E’ stata depositata in data 19 novembre 2013 la prima sentenza
resa dalla Cassazione Penale (Sez. III, n. 46227) sui materiali da scavo
dopo le novità apportate dal D.L. Fare (D.L. 69/13).
La
S.C. ha statuito che i materiali bituminosi provenienti da escavazione o
demolizione stradale non possono essere ricondotti all’interno della
categoria delle rocce e terre da scavo, la cui legittimità di
trattamento e reimpiego è subordinata a condizioni di fatto e a garanzia
previste dagli artt. 41 e 41-bis del D.L. 69/2013, conv. nella L.
98/13.
In materia di asfalto, quando si rende
necessario rimuovere porzioni del manto stradale (ad esempio perché
usurati e pericolosi), macchine fresatrici o escavatori demoliscono
progressivamente la pavimentazione, frantumando il materiale che la
compone: questo materiale è detto fresato d’ asfalto o conglomerato
bituminoso di recupero. La norma tecnica UNI-EN 13108-8 definisce il
fresato d’ asfalto quale “conglomerato bituminoso recuperato mediante
fresatura degli strati del rivestimento stradale che può essere
utilizzato come materiale costituente per miscele bituminose prodotte in
impianto a caldo”.
In passato, la Corte di Cassazione
si era già espressa sul rapporto asfalto e materiali da scavo,
stabilendo che la disciplina sulle terre e rocce da scavo non è
applicabile in via analogica ai residui di asfalto ed ai conglomerati
bituminosi (così Cass. Pen. Sez. III, 15 maggio 2007, n. 23778; conf.
Cass. Pen. Sez. III, 19 giugno 2007, n. 23787).
Ciò
premesso, si rammenta che il D.L. n. 69 del 21 giugno 2013 recante
“Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, poi convertito
nella L. 9 agosto 2013, n. 98[1], in vigore dal 22 giugno 2013, si
segnala, in particolare, per la portata delle previsioni dell’art. 41,
recante disposizioni in materia ambientale. Questa norma, al c. 2,
introduce nell’art. 184-bis del D.L.vo 152/06 (sottoprodotto) il nuovo
c. 2-bis, il quale stabilisce che il D.M. 161/2012 “si applica solo alle
terre e rocce da scavo che provengono da attività o opere soggette a
valutazione d’impatto ambientale o ad autorizzazione integrata
ambientale”.
È di tutta evidenza che l’art. 41, c. 2,
mediante l’introduzione del nuovo c. 2-bis all’interno dell’art. 184-bis
del D.L.vo 152/06, ha sollevato non poche criticità nell’attuale
gestione dei materiali da scavo. Inoltre, l’art. 41 bis del D.L. Fare,
al c. 5 così dispone: “Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 [ovvero
quelle sui materiali da scavo da piccoli cantieri] si applicano anche ai
materiali da scavo derivanti da attività e opere non rientranti nel
campo di applicazione del comma 2-bis dell’articolo 184-bis[2] del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, introdotto dal comma 2
dell’articolo 41 del presente decreto”.
Inoltre, l’art.
41 bis del D.L. 69/13 (D.L. Fare) prevede che in tema di materiali da
scavo da piccoli cantieri, in deroga a quanto previsto dal regolamento
di cui al D.M. 161/12, i suddetti materiali da scavo, prodotti nel corso
di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti, sono
sottoposti al regime di cui all’articolo 184-bis se il produttore
dimostra:
a) che è certa la destinazione all’utilizzo direttamente presso uno o più siti o cicli produttivi determinati;
b)
che, in caso di destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti,
riempimenti ambientali o altri utilizzi sul suolo, non sono superati i
valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne
A e B della tabella 1 dell’allegato 5 alla parte IV del decreto
legislativo n. 152 del 2006, con riferimento alle caratteristiche delle
matrici ambientali e alla destinazione d’uso urbanistica del sito di
destinazione e i materiali non costituiscono fonte di contaminazione
diretta o indiretta per le acque sotterranee, fatti salvi i valori di
fondo naturale;
c) che, in caso di destinazione ad
un successivo ciclo di produzione, l’utilizzo non determina rischi per
la salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni
rispetto al normale utilizzo delle materie prime;
d) che ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre i
materiali da scavo ad alcun preventivo trattamento, fatte salve le
normali pratiche industriali e di cantiere.
In
conclusione, e tornando al caso di specie, la S.C. aggiunge alla
motivazione del Tribunale di primo grado che i materiali bituminosi
provenienti da escavazione o demolizione stradale non possono essere
ricondotti all’interno della categoria delle rocce e terre da scavo;
queste ultime, infatti, sono costituite da materiali naturali, mentre i
materiali bituminosi provengono da lavorazione del petrolio e presentano
un evidente potere di contaminazione, cui segue l’attribuzione di
codice CER 17.04.01 o 02, con conseguente classificazione come rifiuto
diverso dalle terre e rocce.
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