L’
ambiente è stato spesso negli ultimi anni al centro di vivaci polemiche
e controversie politiche a livello nazionale e comunitario e sempre più
anche nelle realtà regionali e locali. Se in talune stagioni i
contrasti hanno riguardato principalmente il merito delle questioni,
sempre di più però essi hanno investito il ruolo controverso delle
istituzioni.
L’approdo lo si registra oggi con il fallimento del titolo
V. Negli ultimissimi anni d’altronde è stato difficile persino inserire
l’ambiente nell’agenda politica. Il governo Monti è stato sotto questo
profilo esemplare, tanto più che ereditava dal governo precedente una
gestione rovinosa come quella della Prestigiacomo, che avrebbe
richiesto urgenti rimedi su tutto l’arco dei problemi, dal suolo al
paesaggio ai parchi ai cambiamenti climatici. Esemplare perché, pur
disponendo di un ministro sensibile e competente, lasciò l’agenda del
tutto in bianco.
Ma non fecero molto di più e meglio, come
sappiamo, neppure quelle forze politiche che un cambiamento lo volevano
anche per l’ambiente, perché non se ne ricordarono quasi mai. Tanto è
vero che a giudizio di molti vanno ricercate qui, come in talune
sconcertanti posizioni e proposte parlamentari, non poche ragioni dei
deludenti risultati elettorali.
Il tutto paradossalmente è finito
per scaricarsi sulle spalle non solo della ‘politica’ sorda al richiamo
e al valore dei beni comuni, ma soprattutto su quelle delle istituzioni
decentrate, regioni comprese, che avrebbero torna il titolo V
impedito allo stato di esercitare efficacemente le sue competenze. Da
qui anche il centralismo che ‘torna vincitor’ sbaraccando le province,
mettendo la museruola ai piccoli comuni, ridimensionando il ruolo e le
competenze regionali a partire da quelle ‘concorrenti’, inventandosi non
meglio definite ‘aree vaste’, uno spropositato numero di Città
Metropolitane che fanno impallidire quello delle ‘nuove province’, che
fecero tanto scandalo da giustificare la loro abrogazione.
Eppure
le politiche ambientali, tranne quelle urbanistiche che non hanno mai
visto tagliare il traguardo ad una nuova legge nazionale, a partire dal
fallimento della legge Sullo, hanno usufruito e hanno potuto avvalersi
di importanti e innovative leggi che hanno riguardato via via il mare,
il suolo, i fiumi, i parchi e le aree protette, paesaggio compreso. Le
coste, le spiagge, gli argini, la natura più pregiata e con essa il
paesaggio non soltanto agricolo, collinare e montano, sono stati
ricondotti per la prima volta con le acque e i terreni inquinati a norme
e strumenti di gestione pianificati, integrati: insomma a politiche di
programmazione. A politiche cioè tra le più ostiche per chi considerava
e considera tuttora il territorio a disposizione per i propri comodi
speculativi.
Fu presto chiaro che non si sarebbe trattato di una
gestione facile, tanto che di fronte alla crisi galoppante Ciampi ne
tentò un suo rilancio con la ‘Nuova programmazione’, che purtroppo non
fini meglio della prima.
La crisi della spesa pubblica in cui
siamo precipitati per molti versi ha consentito e comunque indotto molti
a cavalcarla pretestuosamente riconducendo ai bilanci tutte le colpe
delle più scandalose inadempienze, a partire dal suolo.
Quando
poi, come è accaduto anche recentemente, si ‘scopre’ che, nonostante
questi pesanti tagli, in diversi casi non si è riusciti a utilizzare le
risorse pur modeste disponibili, perché non si è stati capaci (e spesso
neppure ci si è provati) a mettere mano ai relativi progetti di
intervento, non c’è scusa che tenga. Vale per i bacini idrografici di
cui in molti casi da anni si sono perse persino le tracce dei confini,
ma anche per i parchi soprattutto nazionali che nella maggior parte dei
casi non hanno dovuto fare solo i conti con i tagli ma anche con i
commissariamenti, vincoli burocratici senza senso che a tutto hanno
saputo e potuto puntare, tranne che a quel piano che, come per le
autorità di bacino, è la condizione fondamentale di una gestione degna
di questo nome.
Naturalmente questo ‘fallimento’ non è
riconducibile unicamente alla stato e ai governi nazionali perché le
regioni e gli enti locali vi hanno concorso non poco sia pure in misura e
con responsabilità assai diversificate.
Ed è noto come da più
parti si sta sostenendo che il nuovo Titolo V dovrebbe riuscire a
liberare il governo del paese dalle sovrapposizioni di competenze e
responsabilità tra i diversi livelli istituzionali che hanno prodotto
intoppi, allungamento spropositato dei tempi amministrativi e una
moltiplicazione impressionante delle controversie costituzionali sempre
più paralizzanti, che hanno ridicolizzato e vanificato il principio
costituzionale della ‘leale collaborazione’, come ha recentemente
affermato il presidente della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri.
Le
premesse al momento sono però tutt’altro che chiare e rassicuranti,
perché per più materie da meglio definire, come ha detto il presidente
Silvestri, più forti sono le pressioni perché la titolarità torni o
torni più nettamente allo stato. Le regioni sarebbero sempre meno
affidabili anche sotto il profilo etico, quasi che lo stato potesse dare
esempi migliori e più edificanti. Lo stesso e indispensabile
superamento del bicameralismo perfetto si sta caricando di ipotesi ben
poco convincenti rispetto a quella Camera delle autonomie che finalmente
come in altri paesi europei dovrebbe collocare regioni e autonomie
locali su un piano di pari dignità con lo stato, come stabilisce la
Costituzione.
Non si fatica a capire quanto questa complessa
partita riguardi in particolare l’ambiente e le sue politiche, che
proprio in questo irrisolto passaggio hanno pagato un pesante scotto.
Senza riandare tanto indietro abbiamo forse dimenticato che ci sono
ancora leggi in discussione che prevedono di sfrattare le regioni da
qualsiasi competenza sulle aree protette marine (ma neppure sulle altre
si largheggia) o di consentire interventi all’interno dei parchi di
fatto incompatibili ma autorizzabili se si paga dazio? Qualcuno ricorda
nelle infuocate polemiche sul paesaggio e i suoi disastri che i parchi
non devono più occuparsene nei loro piani, dopo che la Convenzione
Europea ha stabilito che tutto il territorio va considerato paesaggio e
perciò tutelato? Eppure questa norma sta scritta nel nuovo Codice dei
beni culturali, che si disse avrebbe rimesso le cose sulla retta via.
Risulta a qualcuno?
Su questo scoraggiante scenario si era
finalmente registrata qualche significativa e importante novità
introdotta dal ministro Orlando, che aveva per così dire riaperto i
giochi e la partita. Sui parchi ma anche in altri ambiti e sempre più in
connessione con le scelte e decisioni europee. E lo aveva fatto
ricercando e stimolando contributi culturali e politico-istituzionali
che avevano ed hanno riaperto canali e percorsi di cui avevamo perso la
memoria.
Il passaggio del testimone del ministero con il nuovo
governo, come sappiamo, ha suscitato non poche preoccupazioni, di cui
c’è da augurarsi solo che lo spostamento del ministro non significhi
l’ennesima chiusura e rinvio dei lavori avviati.
Un punto in ogni
caso va comunque chiarito, una volta per tutte. E cioè che il rilancio
delle politiche ambientali che oggi urge e che abbraccia, come abbiamo
visto, un complesso insieme di nodi, sia riducibile al mantra della
green-economy.
Quanto possa far bene all’ambiente lo sanno anche i bambini.
Quello
che dobbiamo saper noi è che con qualsiasi tipo di economia serve in
premessa una politica ambientale nazionale e oggi anche europea e
internazionale che incida sulle scelte economiche innanzitutto prima e
non dopo, come il 118 e la protezione civile, e che consenta alla
società modi di vivere che non dipendono solo da scelte economiche, sia
pure sostenibili. Se avremo parchi accoglienti, boschi sani e fruibili,
spiagge non cementificate e mari non inquinati con biodiversità non a
rischio, musei che funzionano e molto altro ancora non dipenderà e non
potrà dipendere solo dall’economia ancorché sostenibile e non rovinosa e
speculativa.
Da qui dobbiamo ripartire riprendendo e rafforzando gli impegni su cui aveva iniziato a lavorare il ministro Orlando
Renzo Moschini - Gruppo San Rossore
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