(La Nuova Ferrara) Bratti
rivendica la bonifica dell'area e critica gli scandali sui siti inquinati, da
Bagnoli alla laguna di Grado
«La bonifica della falda e dei terreni inquinati
dalle industrie chimiche va troppo a rilento, ma almeno va avanti, non si è
fermata, e il processo di risanamento ambientale prosegue con il coinvolgimento
delle società oggi presenti nel polo chimico. Se siamo in questa condizione di
vantaggio rispetto ad altri siti industriali inquinati (Sin,ndr) è perché qui a
Ferrara sono state fatte scelte diverse e non ci siamo infilati nel tunnel
senza uscita dei Sin». Alessandro Bratti - oggi deputato del Pd, ieri assessore
comunale all’Ambiente - difende la scelta fatta più di dieci anni fa dalle
forze di governo locali, dai sindacati e dalle fabbriche del petrolchimico. Il
canto delle sirene - alcune rivestite di squame ambientaliste - voleva
dirottare la bonifica verso i Sin (i Siti di interesse nazionale), Ferrara ha
resistito al suadente richiamo ed è rimasta ancorata all’idea dell’Accordo di
programma, il primo siglato nel 2001, il secondo nel 2008. «Io credo che
abbiamo fatto la cosa giusta» dice Bratti prendendo spunto dall’inchiesta della
procura di Udine sullo scandalo della Laguna di Grado e Marano, ma anche dal
lavoro svolto dalla commissione Ecomafie, di cui il parlamentare del Pd ha
fatto parte. I magistrati da un lato, i parlamentari della commissione Ecomafie
dall’altro hanno scoperto che i Sin hanno movimentato del denaro - in alcuni
casi moltissimo denaro - risanando poco o nulla. «A Bagnoli abbiamo scoperto
che una parte delle bonifiche che figuravano come realizzate non sono mai state
fatte, idem a Crotone, dove in compenso sui terreni inquinati hanno costruito
scuole e case». Presto verrà pubblicata la relazione e Bratti assicura che se
ne vedranno delle belle. Il modello Sin si è rivelato deleterio un po’ ovunque,
anche a Marghera, Priolo, Bovisa (Milano), Grado e Marano, Ilva di Taranto e
nella vicina Mantova, che presentava una situazione analoga a quella ferrarese.
«All’ombra dei Sin - spiega Bratti - è stato costruito un sistema affaristico,
che ha prodotto sperpero di risorse, uso improprio di soldi pubblici e
scarsissimi risultati in quasi tutti i 57 Sin. Si sono spesi fiumi di soldi per
finanziare progetti complicati, pagare consulenze, conferire incarichi a una
cerchia ristretta di persone e società, soldi erogati con grande facilità sulla
scia di emergenze ma che non sono serviti a bonificare». «Nel 2007-2008 -
continua- ci provò il governo Prodi a rilanciare in modo più selettivo la
bonifica dei siti industriali inquinati, mettendo 5 miliardi di euro per
intervenire sui Sin che avevano una prospettiva di ripresa produttiva. Ma nel
2009 ci fu il terremoto dell’Aquila e il governo Berlusconi dirottò i 5
miliardi per quell’emergenza». Ora, specie nel nord, molti territori vogliono
fare marcia indietro e staccarsi dal meccanismo dei Sin. L’8 marzo 2011 Bratti
ha sostenuto questo cambio di atteggiamento presentando una mozione che
proponeva di dare un ruolo più attivo alle Regioni. «Con i Sin gli aspetti
decisionali si spostano a Roma, con le conseguenze che si sono viste, invece
con gli Accordi di programma le decisioni si prendono in loco, aggiungo -
specifica Bratti - che il nostro Accordo di programma prevede che siano le
aziende private a farsi carico dei costi della bonifica» A Ferrara la partenza
è stata lenta, ci sono stati degli stop & go, ma si va avanti. «L’obiettivo
era e resta - precisa Bratti - quello di risanare e di creare le condizioni per
nuove opportunità di investimento. Una linea che trova consensi anche nel
governo, il ministro dell’ambiente Clini ha indicato come una priorità lo sviluppo
nei siti da bonificare, evidentemte la nostra impostazione non è obsoleta». Non
uno sviluppo qualsiasi invoca Bratti. «Grazie anche agli Accordi del 2001 e del
2008 il sito industriale di Ferrara è vivo e può ancora attrarre investimenti
nel campo delle innovazioni tecnologiche, dell’energia e della chimica verde:
abbiamo il know how, la storia, le competenze e la potenzialità per gestire
processi industriali come il ciclo integrato legato al recupero delle materie
plastiche. Ferrara può e deve rivendicare questo ruolo a livello regionale».
Nell’Accordo di programma una magna pars l’ebbe la vicenda della turbogas.
Bratti non è un pentito di quella scelta, ma non nasconde una certa delusione:
«Non ho mai capito perché si sia arenato l’accordo Sef-Agea che prevedeva di
sfruttare il vapore della centrale per alimentare il teleriscaldamento. Io non
rinuncio all’idea che Ferrara possa diventare una città a emissioni zero».
Svanite le iniezioni di vapore generate dalla turbogas che dovevano concorrere
insieme all’acqua calda di Casaglia a scaldare la città, Hera ha spostato
l’attenzione sul giacimento geotermico situato due o tre chilometri sotto
Pontegradella. Nella logica della “Ferrara a emissioni zero” a Bratti sta bene
il progetto, ma ha da ridire sui modi: «Questi impianti, a maggior ragione se
vicini alla città e alle abitazioni, debbono passare attraverso un confronto
preventivo e serio con i cittadini. Bene ha fatto il sindaco a chiedere la
sospensione del procedimento, prima di ogni decisione debbono essere valutati
rischi, disagi e benefici. Anche i progetti pensati dai migliori tecnici
possono essere modificati». |
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