04/09/13

Patto di Genova, Ecodem: «Finalmente riciclo e rinnovabili sullo stesso piano, ma…»

«La priorità dovrebbe comunque essere un piano Industria 2020»

Il documento congiunto Sindacati-Confindustria consegnato alla storia come “patto di Genova” sul rilancio dell’economia italiana e sul lavoro per chi come noi è convinto della necessità di un green new deal per uscire dalla crisi contiene diversi spunti interessanti. Intanto perché muove, più o meno esplicitamente, da due premesse essenziali: primo, che in Europa bisogna uscire dalla gabbia delle politiche di austerità di bilancio esasperate che hanno aggravato la recessione, puntando su politiche di sviluppo e per l’occupazione; in secondo luogo che non ci si può affidare solo alle dinamiche spontanee del mercato ma c’è bisogno di efficaci politiche pubbliche, in particolare di politiche fiscali e industriali, finalizzate a questi obiettivi.

La cosa sicuramente più importante è che nel documento lo sviluppo della green economy sia indicato tra le scelte strategiche fondamentali per il futuro dell’industria italiana, e che tra le proposte accanto alle politiche per l’efficienza energetica e  le rinnovabili, e ad un piano nazionale per le bonifiche, temi su cui già in precedenti occasioni sindacati e Confindustria avevano posto l’accento  vi sia anche, per la prima volta in maniera così esplicita, lo sviluppo delle filiere produttive collegate al recupero ed al riciclo di materie prime da rifiuti. Qui c’è sicuramente una delle novità più significative: il mondo dell’impresa e del lavoro comincia finalmente a capire come l’efficienza nell’uso della materia, non meno di quello dell’energia, sia una frontiera decisiva per il futuro delle nostre economie.
Ciò detto, il documento appare invece più carente nella declinazione concreta degli obiettivi e nella indicazione degli strumenti. Quando si parla di politiche industriali, ad esempio, non basta invocare un generico sostegno all’innovazione “a 360 gradi”: io penso che la priorità dovrebbe essere un piano Industria 2020 che promuova una politica industriale di innovazione ecologica in tutti i settori manifatturieri, intesa come innovazione sia di processo che di prodotto, tecnologie pulite e prodotti di qualità ecologica. Quando si parla delle politiche fiscali è  importante l’obiettivo della “redistribuzione del reddito” per contrastare le crescenti disuguaglianze, ma manca nel documento, invece, l’idea di utilizzare la leva della fiscalità per promuovere produzioni e consumi orientati alla sostenibilità ambientale: l’esperienza degli incentivi per l’efficienza energetica in edilizia si è dimostrata vincente, ha dato  risultati importanti, ora andrebbe estesa anche ad altri settori, a cominciare proprio dal sostegno alle filiere del riciclo di materie prime.

In ogni caso il documento Sindacati- Confindustria è un passo in avanti. Resta la domanda, ovviamente, se un governo con una maggioranza così anomala e dalla vita così incerta sia in grado di varare riforme e provvedimenti di questa portata. Non possiamo aspettarci grandi rivoluzioni: sarebbe già qualcosa se con la  legge di stabilità si riuscisse a portare a casa alcune misure concrete. Dopodichè c’è da sperare che al più presto il nostro paese possa avere un governo di vero cambiamento, che il centrosinistra assuma pienamente cosa che non ha ancora saputo fare l’idea che da questa crisi epocale si esce solo con un new green deal: la soluzione ai nostri problemi non è certo la decrescita, ma neppure la riproposizione di un vecchio modello di crescita. La domanda vera è: quale crescita vogliamo? Cosa deve crescere, e cosa no? Una nuova economia ecologica per uno sviluppo ecologicamente sostenibile e socialmente equo: questa è l’unica strada possibile. E ci può essere una via italiana alla green economy: è l’idea che nel nostro paese la nuova rivoluzione industriale legata all’economia verde può innestarsi su vocazioni che vengono dalla nostra storia, su un patrimonio ambientale e culturale di grande valore, sulla bellezza del paesaggio, sulle produzioni di qualità del made in Italy. E’ l’unico modo per ridare all’Italia un ruolo in Europa e nel mondo.

Fabrizio Vigni   

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