Sono molti i turisti che ogni anno decidono di fuggire dall’aria
irrespirabile delle nostre città e dai mari inquinati delle nostre
spiagge per rifugiarsi nelle oasi ecologiche incontaminate dei tropici,
come quelle della Thailandia.Terre incontaminate, mari cristallini, un
vero e proprio sogno, spezzato sabato scorso dalla dura realtà di un
disastro petrolifero. L'ennesimo, a dire il vero.
Più di 50,000 litri di petrolio sono stati sversati nelle limpide acque di Ao Phrao sull’isola di Samet.
La marea nera, causata da una perdita di un oleodotto operato dalla PTT
Global Chemical Public Company, si sarebbe già estesa su ben 20
chilometri di spiaggia. Gli oltre 200 incidenti degli ultimi 30 anni
non sono bastati a porre fine alle trivellazioni del Golfo thailandese.
Una
nuove cicatrice segna il viso del nostro pianeta mentre la storia si
ripete. L’azienda si scusa, le istituzioni non fanno niente e a pagarne
le conseguenze sono le popolazioni locali che vivono principalmente di
pesca e turismo. Per non parlare dei danni all’ecosistema marino e i
pericoli per la salute umana.Ma la follia delle estrazioni petrolifere
non è solo oltreoceano. Anche il candore dell’Artico rischia di essere sporcato per sempre da una nuova macchia nera.
I disastri di Shell in Alaska sembrano non aver scoraggiato la
compagnia anglo-olandese che, insieme ad altri giganti, è pronta a
trasferirsi al Polo Nord per iniziare le trivellazioni.
In un ecosistema così fragile, un disastro metterebbe a serio rischio la sopravvivenza di balene, orsi polari, pesci e delle comunità locali. In Italia, le nostre coste, già provate da recenti disastri come quello di Gela, sono assediate da decine di richieste per la ricerca di poche gocce di petrolio che basterebbero al nostro Paese per poche settimane. In un mare semi chiuso come il Mediterraneo, un incidente, anche modesto, potrebbe avere conseguenze disastrose che, come è successo in Thailandia, si ripercuoterebbero sul mare, sull’economia e sulle risorse della pesca. Quanti altri danni dovranno subire i nostri mari prima che le istituzioni fermino questa follia?
Greenpeace ha già scritto al Ministro dell’Ambiente sulle minacce delle trivellazioni in Italia: non abbiamo ancora ottenuto alcuna risposta.
Cristiana De Lia
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