Dal trattamento di alcune tipologie di rifiuti si realizza il Css, utilizzato in cementifici e impianti termoelettrici
Sedie, bottiglie, tessuti, tappetini per le auto e anche combustibile. Dal riciclo della plastica si possono ottenere tutti questi prodotti. E grazie allo sviluppo della tecnologia se ne possono recuperare quantità sempre maggiori, evitando che finisca in discarica o negli inceneritori.
Per molti anni l’idea dell’utilizzo di residui e rifiuti come
combustibili è stato oggetto di dibattito a livello normativo e
istituzionale. Oggi, secondo quanto stabilito da diversi decreti
ministeriali, di cui i due più recenti del 2013 sono il n.22 del 14
febbraio e il n.77 del 20 marzo, dal trattamento di alcune tipologie di rifiuti si può produrre il combustibile solido secondario (Css).
CSS - A Montello, in provincia di Bergamo, sono già all’opera. «Ogni anno qui arrivano 120 mila tonnellate di plastica», dice Roberto Sancinelli, presidente della Montello Spa. «Il 75% lo trasformiamo in materia prima-seconda, che viene poi riutilizzata per fare nuovi manufatti,
il 25% diventa Css». Questo prodotto può essere utilizzato negli
impianti termoelettrici o nei cementifici in parziale sostituzione di
combustibili come il carbone fossile o il pet coke derivato dal
petrolio. «L’utilizzo del Css è circoscritto a impianti con tecnologie
di depurazione e combustione dei fumi in possesso di autorizzazione
integrata ambientale (Aia) e di alcune certificazioni che attestano il
soddisfacimento di requisiti di eccellenza ambientale», spiega Elena
Collina, ricercatrice di chimica dell’ambiente al dipartimento di
scienze dell’ambiente e del territorio e di scienze della Terra
all’Università degli studi di Milano–Bicocca. «Il Css deve soddisfare
gli stessi parametri ambientali degli inceneritori di rifiuti urbani. E
in Italia i limiti sono ben più restrittivi rispetto ad altri Paesi
europei. Siamo al solito paradosso, per cui esportiamo derivati dai
rifiuti salvo poi importarli in un secondo momento sotto forma di
energia», sottolinea Giancarlo Longhi, presidente di Coripet, il
consorzio per il riciclo delle bottiglie in Pet.
Opportunità – «Il Css di prima qualità certificato e controllato, senza metalli pesanti e cloro, ha le stesse caratteristiche del pellet, è un combustibile rinnovabile e costa un decimo rispetto a quelli derivati dal petrolio», afferma Camillo Piazza, presidente di Ecocarbon, il consorzio dei produttori, trasformatori e utilizzatori di Css. In Italia se ne potrebbero già produrre 4 milioni di tonnellate all’anno solo con gli impianti autorizzati dei soci del consorzio ma, sebbene molti siano già attrezzati con lettori ottici e nastri separatori per la raffinazione finale, non c’è ancora mercato. È una questione di convenienza economica. «Nel 2007 riuscivamo a riciclare anche l’80-85% della plastica che ci arrivava perché ne usavamo una parte per fare prodotti per l’edilizia», conferma Sancinelli. «Ma con la crisi del settore non c’è più stata richiesta e quindi la percentuale di Css che produciamo è aumentata». L’obiettivo finale dei produttori è quello di utilizzare sempre di più questo speciale combustibile, estendendone l’utilizzo anche agli impianti di piccola e media taglia dedicati all’autoconsumo. «L’effetto positivo sarebbe quello di ridurre il costo dell’energia in Italia e quello della tassa rifiuti che, a regime, si abbasserà di oltre il 30%» conclude Piazza.
Preoccupazioni – Non sono così entusiasti gli ambientalisti. Come ogni processo di combustione anche bruciare Css emette CO2 e inquinanti che contribuiscono all’effetto serra. «La nostra preoccupazione è che in questo modo non si incentivi la riduzione dei rifiuti, ma che si alimenti un sistema che ne spinga la combustione», dice Stefano Ciafani, vice presidente di Legambiente. «Il Css può essere una soluzione temporanea, che dovrebbe durare al massimo due anni, per dare la possibilità ai Comuni di aumentare la quota di plastica avviata al riciclo. Quello che dobbiamo fare è utilizzare la tecnologia per recuperare anche le plastiche miste ed eterogenee che, al momento non vengono trattate, e poi fare quello che chiede l’Europa: ridurre a monte la produzione di rifiuti, e solo alla fine valorizzare».
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