(da TERRA news)
IL CASO. Nel 2007 il governo Prodi stanziò 3,3 miliardi di euro per la riqualificazione di 57 Siti contaminati. Ma con l’arrivo di Tremonti, il fondo è stato cancellato e il denaro dirottato altrove.
I soldi per le bonifiche non ci sono più. Nel 2007 il ministero per lo sviluppo economico stanziò 3 miliardi e 300 milioni di euro per la riqualificazione di 57 siti, ex discariche o ex aree industriali diventate bombe ecologiche. Tra il 2008 e il 2009, quel fondo è stato prosciugato. Il governo ha infatti dirottato il denaro verso altre emergenza: Alitalia, Ici, terremoto in Abruzzo, cassa integrazione. E per le bonifiche non è rimasto più nemmeno un euro. Nessuna di quelle 57 micro Chernobyl è stata risanata. Secondo l’ultimo censimento che risale al 2006, i siti contaminati in Italia sono in tutto circa 3400 e 15 mila sono quelli a rischio di imminente contaminazione.
Nella categoria dei 57 Siti di interesse nazionale rientrano invece aree molto estese, dove la presenza dei veleni è enormemente superiore alla soglia di rischio e quindi i pericoli sanitari ed ecologici sono elevatissimi. Tra i Siti di interesse nazionale ci sono le più importanti zone industriali del paese, tra cui: i petrolchimici di Porto Marghera, Brindisi, Taranto, Priolo, Gela, le aree urbane ed industriali di Napoli Orientale, Trieste, Piombino, La Spezia, Brescia, Mantova. Tutte insieme, rappresentano il 3 per cento del territorio nazionale.
Nel 2006, però, sembra essere vicini a una svolta. Viene infatti approvato il piano nazionale di bonifica. Bersani, che era allora ministro per o Sviluppo economico, decide di far rientrare la riqualificazione dei siti nel programma dei fondi Fas 2007-2013. 2 miliardi vengono assegnati direttamente tramite i finanziamenti destinati alle aree sottosviluppate e 1 miliardo e 300 milioni di euro arriva invece dai fondi strutturali gestiti insieme alle Regioni.
Tutto si blocca con l’arrivo del governo Berlusconi e la decisione del ministro Tremonti di utilizzare i fondi Fas come bancomat per tutte le spese correnti. Il tesoretto di 64,2 miliardi, racchiuso nel piano 2007 e il 2013 e che comprendeva anche i 2 miliardi per le bonifiche, viene ridotto di 11 miliardi e la metà di quello che resta (quindi in tutto 25,9 miliardi di euro) viene redistribuito tra tre nuovi fondi di invenzione tremontiana: il Fondo infrastrutture, che fa capo dal Ministero dei Trasporti, il Fondo ammortizzatori, di competenza del Ministero del lavoro, e il Fondo economia reale, gestito direttamente dalla Presidenza del consiglio. Nel calderone della spartizione finiscono anche i soldi che erano stati destinati alle discariche. Scomparsi i 2 miliardi di finanziamento Fas, anche la parte restante di fondi strutturali è venuta meno.
In questo modo si determina uno stallo, che dura fino ad oggi. «In nessun sito di interesse nazionale si è arrivati alla certificazione di avvenuta bonifica e quindi al risanamento definitivo della aree e alla conseguente possibilità di riutilizzo delle stesse», è l’allarme che ha lanciato lo scorso anno persino uno studio di Confindustria. La colpa è innanzitutto del ministero dell’Ambiente che non ci ha messo i soldi, ma anche le industrie hanno la loro grossa fetta di responsabilità. In questi anni, le hanno provate tutte pur di non doversi accollare una parte dei costi del risanamento delle aree, che avevano contaminato. Qualcuna sta persino provando a far saltare gli accordi transattivi proposti dal ministero, che ridurrebbero notevomente l’esborso.
Il problema sta però anche nel sistema stesso dei siti di interessi nazionali. Un decreto del 2006 ne impone la bonifica per legge. Ma prima di arrivare alla riqualificazione il percorso è molto lungo. Prima va sottoscritto un accordo di programma. Vale a dire un protocollo che deve riuscire a mettere d’accordo il Ministero, gli enti locali e svariati enti pubblici sul costo complessivo, sulle modalità, e sulla parte di spesa che deve affrontare ogni soggetto interessato. Un groviglio di responsabilità amministrative (e spesso di scaricabarile) a cui bisogna aggiungere anche i privati, che devono sottoscrivere gli accordi transattivi. Il Pd ha presentato in Parlamento una mozione per chiedere l’avvio di un percorso certo per le bonifiche e una modifica delle procedure. «Oggi sono troppo farraginose», spiega Alessandro Bratti, primo firmatario dell’ordine del giorno, «la gestione andrebbe decentrata a livello locale. La riqualificazione dei Siti di interesse regionale sta andando molto meglio rispetto a quella dei siti nazionali».
Bloccare le bonifiche significa anche mettere in stand by lo sviluppo economico di intere città. È il caso di Crotone, dove l’ex area industriale è a ridosso del centro cittadino. Non solo rimangono i altissimi rischi per la salute, ma finché l’area non sarà riqualificata qualsiasi investimento è fino a quel momento sospeso.
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