Per contrastare la criminalità ambientale, la Direzione nazionale
antimafia fa il punto sulle modifiche e sugli interventi da apportare
alla normativa lungo il solco già tracciato negli anni scorsi. Anche il
termine ecomafia appare, ormai, desueto: “Si impone una profonda
riflessione sull'eco-crimine".
Bisogna introdurre il
delitto di disastro ambientale nella legislazione penale configurandolo
in modo chiaro (allo stato viene contestato l’articolo 434 che punisce
genericamente il disastro, ndr), inserire i delitti ambientali nel
codice e rimediare ad alcune incongruenze nei processi per traffico
illecito a partire dall’uso delle intercettazioni fino ai termini di
durata della custodia cautelare.
Per contrastare la criminalità
ambientale, la Direzione nazionale antimafia fa il punto sulle modifiche
e sugli interventi da apportare alla normativa lungo il solco già
tracciato negli anni scorsi. La relazione ‘Ecomafie’, curata dal
magistrato Roberto Pennisi, critica le norme spot: “E non si commetta
l’errore di promulgare leggi speciali più dure relativamente a
determinati territori, aventi di fatto solo finalità propagandistiche”.
Neanche un’urgenza fissata dalla Dna è stata approvata dal Parlamento.
Un Parlamento dove ancora non si è costituita la Bicamerale di inchiesta
sul ciclo dei rifiuti. La relazione della direzione nazionale antimafia
sfugge alle consuete narrazioni sul tema, e insiste sugli interventi
necessari come anche l’introduzione dell’aggravante ambientale per tutti
i reati.
Anche il termine ecomafia appare, ormai, desueto: “Si impone una profonda riflessione sull’eco-crimine, che è sempre meno ecomafia, sia per quanto riguarda le strategie di contrasto da parte degli apparati investigativi, che per ciò che attiene agli strumenti legislativi per contrastarlo”. Il termine eco-crimine inquadra meglio il fenomeno, il traffico illecito di rifiuti è sempre più un delitto di impresa dove le organizzazioni criminali hanno un ruolo sempre più marginale. Una conferma arriva dai dati (luglio 2012-giugno 2013). Sono 123 le iscrizioni per ‘attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti’ distribuite in maniera uniforme sul territorio nazionale. E le mafie? Solo in quattro iscrizioni viene contestata l’aggravante di aver favorito un clan. Non sfugge alla relazione, l’attenzione mediatica sulla Campania dove “lo sconvolgimento ambientale” è stato causato anche dal ruolo svolto dalla camorra, ma “ciò riguarda si legge condotte poste in essere soprattutto nel ventennio relativo agli anni ’80 e ’90”. E anche a questo riguarda bisogna rilevare che secondo la direzione distrettuale antimafia di Napoli l’inventore dell’ecomafia in Campania è stato comunque un imprenditore avvocato, Cipriano Chianese, ora sotto processo per disastro ambientale e collusione con i clan.
La Dna, in linea generale, evidenzia: “Quando in passato si sono viste operare le consorterie di tipo mafioso, tanto è avvenuto perché tale decisione, nell’ambito del ciclo illegale dei rifiuti, è stata presa da parte degli operatori del settore, cioè quella sorta di élite economico-finanziaria cui detti traffici fanno capo”. L’articolazione del fenomeno dei crimini ambientali si snoda lungo tre direttrici. Da una parte si svincola dal collegamento con le mafie, camorra in primis, anche perché la rotta dei traffici porta all’esterno dei confini nazionali, dall’altra si inserisce in centrali affaristico-imprenditorial-criminali. In ultimo si evidenzia lo sviluppo di interessi nel settore delle energie alternative da definirsi come ‘criminal soft economy’.
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