30/08/12

Le scelte giuste per il Petrolchimico


 
(La Nuova Ferrara) Bratti rivendica la bonifica dell'area e critica gli scandali sui siti inquinati, da Bagnoli alla laguna di Grado
 
«La bonifica della falda e dei terreni inquinati dalle industrie chimiche va troppo a rilento, ma almeno va avanti, non si è fermata, e il processo di risanamento ambientale prosegue con il coinvolgimento delle società oggi presenti nel polo chimico. Se siamo in questa condizione di vantaggio rispetto ad altri siti industriali inquinati (Sin,ndr) è perché qui a Ferrara sono state fatte scelte diverse e non ci siamo infilati nel tunnel senza uscita dei Sin». Alessandro Bratti - oggi deputato del Pd, ieri assessore comunale all’Ambiente - difende la scelta fatta più di dieci anni fa dalle forze di governo locali, dai sindacati e dalle fabbriche del petrolchimico. Il canto delle sirene - alcune rivestite di squame ambientaliste - voleva dirottare la bonifica verso i Sin (i Siti di interesse nazionale), Ferrara ha resistito al suadente richiamo ed è rimasta ancorata all’idea dell’Accordo di programma, il primo siglato nel 2001, il secondo nel 2008. «Io credo che abbiamo fatto la cosa giusta» dice Bratti prendendo spunto dall’inchiesta della procura di Udine sullo scandalo della Laguna di Grado e Marano, ma anche dal lavoro svolto dalla commissione Ecomafie, di cui il parlamentare del Pd ha fatto parte. I magistrati da un lato, i parlamentari della commissione Ecomafie dall’altro hanno scoperto che i Sin hanno movimentato del denaro - in alcuni casi moltissimo denaro - risanando poco o nulla. «A Bagnoli abbiamo scoperto che una parte delle bonifiche che figuravano come realizzate non sono mai state fatte, idem a Crotone, dove in compenso sui terreni inquinati hanno costruito scuole e case». Presto verrà pubblicata la relazione e Bratti assicura che se ne vedranno delle belle. Il modello Sin si è rivelato deleterio un po’ ovunque, anche a Marghera, Priolo, Bovisa (Milano), Grado e Marano, Ilva di Taranto e nella vicina Mantova, che presentava una situazione analoga a quella ferrarese. «All’ombra dei Sin - spiega Bratti - è stato costruito un sistema affaristico, che ha prodotto sperpero di risorse, uso improprio di soldi pubblici e scarsissimi risultati in quasi tutti i 57 Sin. Si sono spesi fiumi di soldi per finanziare progetti complicati, pagare consulenze, conferire incarichi a una cerchia ristretta di persone e società, soldi erogati con grande facilità sulla scia di emergenze ma che non sono serviti a bonificare». «Nel 2007-2008 - continua- ci provò il governo Prodi a rilanciare in modo più selettivo la bonifica dei siti industriali inquinati, mettendo 5 miliardi di euro per intervenire sui Sin che avevano una prospettiva di ripresa produttiva. Ma nel 2009 ci fu il terremoto dell’Aquila e il governo Berlusconi dirottò i 5 miliardi per quell’emergenza». Ora, specie nel nord, molti territori vogliono fare marcia indietro e staccarsi dal meccanismo dei Sin. L’8 marzo 2011 Bratti ha sostenuto questo cambio di atteggiamento presentando una mozione che proponeva di dare un ruolo più attivo alle Regioni. «Con i Sin gli aspetti decisionali si spostano a Roma, con le conseguenze che si sono viste, invece con gli Accordi di programma le decisioni si prendono in loco, aggiungo - specifica Bratti - che il nostro Accordo di programma prevede che siano le aziende private a farsi carico dei costi della bonifica» A Ferrara la partenza è stata lenta, ci sono stati degli stop & go, ma si va avanti. «L’obiettivo era e resta - precisa Bratti - quello di risanare e di creare le condizioni per nuove opportunità di investimento. Una linea che trova consensi anche nel governo, il ministro dell’ambiente Clini ha indicato come una priorità lo sviluppo nei siti da bonificare, evidentemte la nostra impostazione non è obsoleta». Non uno sviluppo qualsiasi invoca Bratti. «Grazie anche agli Accordi del 2001 e del 2008 il sito industriale di Ferrara è vivo e può ancora attrarre investimenti nel campo delle innovazioni tecnologiche, dell’energia e della chimica verde: abbiamo il know how, la storia, le competenze e la potenzialità per gestire processi industriali come il ciclo integrato legato al recupero delle materie plastiche. Ferrara può e deve rivendicare questo ruolo a livello regionale». Nell’Accordo di programma una magna pars l’ebbe la vicenda della turbogas. Bratti non è un pentito di quella scelta, ma non nasconde una certa delusione: «Non ho mai capito perché si sia arenato l’accordo Sef-Agea che prevedeva di sfruttare il vapore della centrale per alimentare il teleriscaldamento. Io non rinuncio all’idea che Ferrara possa diventare una città a emissioni zero». Svanite le iniezioni di vapore generate dalla turbogas che dovevano concorrere insieme all’acqua calda di Casaglia a scaldare la città, Hera ha spostato l’attenzione sul giacimento geotermico situato due o tre chilometri sotto Pontegradella. Nella logica della “Ferrara a emissioni zero” a Bratti sta bene il progetto, ma ha da ridire sui modi: «Questi impianti, a maggior ragione se vicini alla città e alle abitazioni, debbono passare attraverso un confronto preventivo e serio con i cittadini. Bene ha fatto il sindaco a chiedere la sospensione del procedimento, prima di ogni decisione debbono essere valutati rischi, disagi e benefici. Anche i progetti pensati dai migliori tecnici possono essere modificati».
 

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