Il Supremo di Malagrotta. Se si volesse stilare una classifica virtuale degli uomini più potenti del settore, al primo posto ci sarebbe senza dubbio il laziale Manlio Cerroni, il proprietario di Malagrotta, la più grande discarica d'Europa estesa come 150 campi di calcio. Un ultraottantenne nato nel borgo di Pisoniano nel lontano 1926 (è stato tre volte sindaco del suo paese, nonché sponsor della squadra di calcio) chiamato da ex dirigenti regionali, in alcune intercettazioni ancora secretate, «il Supremo». Un nomignolo che dice tutto. Perché Cerroni, oltre a Malagrotta, controlla termovalorizzatori, discariche e impianti di trattamento rifiuti non solo nel Lazio e in altre regioni italiane, ma in giro per il mondo. Il suo regno si estende dall'Argentina all'Australia, passando per Brasile, Egitto, Oman e Lituania. Oggi, secondo stime prudenziali, il valore del gruppo potrebbe superare i due miliardi di euro.
Manlio Cerroni L'imprenditore, carattere ruvido e spregiudicato, tratta monnezza da 66 anni. In una lettera spedita a chi scrive, spiega di considerarsi «un self-made man: dai miei colleghi» dice «sono considerato il numero uno, per creazione, per impegno, per lavoro, per esperienza». "L'Avvocato", come lo chiamano i suoi dipendenti, nonostante l'età continua a gestire tutto in house, con la collaborazione delle due figlie e di pochi, storici collaboratori. Il suo nome è diventato noto negli anni Settanta, quando riuscì a mettere le mani su un "grande buco" vicino al Raccordo anulare, una cava esaurita di ghiaia e sabbia usata nel dopoguerra per la costruzione dei quartieri della Tuscolana e dell'Appia nuova. La discarica viene inaugurata nel 1978 (al tempo, sussurra qualcuno, l'Avvocato aveva ottimi rapporti con la Dc) e da allora i politici di destra e di sinistra, dai peones locali ai ministri, hanno dovuto fare i conti con lui, consapevoli che se "l'ottavo re di Roma" avesse deciso di chiudere bottega, la Capitale sarebbe sprofondata nel suo pattume in poche ore. «Malagrotta è stata la fortuna e la salvezza di Roma, facendo risparmiare ai romani oltre due miliardi di euro rispetto alle quotazioni di mercato», ripete Cerroni a coloro che osano criticare il suo macroscopico monopolio. Se nel corso dei decenni si sono accumulate decine di denunce per inquinamento, le inchieste - va ricordato - non lo hanno mai scalfito.
Almeno finora: come "L'Espresso" ha raccontato qualche mese fa, infatti, l'Avvocato e i suoi fedelissimi sono finiti nel mirino dei pm di Velletri, che hanno aperto un'inchiesta su un impianto localizzato ad Albano ipotizzando reati gravissimi, come associazione a delinquere e concorso in truffa ai danni dello Stato. Il pm nel 2012 chiese addirittura gli arresti, ma il gip dichiarò la propria incompetenza territoriale girando il fascicolo ai colleghi della procura di Roma, che oggi indagano anche sulle vicende di Malagrotta. «Mi sarei aspettato» scrisse a Cerroni a "l'Espresso" dopo l'articolo sulle sue disavventure giudiziarie «che una "carrozza" ci avesse portati in Campidoglio per ricevere dal sindaco un grazie per quanto fatto dalla città, come nell'antica Roma. E invece, altro che carrozza! Mi ritrovo sbattuto nel girone dei delinquenti... l'unico appellativo che mi si attaglia è quello di benefattore!». Per la cronaca, Malagrotta - che per legge dovrebbe essere chiusa da anni - ha ottenuto giorni fa l'ennesima proroga.
Emiliano Fittipaldi e Andrea Palladino
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