26/01/13

Un grande Ulde

E’ stato l’artefice della vittoria del super match di pallavolo fra Americhe ed Eurasia nel 1982, quando si sedette su quella panchina internazionale e guidò il sestetto americano al trionfo: il nuovo continente batté per 3 a 2 la rappresentativa del resto del mondo. Partita giocata inaugurando in grande stile, di fatto, il nuovo impianto: quel palasport di piazzale Atleti Azzurri d’Italia, gremito fino all’orlo, che ospitò successivamente la prima semifinale valida per l’assegnazione dello scudetto nel 2002, quando la squadra di casa si chiamava Yahoo! Ferrara e, dall’altra parte della rete, c’era quella Casa Modena grande protagonista del volley moderno maschile di A1. Uno dei punti più alti della pallavolo ferrarese.


La chiesa sconsacrata

Ulderico Baglietti, classe 1939, era già stato definito nel 1979 e sul finire del campionato di serie B, quando Roversi gli cedette il passo, “l’innovatore”. Un uomo che ha fatto della pallavolo la sua vita, da schiacciatore prima e da alzatore poi. «Abitavo in corso Isonzo – ricorda Baglietti – e già da piccolo avevo iniziato a giocare nel campetto della parrocchia di San Biagio, così come a scuola con i campionati studenteschi. Poi per un anno giocai nei pulcini della Spal a calcio. Mi distrussero un ginocchio e cambiai rotta. A 18 anni, visto che ero abbastanza bravo e me la cavavo bene, mi chiamarono a giocare nei campionati universitari e mi diedero anche un documento con un nome falso: Loris De La Giorgia. Giocai nei Vigili del Fuoco, per l’associazione marinai e nei diversi tornei ai lidi nelle mitiche sfide fra i diversi bagni che si contendevano il primato estivo».

E con padre John Caneparo iniziò ad allenare le giovanili della 4 Torri negli anni ‘60. «Poi andai a Copparo, allenando amici che giocavano anche con me. A Montecatini andammo a fare i campionati italiani Csi under 18, dove eliminammo, in Emilia, sia la Panini che la Casadio Ravenna, squadre che avevano i due allenatori, Anderlini e Costa, all’epoca i più quotati nel panorama del volley della nazionale». Da qui, deriva la sua filosofia della difesa. «Avevamo una difesa paurosa, perché tiravamo su di tutto. Incuriositi mi chiesero come facevamo e gli risposi che ci allenavamo in 8 in una chiesa sconsacrata, piccolissima, dove il campo era 9 metri per 9, e lì la difesa era continua. Non c’erano tempi morti e proprio la difesa ti distrugge lo schiacciatore».


Una sorta di precursori del ruolo del libero nel volley dei nostri giorni. «Sì, proprio così. Dopo questa esperienza, fra il ’74 e il ’75 continuai ad allenare le giovanili andando anche a Sant’Agostino, portando Scalabrin dalla 4 Torri di Ferrara per farlo crescere. Fummo promossi nell’allora B1, battendo i giocatori del Sassuolo che venivano dalla A1. Fu un campionato molto bello». Raggiunta la serie B, i ragazzi della 4 Torri chiesero a Ulderico Baglietti di diventare il loro allenatore fra il ’78 e l’80.


«Provai e fummo promossi in A2 contro il Treviso. Poi andai con Carmelo Pittera ad allenare la nazionale italiana a Roma, dove arrivammo secondi al campionato del mondo battendo Cuba. E da quell’esperienza consolidai i miei principi dei tempi morti. Pittera ripeteva sempre: “Tanta tecnica, perché la pallavolo la esige, e ridurre i tempi morti”. Per andare a prendere i palloni, infatti, facevo fare due o tre tuffi per terra. Tanti piccoli espedienti per formare poi dei grandi giocatori. Sicuramente ho avuto la fortuna di avere dei bravi giocatori, fra l’80 e l’81, come Bratti, Zambelli, Zanolli, Roberto Rossetti, Fusi, Fagioli, Ferruccio e Roberto Poli, Scalabrin, Tosi e Merlo. Con loro conquistai subito il vertice in A2».

Grandi risultati
In cinque anni da allenatore Baglietti ottenne due secondi posti in A2 e tre terzi posti. «In tanti anni ho giocato molto e ho avuto la fortuna di stare a contatto con i più grandi dirigenti del volley di oggi. E come i grandi cantanti, sono un po’ presuntuoso nel dirlo, mi sono ritirato nel momento giusto».

Le trasferte con i panini e le “torture” a Bratti

«Andavo a pescare i giocatori per le giovanili anche nelle squadre di altri sport. Uno di quei giovani fu proprio Alessandro Bratti,unodi quelli che ho “torturato” forse di più – rammenta Baglietti -. Ricordo che sua mamma, Fosca, ci faceva i panini per risparmiare sulle trasferte. Bei tempi. Poi, fatto il percorso di allenatore,ho capito che vicino a un allenatore discreto ci voleva anche un bravo dirigente che fosse pure un tecnico. E dopo tre anni o cambi tutti i giocatori,oppure ti cambi tu. Così cominciai con Aldo Bendandi, a fine anni ’80, un uomo di una maturità superiore, insegnante all’Isef di Urbino. Poi come dirigente fui nell’avventura,sempre a Ferrara, con Nino Beccari, Tabordae Travica e fu una parentesi con sei squadredi serie A».

«A loro seguirono le compagini di Barbieri e Cuoghi. Poi,fra il 2008 e il 2009, Sandro Bratti e il padre Luciano mi chiesero di rifare una squadra con principi sani e così ci siamo ritrovati di nuovo nei panni della 4 Torri». Ma molte sono le differenze tecniche fra la pallavolo di allora e quella di oggi.«Nonc’era il bagher, si saltava su una gamba

sola come fanno le donne adesso, addirittura si schiacciava di taglio perché era più forte e la battuta era da sotto. La cosa più assurda, andando avanti nella pallavolo quando ho cominciato a fare l’allenatore a certi livelli: dalla panchina non potevi suggerire al giocatore tecnicamente nemmeno su come muoversi. E’ indubbio che adesso la forza fisica fa la differenza e l’elevazione è

determinante. Basta guardare la velocità delle battute in salto con una palla molto più veloce ».
«Poi c’è la tattica: devi raffrontarti con gli scout che fai, tuoi e degli avversari. Io ebbi la fortuna che, quando eravamo a Roma, Pittera mi mise a fare gli scout di Kim Ho-Chul, il famoso alzatore coreano, vedere palleggiare lui con le sue tattiche e vedere le sue priorità di palla ho visto che le tattiche sono molto importanti. Quello che sta facendo adesso Zambelli: vedere dove schiaccia l’avversario e dove tu giocatore ti devi posizionare in difesa». MaBaglietti fu anche il primo in Italia a portare lo stretching. «Lo inserii nella pallavolo dieci anni prima del calcio e qualche anno prima del basket, perché avevo visto Rudolf Nuriev nella danza classica così elastico: chiesi a un’insegnante di danza che pesi adoperavano e lei rispose che facevano molti allungamenti. Poi Angelo Marocchino mi portò da Bali, quando era con la nazionale italiana, un libro sullo stretching e mentre gli altri correvano noi facevamo 12 minuti di esercizi. Ci guardavano tutti, come i vari Lucchetta e Zorzi. Il calcio ci arrivò dopo 4o5 anni». La palla, il campo e ora, nelvolley moderno, la figura del libero…
«Il libero oggi mi piace moltissimo.Ho visto Zappaterra lo scorso anno e Poli: i liberi devono avere grande intelligenza tattica e molta tecnica. Ricevono delle pallonate a oltre 120 chilometri all’ora e la devono dare in bagher all’alzatore. Molte volte ora riusciamo a vedere che un’azione si vince per merito del libero». Il cambio palla è solo un ricordo. «Ho fatto fatica a farmi piacere il nuovo sistema di gioco che ha tolto l’estrosità dell’alzatore, che prima poteva anche rischiare il cambio palla con una giocata spettacolare: ora deve fare solo punto. Ma l’alzatore è ancora, in assoluto, il registra della squadra»



Federica Achilli

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