04/08/09

Per un mondo più sicuro

Su Greenreport.it la recensione dell'ultimo libro di Stern. Di seguito alcuni passaggi.
E’ stato col rapporto Stern (e con i vari report Ipcc, in particolare con l’ultimo) che, possiamo dire, l’economia è stata obbligata ad aprire gli occhi davanti alla sempre maggiore inequivocabilità delle conclusioni della scienza: la serie di «5 relazioni fondamentali connesse con i cambiamenti climatici» descritte da Stern nel suo libro, e cioè quella tra attività economica ed emissioni, tra emissioni ed aumento di concentrazione dei gas serra in atmosfera, tra la concentrazione e l’aumento della temperatura, tra aumento T° e cambiamenti climatici (in primo luogo la mutazione del ciclo idrogeologico), e tra cambiamenti climatici e benessere, è stata resa evidente nei suoi aspetti estremi proprio dall’Ipcc da una parte (per quanto riguarda la relazione tra attività economica ed emissioni) e dal rapporto Stern dall’altra, che ha “chiuso il ciclo” evidenziando adeguatamente le relazioni sussistenti tra cambiamenti climatici e benessere, sia umano, sia del sistema economico.

Serve crescita, quindi, e Stern spiega la sua ricetta sul come garantirla il più a lungo possibile, pur agendo sul clima. La prospettiva di lungo termine, però, è naturalmente diversa: essendo una crescita infinita insostenibile per definizione, è ovvio che ad un certo punto l’economia globale dovrà raggiungere un punto di “stazionarietà” (cosa diversa da “stagnazione”, naturalmente), e a questa stazionarietà della produzione corrisponde, in un certo senso, quella stazionarietà della concentrazione di gas serra (a 500 ppm) che Stern pone come obiettivo. Ma, finché non saranno appianate le divergenze nello sviluppo, è da ritenersi assurdo cercare di impedire la crescita dei paesi in via di sviluppo, cosa che peraltro aumenterebbe la loro ostilità nei confronti dei paesi ricchi e della loro incommensurabilmente maggiore responsabilità sui cambiamenti climatici.

In sintesi, l’autore propone un accordo “efficace, efficiente ed equo” sul percorso verso una economia carbon-free o a comunque a bassa intensità di carbonio:

- una riduzione del 50% al 2050 su scala globale delle emissioni, che vedrebbe naturalmente un contributo maggiore da parte dei paesi ricchi (80% in meno alla stessa data).

- azioni contro la deforestazione (responsabile, a causa di cambiamenti dell’uso del suolo tramite tagli o tramite lo slash and burn, di circa il 20% del totale delle emissioni) al costo di 15 miliardi di $ l’anno.

- instaurazione di un meccanismo globale di mercato delle emissioni, che costituisca una applicazione su larga scala del già esistente European union emission trading scheme, che già oggi «copre il 40% delle emissioni europee» e che avrebbe il vantaggio, rispetto ad altri strumenti di attribuzione di un costo al carbonio (come la leva fiscale, che Stern ritiene meno adatta ma comunque da associare, in certi casi, al cap and trade), di attrarre più facilmente i pvs negli accordi poiché attiverebbe un flusso di fondi dai paesi ricchi verso di essi. A questo meccanismo dovrebbe sommarsi una evoluzione della cooperazione per lo sviluppo e del meccanismo di Clean development mechanism.

- sviluppo delle nuove tecnologie: ricerca sulla fusione nucleare, ccs, ma anche investimenti in Ricerca & sviluppo, in reti telematiche (per migliorare il sistema di rilevamento, quello di allarme, e per dematerializzare il più possibile il sistema produttivo), in tecnologie oggi nascenti come i già citati Biochar e il ccs per le biomasse, ma anche i biocarburanti di seconda generazione (che possono crescere su terreni degradati e con poca acqua, evitando così la competizione con l’alimementare) e nuovi strumenti di immagazzinamento dell’energia, compreso l’idrogeno e le cosiddette “nanobatterie”.

- sviluppo delle modalità e delle tecnologie di adattamento, soprattutto nei pvs: a questo proposito, Stern sollecita con forza il mantenimento delle promesse fatte dai paesi ricchi nel 2005 per far crescere il proprio contributo ai fondi per il sottosviluppo dall’attuale 0,3% medio del Pil allo 0,7% almeno. Di contro, l’elergizione dei fondi dovrebbe diventare meno “a pioggia” e assumere un carattere di maggiore vincolo per l’adozione di politiche per l’adattamento.

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