Il segretario si smarca dalla proposta di Franceschini favorevole al dialogo con Berlusconi per un governo di transizione
Una spaccatura. L’apertura di Dario Franceschini al Pdl per la creazione di un governo di transizione fa discutere i politici ferraresi Pd, divisi tra coloro che ritengono necessaria una scelta di responsabilità, aprendo in tal modo un dialogo con il centrodestra, e coloro che al contrario chiudono la porta a qualunque ipotesi di alleanza con Berlusconi: un’azione giudicata da gran parte della base elettorale una sorta di “suicidio” politico in vista di future elezioni, con il rischio di un’emorragia di voti in favore di partiti di “rottura” come il Movimento 5 Stelle. «Non è il momento di fare tatticismi, il Paese sta affrontando problemi drammatici», ha ribadito ieri lo stesso Franceschini, puntualizzando che la sua proposta «non ha nulla a che fare con l’idea di un governissimo»: «In giugno ci saranno otto milioni di ammortizzatori sociali non finanziati - aggiunge l’ex capogruppo Pd alla Camera - In luglio ci sarà l’aumento dell’Iva. Se si torna a votare con questa legge elettorale, chiunque vinca alla Camera non avrà maggioranza al Senato. Grillo ci ha già sbattuto la porta in faccia, quindi o si va votare con le condizioni che già conosciamo o si accetta un governo di transizione: non si possono fare governi politici con il Pdl, ma cose urgenti sì, come cambiare questa legge elettorale che non funziona e realizzare provvedimenti che diano ossigeno all’economia». Dalla situazione di stallo è opinione condivisa si debba uscire il prima possibile per il bene del Paese. Sullo sfondo, inoltre, l’elezione del nuovo capo dello Stato, a rendere ancor più complicato un quadro politico nazionale di per sè già complesso. Il sospetto, già manifestato da molti esponenti nazionali, è che anche l’elezione del successore di Giorgio Napolitano entri all’interno di una “trattativa” Pd-Pdl per la formazione del nuovo governo. Non è di questa idea il deputato ferrarese Alessandro Bratti: «Il presidente della Repubblica non è merce di scambio», commenta. Quanto alla proposta Franceschini: «Sono aperto a tutti i suggerimenti e non ho preclusioni dice ma l’idea di un governo di transizione non mi sembra appartenga solo a lui all’interno del Pd. È anche un pò la posizione di Renzi. Il punto è: vediamo se siamo capaci di fare un governo con due o tre riforme prima di tornare al voto. Se si dovesse tornare a votare subito, invece, gli schemi con cui il Pd si dovrà presentare non potranno essere quelli di prima: ci sarà bisogno di un nuovo leader, perchè dopo un’ulteriore campagna elettorale il Paese non può permettersi una nuova ingovernabilità». A giudicare la proposta Franceschini una soluzione percorribile è la senatrice Maria Teresa Bertuzzi: «Al di là del sentimento della base, noi abbiamo un Paese in ginocchio che chiede un governo afferma e tutti chiedono alla politica l’assunzione di responsabilità. È per responsabilità che Bersani ha puntato ad un governo di cambiamento, sebbene il M5S non senta questo peso, invocando l’avvio delle commissioni e ignorando che non possono funzionare senza maggioranze e opposizioni». Per Bertuzzi, «dalle urne siamo usciti con tre poli. Se si vuole fare un governo, quindi, due forze devono necessariamente mettersi d’accordo: l’idea di un governo di transizione è una necessità immediata. E in caso di un governo di transizione con Berlusconi anche il nostro elettorato dovrà maturare, rendendosi conto di cosa stiamo passando in questi giorni». Un’apertura a Berlusconi, invece, sembra non andare proprio giù al segretario provinciale, Paolo Calvano: «Se qualcuno aveva ancora dei dubbi, glieli ha tolti definitivamente Berlusconi elencando i suoi otto punti - fa sapere Calvano - a parte il numero, non ce n’è uno che coincida con il governo del cambiamento proposto da Bersani. Quindi non ne faccio una questione di riconoscimento dell’avversario, ma di cose da fare per il Paese». Per Calvano, «se dopo l’elezione del Presidente della Repubblica permane questa situazione, l’unico accordo da cercare in Parlamento è quello per cambiare la legge elettorale, ridurre il numero dei parlamentari e approvare qualche misura urgente per l'economia. Si può fare tutto in pochissimo tempo, perché non possiamo permetterci di perderne ancora. E poi si torna a votare: non vorrei che la ricerca di un “governo a tutti i costi”, nascondesse dietro l’enorme crisi del Paese, la paura di tornare a votare e la voglia di preservare tutto così com’è. In questo modo si fornirebbe un'ulteriore freccia all'arco dell'antipolitica».
Evaristo Sparvieri
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