Se interessa di seguito c'è il resoconto della mia relazione al programma presentato dal ministro Prestigiacomo l'1 luglio in commissione ambiente (letteralmente e formalmente: Audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Stefania Prestigiacomo, sulle linee programmatiche del suo dicastero, per le parti di competenza)
ALESSANDRO BRATTI. Certamente possiamo cavarcela attribuendo tutte le colpe al precedente ministro. Magari fosse così! Nel senso che se davvero fosse così, sarebbe molto facile risolvere le questioni delle politiche ambientali di questo Paese.
Diciamo allora, piuttosto, che sul versante delle politiche ambientali, il nostro Paese forse non ha, o non ha ancora, quella cultura tipica dei Paesi del nord Europa che oggi ci fa guardare ad essi con grande invidia, per tutta una serie di politiche e di azioni che vengono messe in campo in quella parte del continente.
Non ho alcun motivo per difendere il precedente Ministro, però sarebbe un po' semplicistico cercare di addossare ai 18 mesi di governo del Ministro Pecoraro Scanio tutte le problematiche - da Kyoto al problema dei rifiuti - che questo Paese si trascina dietro da 15-20 anni e che oggi dobbiamo affrontare.
Ciascuno avrà dato il proprio contributo, ma se dobbiamo parlare di «ambientalismo del no», allora devo riportare un esempio. Vengo da una regione dove il centrosinistra ha sempre governato e dove gli impianti sono stati costruiti. Ebbene, vi garantisco che in Emilia-Romagna i più grandi oppositori sono stati coloro che, dal punto di vista politico, sono rappresentati dal centrodestra.
Se vogliamo essere laici, dobbiamo dirci con franchezza che queste sono tematiche che fanno presa sulla paura dei cittadini e che, quindi, vengono utilizzate spesso - dalla destra e dalla sinistra - a seconda delle opportunità politiche del luogo e del momento. Se vogliamo essere seri fino in fondo, dobbiamo riconoscere la verità di questa considerazione.
Se è iniziata una nuova stagione, evidentemente siamo tutti contenti, poiché alcune problematiche riguardano tutti indistintamente, non una determinata parte politica.
Anche la sostenibilità, del resto, non la scopriamo oggi. Nel 1987 si sono svolti due grandi convegni mondiali (a Rio de Janeiro e a Johannesburg) e il tentativo di far dialogare economia e ambiente viene da lontano, non è una novità recente. Il fatto che ancora se ne parli significa che la situazione auspicata non si è avverata, quindi è giustissimo cercare di mettere in atto tutte quelle politiche che possano favorire questo dialogo.
Quando parliamo delle politiche ambientali, dobbiamo tener presente che nel nostro Paese - l'abbiamo detto quando abbiamo parlato dei rifiuti, ma vale anche per altre questioni ambientali - coesistono zone che procedono a velocità diverse.
Abbiamo un pezzo di Paese dove il tema della legalità ambientale, come è stato più volte ricordato, è ancora assolutamente attuale (e quando si parla di legalità ambientale non si deve solo intendere il reato, ma anche il rispetto minimo delle autorizzazioni, cosa di cui parlerò più avanti anche in rapporto alla questione dei controlli).
Esiste poi un altro pezzo di Paese, caratterizzato - per riprendere il ragionamento del collega Foti - dall'essere percorso dal Po, per cui parlerei proprio di Pianura padana, in cui abitano 16 milioni di cittadini, viene prodotto il 40 per cento della CO2, si svolge il 35-40 per cento dell'attività industriale e la gran parte dell'attività agricola (metà della quale è irrigua e quindi implica un forte uso d'acqua). Insomma, si tratta di un'area in cui le contraddizioni dello sviluppo tradizionale si manifestano tutte, con regioni variegate anche dal punto di vista del colore politico dell'amministrazione.
Il tema del Po da un lato e la difficoltà di dialogare e operare insieme alle regioni della Pianura padana dall'altro
potrebbero essere sicuramente oggetto di un grande progetto e di una grande iniziativa da pare del Ministero dell'ambiente.
L'intervento sulla Pianura padana e il dialogo con le regioni di quella zona, fra l'altro, potrebbero essere intesi come una grande sfida raccolta e un impegno molto importante. Anche il tema della qualità dell'aria, ricordato dal Ministro nella sua illustrazione, è particolarmente grave in quell'area, perché, come sappiamo, essa è racchiusa fra due catene montuose; il traffico è molto intenso; l'insediamento urbanistico è molto elevato, con circa 7-8 ettari al giorno di terreno artificializzato, dal 1975 al 2003. Parliamoci chiaro: si tratta di un'area dove si sono raggiunti livelli di benessere elevatissimi. Però, oggi, di fronte ad una nuova sfida, dobbiamo trovare un meccanismo, un sistema, una proposta di sviluppo sostenibile, che potrebbe essere rivestire un assoluto interesse.
Con riferimento al tema dei controlli, io sono stato fra coloro che sono maggiormente intervenuti criticamente sul «famoso» articolo 7 del decreto-legge sui rifiuti in Campania, che adesso ci ritroviamo proposto in un altro provvedimento d'urgenza. Ritengo che si tratti di un tema assolutamente importante, e spero che ci sia data davvero l'opportunità di confrontarci al riguardo, essendo pienamente convinti della necessità di mettere mano al sistema.
Ricordo che in precedenza ho ricoperto il ruolo di direttore generale presso l'ARPA Emilia-Romagna e ho lavorato quasi un anno, insieme ai colleghi di tutte le altre regioni, anche quelle di centrodestra, per cercare di capire - in un'ottica federalista - come migliorare questa struttura che guida i rapporti tra livello regionale e livello centrale, soprattutto con riferimento ai temi del controllo e dell'informazione.
Personalmente sostengo, infatti, aggiungendo un ulteriore elemento a quanto affermato dal collega Realacci, che avere
controlli omogenei su tutto il territorio nazionale significa garantire alle imprese lo stesso trattamento ed evitare di arrivare al dumping industriale.
Guardiamo, infatti, che cosa sta succedendo: certe industrie un po' border line vanno in certi territori e non vanno in altri, perché in questi ultimi sono controllate e verificate. Esistono in questi territori moltissime imprese, di grande qualità, che si autocertificano ambientalmente, sostenendo i relativi oneri. Vi porto alcuni esempi della mia regione, che conosco meglio come Scam per i fertilizzanti, Cerelia per le acque minerali, Hera che gestisce i rifiuti, Granarolo che produce latte - ma ce ne sono altrettante in Lombardia -. Ebbene, queste società spendono soldi, si applicano in politiche di miglioramento ambientale e soggiacciono ad un preciso sistema di controlli. Poi, ci si sposta di cinquecento chilometri e si può fare tutto quel che si vuole. Come si dice da noi sono «becchi e bastonati», perché si impegnano, credono nell'investimento sulla qualità e alla fine vedono che un altro pezzo di Paese di tutto ciò si fa allegramente un baffo!
C'è dunque, sicuramente, la necessità di svolgere su questi temi un ragionamento serio, tenendo anche presente che il concetto del controllo, se seguiamo le indicazioni europee, è andato ben oltre il tema del «comando e controllo». Il metodo dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) è certamente un po'difficile, per noi, da recepire. Ma in realtà, dove è stato adottato, esso ha consentito (sicuramente con qualche difficoltà per le imprese) di instaurare un rapporto fiduciario tra imprese e organismo controllore, che è il solo che consente di perseguire l'obiettivo di un miglioramento continuo del sistema. Questa è la filosofia che ci propone l'Europa e anche quella a cui personalmente ritengo si debba tendere.
Onestamente, vedo difficile che i privati possano fare i controlli, in quanto bisognerebbe cambiare tutto l'assetto normativo europeo e nazionale e perché il sistema non potrebbe funzionare in questo modo.
Le autorizzazioni devono essere pubbliche e devono essere rispettate; c'è già adesso un settore nel quale si adotta il metodo degli autocontrolli. Pensate agli inceneritori, che funzionano ormai, al 99 per cento, con autocontrolli, ai quali si aggiungono uno o due controlli fiscali all'anno. Non è vero, dunque, che tutti i giorni qualcuno va a ispezionare, a controllare e a «fare le pulci».
Spero che su questioni di questo tipo ci si possa confrontare, per cercare di trovare soluzioni in grado di andare nella direzione di un sistema di controlli omogeneo che, così come avviene per la sanità, definisca a livello nazionale un minimo comune denominatore valido per tutto il Paese, al quale abbinare una concezione di controllo-informazione, cioè un controllo che, insieme alle imprese, fa migliorare tutto il sistema ambientale.
Credo che questa sia la grande sfida che abbiamo davanti e che possiamo sicuramente vincere, se ci crediamo.
Il tema dell'accettabilità sociale, ricordato dall'onorevole Ghiglia, è importantissimo, al pari di quello delle tecnologie e anche del tema della governance, che il ministro ha prima ricordato, e rimanda alla questione delle relazioni con il sistema degli enti locali e delle regioni.
Questi temi sono stati dapprima evocati in positivo, salvo poi evocare il localismo del «no».
Abbiamo visto, tuttavia, che quando le cose iniziano con una progettualità, con il piede giusto, e si avvia un dialogo interattivo con i livelli istituzionali (a parte i casi estremi di grande emergenza, ai quali purtroppo abbiamo talvolta assistito),
si riesce ad arrivare a una soluzione. Dialogare prima sembra che faccia perdere tempo, mentre in realtà ne fa risparmiare tantissimo.
Gli spiragli in Val di Susa, almeno nel metodo, che si sono aperti (come ha dichiarato l'altro giorno il Ministro Matteoli), nascono dall'essere riusciti a dialogare un po' di più con le comunità locali, le quali hanno avanzato richieste ragionevoli, come il potenziamento del trasporto locale pubblico.
Se davvero si vuole instaurare un rapporto di governance, come veniva ricordato, credo che questa sia la strada da percorrere.
Aggiungo solo che anche a me pare che la situazione dell'Adriatico sia molto preoccupante. Ho dato un'occhiata al «decretone» e, in merito al ragionamento di riprendere le attività di prospezione petrolifera, ricordo che la questione è molto delicata e complessa.
Concludo, dicendo che di esperienze positive in giro per il nostro Paese sulle questioni ambientali ce ne sono numerosissime, compresa quella di Torino che ha fatto interventi magnifici con le Olimpiadi.
AGOSTINO GHIGLIA. Su questo, se vuoi, apriamo un dibattito.
ALESSANDRO BRATTI. A Torino in quel periodo tutto è stato fatto da un comitato presieduto da un esponente di centrodestra.
Va benissimo guardare a Friburgo e alla Germania, ma anche nel nostro Paese esistono tantissime esperienze positive sul tema dell'edilizia sostenibile, dei quartieri ecologicamente attrezzati e su tante altre situazioni che devono essere messe in valore.
AGOSTINO GHIGLIA. Ma se ci siamo venduti il palazzo olimpico!
ALESSANDRO BRATTI. Dico semplicemente che, con la delegazione della Commissione, ho visto pochi giorni fa a Torino realizzazioni che in altri posti non ho visto! Tutto qui.
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