I dati di questi giorni dell’andamento dell’inflazione e del prodotto interno lordo ci indicano che anche l’Italia, così come tutta l’Europa, è entrata in una delle crisi dell’economia reale senza dubbio più dura del dopoguerra. Pur nella consapevolezza che questa non sia l’unica strada per uscire da questa grave situazione, è soprattutto operando nel campo dell’efficienza energetica, delle energie rinnovabili e adottando politiche di consumo sostenibile si può davvero rompere l’attuale paradigma tecnologico permettendo la nascita e lo sviluppo di un tessuto industriale in grado di sostenere e accelerare la diffusione delle tecnologie ambientali ed energetiche attraverso anche un quadro di regole stabili ed incentivi alla domanda come presupposto per il finanziamento del sistema e ulteriore stimolo all’introduzione di nuovi prodotti e processi.
Il protocollo di Kyoto, l’accordo siglato a livello europeo su clima ed energia, la prossima presidenza del G8 in Italia e il prossimo appuntamento mondiale di Copenaghen impegnano il nostro paese ad andare in una direzione nuova, a considerare la crisi non solo come pericolo ma come una grande opportunità per fare sviluppo e nel contempo rallentare il consumo delle limitate risorse naturali
Gli obiettivi del protocollo di Kyoto, diminuzione del 6,5% su base 1990, che sembravano molto ambiziosi per il 2012 oggi sembrano alla portata. Settori importanti come l’industria delle auto e il comparto dell’edilizia possono ricevere un nuovo impulso se saremo capaci di attivare politiche che favoriscano l’innovazione in questi settori strategici.
Le politiche pubbliche attraverso gli acquisti verdi possono indirizzare positivamente il mercato privato verso imprese che producano beni e servizi meno impattanti per l’ambiente. Ogni anno le amministrazioni pubbliche europee spendono l’equivalente del 16% del prodotto interno lordo europeo per l’acquisto di beni, quali attrezzature da ufficio, materiali da costruzione e veicoli da trasporto, o servizi, quali manutenzione degli edifici, servizi di trasporto, servizi di pulizia e ristorazione, e opere.
Alcuni stati membri all’avanguardia nel settore, come Austria, Francia, Olanda e Inghilterra, hanno fissato obiettivi ambiziosi. L’Italia ha fatto poco: ad oggi nonostante l’approvazione del Piano nazionale alcuna azione è stata intrapresa per dare concretezza a tale programma Se la sfida dev’essere la riconversione dell’economia credo si debba iniziare dal motore economico del paese, non per una questione geografica ma perché nelle regioni che insistono sulla Pianura padana ci sono 16 milioni di abitanti, il 55% del patrimonio zootecnico, il 37% dell’industria nazionale, il 47% dei posti di lavoro del Paese, il 48% del consumo energetico, il 35% di produzione agricola. Ma anche una produzione del 40% circa di Co2 equivalente, una qualità dell’aria tra le più scadenti in Europa e falde e corsi di acqua con livelli di inquinamento molto elevati. La sfida va affrontata attraverso un accordo fra istituzioni, imprese, associazioni e cittadini di tutto il bacino padano.
C’è la necessità di varare un grande progetto nazionale ed europeo. Con il governo Prodi avevamo iniziato la costruzione di questo percorso partendo proprio dall’importanza del fiume Po.
I provvedimenti dell’attuale governo vanno in una direzione diversa.
Il più significativo è la proposta del ritorno al nucleare: se questa tecnologia mai si realizzerà darà eventuali benefici economici forse fra 10 anni non domani. La proposta in discussione al senato non è credibile né in termini economici né dal punto di vista delle garanzie di sicurezza. Inoltre è assodato così come riportato da una recente comunicazione della commissione europea che nei prossimi vent’anni in Europa in termini di percentuale di produzione energetica, anche con le eventuali centrali italiane il nucleare rimarrà costante, anzi avrà un piccolo declino e quindi non è una tecnologia in crescita.
Che dire poi dell’abolizione del 55% di detrazione fiscali per l’efficienza energetica poi reintrodotta a condizioni di minor favore per imprese e cittadini. Dell’eliminazione della certificazione energetica nella compravendita degli immobili contravvenendo alla normativa europea e con la commissione che ha già chiesto chiarimenti in merito; della norma che differisce al 1° gennaio 2010 la scadenza del 1° gennaio 2009 che prevede per gli edifici di nuova costruzione l’installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Aggiungiamo poi il secondo decreto Campania, dove sono stati reintrodotti gli incentivi CIP 6 per alcuni impianti di incenerimento tra cui quelli siciliani che vengono ovviamente calcolati sull’energia da rifiuto tal quale. Si tenga presente che in questo paese due terzi di questi contributi sono stati assegnati alle fonti assimilate e non alle rinnovabili.
E ancora la proposta del Commissariamento di Enea che da ente di ricerca per energia e ambiente diventa un’agenzia tecnica e Apat che era un’agenzia tecnica per l’ambiente e che viene teoricamente trasformata in istituto superiore di ricerca non sapendo ancora in che modo e in che tempi.
Ma anche il pasticcio della riconversione a carbone di Porto Tolle, una delle centrali più grandi del paese: qui per poter dare prova di efficienza si cerca di dare un’autorizzazione in sede di consiglio dei ministri senza il parere espresso dalla commissione di Via e senza il parere della regione Veneto e della sopraintendenza alle belle arti. Va ricordato inoltre il taglio pesante per i finanziamenti riguardo alla difesa idrogeologica del suolo e agli stanziamenti alle regioni per gli interventi di protezione civile. E per finire il provvedimento al senato che ridà la delega al ministro dell’ambiente, in sfregio alla richiesta di provvedere attraverso un percorso parlamentare, per la rivisitazione del Codice ambientale ormai ridotto a “carta straccia” dalle innumerevoli deroghe e mancanza di decreti attuativi.
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