Il quinto Global Competitiveness Report 2013-2014 del World Economic Forum (Wef) evidenzia che i Paesi con un forte tasso di innovazione e dotati di una robusta rete di istituzioni dominano la classifica internazionale della competitività. Come sempre accade però, non l’innovazione non viene declinata sulla sostenibilità e quindi – dal nostro punto di vista – pur essendo dati interessanti, non aiutano a capire quale sia il trend verso cui il mondo tende. L’innovazione per l’innovazione non è un valore di per sé, ci sono buone e cattive innovazioni e se il criterio direttore non è quello della sostenibilità ambientale e sociale, il rischio è solo quello di inseguire una chimera che non porterà grandi miglioramenti per la salute del pianeta e dell’uomo.
Fatta questa doverosa premessa, veniamo ai numeri: al primo posto, con 5,67 punti, c’è ancora la Svizzera, seguita da Singapore (5,61) e Finlandia (5,54), che confermano il podio del 2012-2013. La Germania, quarta con 5,51 punti, risale di due posizioni e gli Usa dopo 4 anni di trend al ribasso salgono dal settimo al quinto posto (5,48), cala invece di due posti la Svezia, sesta con 5,48 punti, mentre Hong Kong risale dal nono al settimo gradino (5,47). Ben tre scalini scende l’Olanda che si ferma all’ottavo posto (5,42), invece il Giappone risale di una posizione, dal decimo al nono posto (5,40), la top ten della competitività è chiusa dalla Gran Bretagna che scende dall’8 posto e si ferma a 5,37 punti.
Il fondo della classifica è l’elenco della miseria del pianeta: ultimo e 148esimo, con 2,85 punti è il Ciad devastato da siccità e conflitti interni ed esterni, preceduto dalla turbolenta Guinea incapace di sfruttare le sue enormi risorse minerarie (2,91) e da Burundi (2,92), Yemen (2,98), Sierra Leone (3,01), Haiti (3,11), Angola (3,15), Mauritania (3,19), Burkina Faso (3,21) e Myanmar (3,23).
Xavier Sala-i-Martin, professore di economia alla Columbia University, ha evidenziato che «Il rapporto sottolinea il cambiamento delle priorità in rapporto solo ad un anno fa, quando si trattava di rispondere a diverse pressioni. Ormai l’urgenza è quella di implementare delle riforme strutturali».
Il rapporto sottolinea che «Gli Stati Uniti restano uno dei leader mondiali in termini di innovazione di prodotti e servizi. Il loro progresso nella classifica è dovuto ad un miglioramento percepito dai mercati finanziari e ad una più grande fiducia verso le istituzioni pubbliche. Però sussistono delle preoccupazioni quanto alla loro stabilità macroeconomica, che si classifica 117esima su 148».
L’Italia non segna certo una buona performance, scendendo al 49esimo posto rispetto al 42esimo della scorsa edizione, fermandosi a 4,41 punti, dietro Turchia, Repubblica Ceca, Barbados e Lituania e prima di Maurituis Kazakistan, Portogallo, Lettonia e Sudafrica. Ecco come il nostro Paese arriva a questo punteggio sviluppando i tre filoni della classifica (la prima cifra è il posizionamento rispetto agli altri Pesi e la seconda il punteggio: Requisiti di base: Istituzioni 1092 – 3,5; Infrastrutture 25 -5,3; Ambiente macroeconomico 101 – 4,3; Salute ed educazione primaria 26 – 6,3. Potenziatori di efficienza: Educazione superiore e formazione 42 – 4,8; Buona efficienza del mercato: 87 – 4,2; Efficienza del mercato del lavoro: 137 – 3,5; Sviluppo del mercato economico 124 – 3,3; Preparazione tecnologica 37 – 4,7; Dimensione del mercato 10 – 5,6. Innovazione/complessità: Business complesso 27 – 4,7; Innovazione 38 – 3,7.
Ma è in tutta Europa che secondo il Wef «Gli sforzi dispiegati per lottare contro l’indebitamento pubblico e il crollo dell’euro hanno distolto l’attenzione dai problemi strutturali e più fondamentali legati alla competitività». Non a caso il Global Competitiveness Report dedica un’attenzione particolare ai Paesi dell’Europa meridionale: «La Spagna (35esima), l’Italia (49esima), il Portogallo (51esimo) e soprattutto la Grecia (91esima) dovranno rimediare alle mancanze di efficacia e di flessibilità dei loro mercati, promuovere l’innovazione e migliorare l’accesso ai finanziamenti al fine di migliorare la competitività dell’insieme della regione».
Ma il rapporto del Wef fa anche giustizia di certe esagerazioni ed entusiasmi di buona parte della politica e della stampa finanziaria per le performance competitive dei Paesi emergenti che «Devono ugualmente incoraggiare i loro settori privati e pubblici, così come la società civile, a mettere in opera delle riforme indispensabili. La decantata competitività dei Paesi Brics non ne esce bene ed esclusa la Cina, che resta 29esima con 4,84 punti, tutti gli altri Paesi emergenti fanno paggio dell’Italia: Sudafrica 53esimo (4,37), Brasile 56esimo (4,33), India 60esima (4,28), Russia 64esima (425) e solo la Russia guadagna tre posti, mentre il Brasile scende addirittura di 8.
Tra le economie asiatiche è l’Indonesia a fare il balzo in avanti più grande, guadagnando 12 posizioni e raggiungendo il 38esimo posto (4,53) che ne fa il Paese del G20 che registra il più forte progresso dal 2006, mentre l’industrializzata corea del sud arretra di 6 posti fino al 25esimo (5,01). Singapore, Hong Kong, Giappone e Taiwan (12esima con 5,29) sono tra le 20 nazioni più competitive, mentre i Paesi asiatici in via di sviluppo hanno tutti risultati mediocri e tendenze divergenti: la rampante Malaysia è al 24esimo posto, mentre Nepal (117esimo), Pakistan (133esimo) e Timor-Leste (138esimo) sono sul fondo della classifica mondiale. Il Bhutan dell’indice della felicità lordo (109esimo), il Laos (81esimo) ed il Myanmar (139esimo) entrano per la prima volta nel Global Competitiveness Report del Wef.
Nel Medio Oriente in ebollizione e nell’Africa del nord delle primavere arabe fallite il piccolo Qatar si piazza 13esimo assoluto con 5,24 punti e primo della regione, seguito dagli Emirati Arabi Uniti, 19esimi (5,11) che entrano per la prima volta nella top 20. L’Arabia Saudita, 20esima (5,10) retrocede di due posizioni, mentre Israele, decantato come unica isola dell’innovazione del Medio Oriente, si ferma alla 27esima posizione (4,94) scendendo un gradino. L’Egitto del colpo di stato militare scende al 118esimo posto e prosegue il suo declino con 11 posti in meno rispetto all’indice dell’anno scorso. Scendono anche Bahreïn (43esimo), Giordania (68esima) e Marocco (77esimo). Avanzano invece di 10 posti l’Algeria (100esima) e la Tunisia che ritorna all’83esimo posto dopo essere stata non classificata.
Nell’Africa Subsahariana la piccola isola di Mauritius (45esima) sorpassa in competitività il gigante Sudafrica, ma solo 8 Paesi dell’Africa nera si classificano tra i primi 100 ed il Wef sottolinea che «Sono necessari degli sforzi considerevoli in tutti i settori per migliorare la competitività dell’Africa». Tra i Paesi a basso reddito il Kenya (96esimo) è stato quello a registrare il più forte progresso, guadagnando 10 posizioni. La Nigeria, 120esima, resta nella parte bassa della classifica «Dimostrando il bisogno pressante di questo Paese di diversificare la sua economia», basata sui combustibili fossili, dice il Wef.
L’America Latina di governi progressisti, malgrado la forte crescita economica in corso, continua ad accusare una bassa produttività che si traduce in una stagnazione delle performance della competitività. Il Cile resta il Paese più innovativo del Sudamerica, piazzandosi al 34esimo posto (4,61 punti) seguito da Panama (40esimo), Costa Rica (54esima) e Messico (55esimo) con piazzamenti pressoché immutati.
Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum, conclude: «L’innovazione diventa ogni giorno più essenziale per determinare la capacità di un Paese di assicurare la sua futura prosperità. Io prevedo che la distinzione classica tra Paesi “sviluppati” e “meno sviluppati” stia progressivamente svanendo. In futuro parleremo della loro capacità di innovazione, di Paesi ricchi o poveri. Conseguentemente, è indispensabile per i leader degli ambienti economici, politici e della società civile di collaborare e mettere in atto dei sistemi di formazione e delle condizioni propizie all’innovazione».
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