03/02/13

La prima legge da fare? “Quella sul conflitto di interessi”

La prima legge da fare? “Quella sul conflitto di interessi”. Discesa o salita in campo? “Solo uno spostamento”. Pietro Grasso, “in crisi di identità” dopo il passaggio dalla magistratura alla politica attiva non è certo privo di risposte per i suoi elettori, numerosissimi, presenti al Palazzo Racchetta in occasione dell’incontro con l’ex procuratore nazionale antimafia, Alessandro Bratti (deputato Pd), Rita Reali (responsabile giustizia del Pd ferrarese) e, il giornalista di Avvenire Toni Mira, moderatore del dibattito.
Tanti i temi toccati, dalle leggi sulla giustizia, alla querelle con Antonio Ingroia, passando per il nuovo Pietro Grasso, quello che smette i panni del magistrato per entrare in politica. Con Ingroia, Grasso si toglie qualche sassolino: “da parte mia non sono mai entrato nelle polemiche. Dissi, prima che Ingroia si candidasse, che le persone con la schiena dritta non possono che essere utili per portare avanti idee giuste. Ho teso un mano, porto una guancia e il giorno dopo ho ricevuto uno schiaffo”. Ma non finisce qui, perché Grasso va oltre pur senza continuare a rivolgersi in modo esplicito al leader di Rivoluzione civile:“penso un magistrato oltre che essere imparziale deve apparire imparziale, sempredice l’ex procurare antimafia- tanto è vero che nessuno è mai riuscito a darmi un’etichetta politica. Sono sempre stato molto attento a non manifestare le mie idee e coerentemente, prima di assumere il nuovo ruolo, ho detto a Bersani che prima mi sarei dimesso”, un rimando neppure troppo velato alla decisione di Ingroia di ritornare alla magistratura una volta terminata la parentesi politica: “io ho fatto una scelta radicale, dalla quale non torno indietro”. Silvio Berlusconi non può mancare. Prima per spiegare che “non ha mai proposto con serietà di assegnargli il famoso premio per la lotta alla mafia” che in tanti gli rinfacciano, ma che si è trattato di una frase estrapolata da una trasmissione radiofonica condotta con molta ironia (‘La zanzara su Radio24) in cui riconosceva l’utilità di una norma che estende i poteri di confisca dei beni alla Direzione antimafia, varata dal Governo Berlusconi (e che mancava dal 1991 quando insieme a Giovanni Falcone la proposero invano all’allora ministro Claudio Martelli), la quale ha fruttato oltre 40miliardi di euro recuperati dalla mafia ma senza che nessuno si ricordi mai del suo successivo elenco delle cose non fatte. Poi, Berlusconi entra in gioco come fattore che appare determinante nella sua discesa in campo o, come sostiene Grasso, nel suo essersi “semplicemente spostato”: “quando ho sentito che sarebbe ritornato in politica per riformare la giustizia, mi sono detto che dovevo intervenire per contrastarlo. Gli avvocati di Berlusconi continua Grasso la mattina andavano in udienza e il pomeriggio al Parlamento per votare le leggi ad personam che hanno fatto tanti danni alla giustizia italiana. Io mi sono ribellato e ho deciso di contrastare questo sistema”. Ancora, anche senza nominarlo, lo spettro berlusconiano aleggia sulla proposta di approvare come prima legge quella sul conflitto di interessi: “sarebbe molto semplice, di un rigo soltanto: chi fa politica non può avere altri interessi”. Il discorso si fa più accorato quando parla di necessità di cambiamento, di “rivolta morale” e di “recupero dell’etica”: “ci vuole un vento nuovo -dice Grasso- e lo si può creare con il soffio di ciascuno di noi”. La scelta del Pd? Non casuale. “La sua forza è che può cambiare il leader ma il partito rimane” dice Grasso che apprezza anche lo sforzo intrapreso nel cercare di mantenere le liste pulite: “il rinnovamento della politica parte dal fatto che chi ha un procedimento giudiziario in corso deve farsi da parte, senza che venga dato un giudizio della persona e il Pd ha fatto un grande passo in avanti in questo”. “Mi sono subito ambientato continua Grasso ed è venuto fuori quel ragazzo di sinistra che sono sempre stato”. Immancabile il richiamo al voto utile, una sorta di mantra per i grandi partiti: “abbiamo bisogno di numeri per evitare che partiti con pochi voti governino questo Paese bloccando le riforme. Senza una maggioranza e una forza del numero, la democrazia non funziona”.

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