate, e noi non diamo loro neppure il tempo di rigenerarsi. Se riusciamo a capire la giusta dimensione dell’economia, allora finalmente riusciremo ad andare oltre al misuratore classico, il pil. Basta parlare di questo pil”.

Il ricercatore pone a sua volta alla platea alcune domande provocatorie: “Chi sono i mercati? cari economisti dateci delle spiegazioni, diteci nella pratica chi sono quei 1241 speculatori che con qualche algoritmo anticipano di qualche secondo prima del nostro pensiero in qualche modo. E che condizionano. Questi sono da eliminare anche concettualmente. Noi non abbiamo una contabilità naturale. Noi produciamo sempre merci nuovo troppo in fretta, non dando la possibilità alle risorse di ricrearsi. Tanto in fretta che di indebitiamo con la natura”.

Bratti approfondendo la discussione affronta il problema attuale del cosiddetto bene comune. Qui Andrea Segrè è molto determinato “La società sostenibile, prevede che alcune cose devono andare fuori dal mercato, dalla logica della proprietà di cose che non usi e che getti, e queste cose diventano rifiuti. Il bene comune come definizione non rientra ancora nella nostra normalità di pensiero: penso all’aria, all’acqua. Riflettiamo ma senza esagerazioni e senza dogmi”.

“Tutti ne parlano del nuovo modo di intervenire per porre un freno alla distruzione, ma si vedono molto esempi, ma non decisioni determinati “ incalza Bratti. Anche qui lo studioso è molto perentorio “Ma la critica deve fare massa, altrimenti non cambieremo mai questo mercato. I tanti gruppi , associazioni, movimenti devono fare massa critica. Non dico di non consumare più niente, ma consumiamo abbastanza tutti. E voglio fare una provocazione: sfruttiamo questa crisi per cambiare qualche cosa. Perché questa non è una crisi economica ma ecologica e sociale e il suo inizio non è il 2007. Sviluppo sostenibile è un ossimoro, una contraddizione in termini”.

Bratti chiede a questo punto quali siano secondo Segrè le strategie per valorizzare i luoghi e le tipologie della produzione, in particolare quella agricola. “Il cibo deve ritrovare la centralità – ribatte Segrè -. Non si può ragionare solo in termini di costi e prezzi, seppur corretti. Il cibo viene oramai considerato solo come una merce al pari delle altre. Tanto che ci permettiamo di sprecarlo. Gettare qualche cosa che è ancora buono da mangiare è oramai un fenomeno planetario. Più l’economia cresce, meno spendiamo per mangiare. Nel nostro Paese il 18%, vuol dire che l’82% del nostro reddito se ne va per altro. Dobbiamo scegliere cosa consumare. Un tempo pensavo che lo spreco fosse un fallimento del mercato. Attivando Il Last Minute Market abbiamo capito che lo spreco è il valore aggiunto del marcato. Il mercato si fonda sull’usa e getta. Una buona parte di ciò che finisce nel bidone della spazzatura urbano è ancora utilizzabile. La parola d’ordine del Last Minute Market è ridurre le eccedenze che non diventa tino sprechi. Però è necessario ridurle a monte con una revisione delle etichette, con la regolamentazione delle vendite scontate a esempio. Donare le eccedenze a chi ha bisogno attiva una relazione che va oltre i beni recuperati. Il mercato oltre ai classici valori d’uso e di scambio ha ance dentro il valore di dono: appunto una relazione tra le persone. Il documento approvato anche dal parlamento europeo “ Spreco zero” va in questo direzione, un documento che abbiamo proposto e che sarà il tema del 2014 per l’Europa”.

La serata è stata lunga, e le domande alla fine sono state bloccate perché oramai ci si avvicinava alla mezzanotte. Difficile trovare, anche nelle aule universitarie, una platea più attenta.


Estense.com

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