Ha curato come relatore il lavoro della Commissione che ha svelato nuovi importanti tasselli sulla morte del capitano De Grazia e che oggi potrebbero forse portare a una riapertura dell’inchiesta. Si è battuto perché tutti gli atti della Commissione venissero desecretati e resi pubblici, inclusi quelli dei Servizi di intelligence, che hanno squarciato il velo su anni di silenzi e omissioni. È questo l’esito del lungo lavoro che il deputato Pd Alessandro Bratti ha presentato a Reggio Calabria, raccontando alla città che al capitano ha dato i natali, i particolari oscuri della sua morte che la Commissione parlamentare d’inchiesta è riuscita a svelare.
La morte di Natale De Grazia è dovuta a "cause tossiche" e non naturali: questa è la conclusione cui la commissione è giunta al termine dei lavori. Che significato ha?
«È difficile dire che significato abbia adesso, ma sicuramente riapre un interrogativo che fino al nuovo approfondimento peritale che abbiamo disposto era relegato a ipotesi giornalistiche, invece che determinate da fatti concreti. Ma soprattutto la nuova perizia sulla morte di De Grazia, i cui risultati la morte per cause tossiche – riportiamo all'interno della relazione, mette anche in evidenza quali fossero le criticità, le pericolosità di un'indagine di questo genere. Questi nuovi accertamenti testimoniano che alcune operazioni fatte prima – mi riferisco in primo luogo alle autopsie presentano qualche lacuna, tanto che si era pervenuti a un verdetto di morte naturale e dagli approfondimenti fatti dal consulente da noi incaricato è emerso un quadro diverso».
Stiamo parlando della perizia Arcudi?
«Esattamente. La nuova perizia dice chiaramente che la morte è stata provocata da un danno cerebrale dovuto a sostanza tossica. Sapere quale sia questa sostanza è oggi praticamente impossibile, ma sicuramente questa nuova perizia esclude quella che era stata definita la causa principale da chi ci aveva lavorato precedentemente, ovvero la morte per cause naturali».
Questo nuovo dato, la morte di De Grazia così concepita, come si inquadra nel contesto più ampio delle indagini sulle "navi dei veleni"?
«Abbiamo iniziato ad occuparci delle cosiddette “navi a perdere” nel momento in cui qui in Calabria si pensava di aver trovato la Cunski, una delle tante navi legate all'affondamento dei rifiuti pericolosi. Nella ricostruzione che abbiamo fatto, basandoci sulle dichiarazioni del pentito Fonti, siamo riusciti a fare approfondimenti che ci hanno portato a indagare sulla morte del capitano De Grazia. Lo scenario è sicuramente problematico, inquietante e di difficile risoluzione perché – e questo lo spiegheremo chiaramente nella relazione finale – tutti questi fenomeni sono di carattere transnazionale. Quello che succedeva in Italia è legato a quanto succedeva in altri Paesi, ma allo stato non si può accertare perché non esistono gli strumenti giuridici per farlo».
Paesi come la Somalia?
«Esattamente. Anche se sul tema è difficile arrivare a delle prove processuali, sono emerse alcune cose interessanti prima fra tutte, il legame – che lo stesso De Grazia stava dimostrando – tra le frodi assicurative e il traffico di rifiuti tossici. Un'indagine che già all’epoca è stata intralciata e osteggiata. Lo dimostra la presenza di "corpi estranei" nel corso dell'attività sia del nucleo di Brescia, sia del nucleo del capitano De Grazia. Lo dimostra il finanziamento di 500 milioni di lire dato dal governo Dini ai Servizi, per fare approfondimenti sui rifiuti radioattivi. Lo dimostrano le indagini su un personaggio come Giorgio Comerio, "inventore" di un nuovo sistema di smaltimento di rifiuti tossici tramite missili penetratori. Lo dimostra lo smantellamento di tutto quel lavoro di inchiesta. Quello che emerge è che l'indagine sui rifiuti tossici è stata sì oggetto di intervento di diverse magistrature, ma spesso né collegate tra di loro, né supportate da altri organi dello Stato. Noi chiudiamo i nostri lavori senza dare risposte, ma ponendo ulteriori interrogativi. Qualcosa di nuovo però c'è: quegli interrogativi sulla sorte di De Grazia che un tempo potevano avere solo carattere giornalistico, oggi sono provati da situazioni e documenti che abbiamo accertato».
Uno dei dati che emerge tanto dalle audizioni, come dalla relazione è il ruolo controverso assunto dai Servizi. Voi come lo avete interpretato?
«I Servizi "regolari" sono stati interessati in maniera formale dalle Procure per fare approfondimenti e indagini perché il caso era considerato di importanza strategica. Il problema è che in questo Paese con la parola servizi si è sempre inteso tanto quelli regolari come quelli un po' meno. Si tratta di capire se in questa vicenda ci sia stato anche l'intervento delle “patologie dei Servizi”. Ci sono alcune testimonianze che sembrano avvalorare il fatto che ci fosse tutto un filone legato all'attività di questo Comerio quanto meno non chiaro. La sua fidanzata dice che era un agente dei Servizi, i quali smentiscono, asserendo che era al contrario oggetto dell'attività dei Servizi. È chiaro che una vicenda come questa, che dall'85 al '95 ha interessato molto lo smaltimento dei rifiuti provenienti da grandi aziende di Stato, ci porta a chiederci cosa sia successo in quella fase in cui non era più possibile portare i rifiuti all'estero e ci siamo dovuti riprendere scorie che avevamo portato in Libano o in Nord Africa. C'è una fase grigia che corrisponde a quegli anni».
Quali ipotesi sono state formulate al riguardo?
«Si è ipotizzato l'affondamento delle navi, il tombamento dei rifiuti in giro per il Paese. Una prova processuale non l'abbiamo mai trovata. E non è un caso che quasi dieci o dodici indagini di diverse Procure siano state archiviate. Ma è anche vero che i motivi per cui si è archiviato non dipendono dall'insussistenza delle prove, ma dal fatto che si è sempre riusciti ad indagare fino a un certo punto, ma poi non si avevano gli strumenti per poter approfondire».
Tutti questi nuovi interrogativi a cosa portano oggi?
«Sulla morte di De Grazia, abbiamo fatto quest'approfondimento, pubblicheremo la relazione e trasmetteremo tutto – come del resto era già stato fatto con la perizia – alla Procura di Nocera Inferiore. Poi sarà la Procura a decidere se ci sono le condizioni per riaprire il caso».
Da parte vostra, qual è l'auspicio?
«L'auspicio – e l'ho manifestato anche con un'interrogazione parlamentare – è che il caso venga riaperto. Come parlamentare, credo sia doveroso che ci sia un nuovo approfondimento di indagine da parte della Procura competente, ma sarà il procuratore a decidere se ci sono le condizioni per farlo o meno. E deve farlo in piena autonomia». (Corriere della Calabria)
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