Quasi due ore di intervento per Bratti, già direttore
generale di Arpa Emilia Romagna, attualmente componente della Commissione
parlamentare di inchiesta sulle attività illecite nel ciclo dei rifiuti e
dunque intervenuto in qualità di esperto.
“La gestione dei rifiuti è un problema tecnico banale
-ha affermato- ma in Italia si è creato un sistema parallelo molto forte e
difficile da aggredire”. Un sistema che nel suo complesso prende il nome di ‘ecomafia’,
un neologismo coniato da Legambiente per indicare le attività di associazioni
criminali dedite al traffico e allo smaltimento illegale dei rifiuti, all’abusivismo
edilizio su larga scala, ma anche alle contraffazioni in agricoltura
(agromafie) e tanto altro.
“Nel 1989 l’allora Ministro dell’ambiente (che esisteva
da appena tre anni) Giorgio Ruffolo denunciava che il 25% dei rifiuti industriali
prodotto ogni anno scompariva letteralmente nel nulla”. Si scoprì poi che quel
nulla erano gli stati in via di sviluppo dell’Africa e del Sud America. Le
mafie hanno capito prima di tutti come e dove fare business con “una felice
intuizione imprenditoriale, individuando nel campo ambientale un terreno simile
a quello della droga che produce nove miliardi e mezzo di euro di fatturato,
tre solo dalla gestione dei rifiuti”. Buchi legislativi su cui operare,
connivenze, ma anche proposte economicamente allettanti per le imprese: “in
Veneto,grazie anche agli elevati costi per lo smaltimento dei rifiuti
industriali, si assistendo a uno spostamento di tali rifiuti verso i
paesi dell’est Europa, dove le regole sono più blande”.
“Lo smaltimento illecito dei rifiuti è un problema che
non riguarda solo il sud -ha continuato il deputato- ma anche le regioni del
nord, a partire dalla Toscana e dalla Lombardia, e l’Emilia non è esclusa. Non
bisogna pensare di essere immuni o che il problema non ci riguardi”.
Una vera e propria gestione parallela che crea una in
Italia una situazione di perenne emergenza e in cui i tantissimi commissari
preposti di volta in volta alla soluzione del problema non hanno fatto altro
che aggravare tutto: “nel momento in cui l’amministrazione locale non funziona
si passa al commissariamento, ma questo non ha fatto altro che far drenare
elevate quantità di denaro aprendo portoni alle infiltrazioni mafiose”. Non
basta, perché il sistema è talmente radicato che “le grandi società di raccolta
e gestione dei rifiuti diventano luoghi in cui si crea il consenso elettorale
tramite assunzioni, appalti senza gare e altri strumenti” generando così una
forma di consenso clientelare.
L’attualità dell’ Ilva di Taranto serve infine a Bratti
per parlare dei tanti Sin (siti di interesse nazionale) sparsi per tutta l’Italia:
“57 di essi inclusi nella hot list dal
ministero valgono il 3% dell’intero territorio nazionale, e nell’unico
considerato bonificato, l’Acna di Cengio in Liguria, i cui rifiuti, trasportati
dai ‘Casalesi’ sono stati ritrovati a Giugliano, in Campania, ad avvelenare le
falde acquifere”.
Il grande problema secondo il parlamentare del Pd è l’assenza
di strumenti normativi veramente utili per contrastare le ecomafie: “la mafia
approfitta dell’assenza di un quadro normativo chiaro e coerente, nel codice
penale mancano dei veri e propri reati ambientali e bisogna codificare bene
quello di disastro ambientale”.
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