Sono centinaia le zone d’Italia in cui si trovano, sul suolo, nel
sottosuolo e nelle acque, sostanze tossiche e pericolose per la salute e
per la vita animale
Alle armi, cittadini a rischioCaffaro
era nome quasi sconosciuto alla maggior parte degli Italiani fino al
marzo scorso quando il servizio Presadiretta di Rai 3 ha “raccontato” la
storia di una fabbrica che, nel corso di cento anni, nell’immediata
periferia di Brescia, circondata da vasti quartieri residenziali, scuole
e campi sportivi, ha fabbricato prodotti chimici industriali tossici,
con processi inquinanti, rilasciando nell’aria, nelle acque e nel
sottosuolo gli scarti dannosi delle sue lavorazioni.
Fra questi
rifiuti particolarmente nocivi e pericolosi per la salute sono i PCB,
policlorobifenili, sostanze oleose non infiammabili, “perfette” come
isolanti per trasformatori elettrici di grande potenza e presenti in
molti altri prodotti commerciali. Per decenni questi rifiuti tossici
sono finiti nelle acque e nel suolo; sono stati trovati, in
concentrazioni superiori ai limiti massimi ammessi dalle norme
sanitarie, nel latte delle mucche allevate nei campi vicini, nel suolo
della scuola e del campo sportivo, e nel sangue di moltissimi cittadini
di Brescia.
Quel programma televisivo ha aperto gli occhi di
milioni di persone sui tanti “siti contaminati” esistenti in Italia:
depositi delle scorie di molte fabbriche abbandonate, discariche di
rifiuti industriali e urbani, zone che non possono essere occupate senza
pericolo per la salute, terreni i cui veleni scorrono lentamente nel
sottosuolo e si disperdono nei pozzi o finiscono nei fiumi e poi nel
mare, che avvelenano vegetali, animali e alla fine gli stessi esseri
umani. Soltanto da pochi anni, per legge, i siti contaminati devono
essere sottoposti a operazioni di bonifica consistenti nella pulizia del
suolo e nella depurazione delle acque per eliminare le principali
sostanze inquinanti tossiche.
Oggi sono stati identificati 39 “siti di interesse nazionale” (SIN), la cui contaminazione è particolarmente grave ed estesa, poi altri 18 la cui bonifica è di competenza regionale, ma ne esistono molti altri che devono essere bonificati dagli enti locali. La bonifica presuppone delle costose e complicate indagini per riconoscere, zona per zona, quali inquinanti sono presenti, in quale concentrazione, a quale profondità nel suolo e nelle acque si sono diffusi nel corso spesso di decenni. La risposta può venire dal lavoro di chimici, biologi, ingegneri e storici dell’industria e dell’ambiente. Storici, anche, perché occorre ricostruire che cosa le fabbriche che si trovavano nel sito contaminato producevano, quali materie prime sono state usate, con quali cicli produttivi, quali sottoprodotti si formavano, quali residui sono stati lasciati nel sottosuolo o nelle zone circostanti. E anche quali sono stati i vari proprietari a cui dovrebbero essere fatti pagare i costi delle bonifiche.
Le bonifiche dei siti contaminati, infatti, costano moltissimi soldi, ma comportano anche nuovi posti di lavoro e richiedono nuove competenze; se infatti finora esiste una chimica e tecnologia industriale che spiega come fabbricare le cose, adesso occorrono altre conoscenze tecnico-scientifiche per riconoscere, eliminare e distruggere i residui e le scorie delle attività umane. Senza contare i molti terreni e le molte cave che sono stati usati per discariche di rifiuti industriali e tossici e anche urbani, discariche che devono essere anch’esse bonificate con operazioni ancora più complicate e costose di quelle delle scorie industriali e delle fabbriche abbandonate.
Mentre alla composizione di tali scorie si può risalire, bene o male, conoscendo i processi produttivi, nelle discariche abusive si scopre che è finito di tutto, da fusti contenenti sostanze tossiche o radioattive, a copertoni di autoveicoli, a pezzi di amianto, una delle sostanze più pericolose per la salute. Per ricostruire la storia e la geografia dei siti contaminati il Museo dell’Industria e del Lavoro di Brescia ha organizzato, proprio nella “città della Caffaro”, il 14 e 15 ottobre prossimi, un convegno sul tema: “Puliamo l’Italia; dall’archeologia industriale alla rigenerazione del territorio” (Per informazioni si può telefonare a 320-6359-812 o 338-5898-620).
E’ una iniziativa, unica per il carattere interdisciplinare dei partecipanti e degli interventi, che si propone di raccogliere e fornire informazioni e documentazioni (nel sito www.industriaeambiente.it), utili per le amministrazioni pubbliche responsabili delle bonifiche, e di creare un coordinamento fra comuni e associazioni interessate alla rinascita in sicurezza dei rispettivi territori. Il convegno di Brescia è una chiamata a raccolta di tutti coloro cui sta a cuore tale rinascita e spero che partecipino, oltre agli studiosi e alle associazioni, anche molti amministratori; i quali hanno ben motivo di vigilare con opportuni controlli perché c’è il rischio che, per spendere meno soldi, vengano fatte superficialmente le analisi delle zone inquinate, che le bonifiche vengano fatte con una certa fretta, magari grattando un po’ di terreno superficiale tanto per dire che la zona è decontaminata e può essere venduta e usata per appetibili speculazioni edilizie.
“Bonifica” dei siti contaminati non è, quindi, soltanto un impegno per la salute e per l’ambiente, ma è anche una occasione per i cittadini e le amministrazioni di riappropriarsi dei loro territori, di svolgere un buon governo ambientale e di sconfiggere la violenza di inquinatori e criminali.
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