Il nucleare è la soluzione? E' questa la via d'uscita per rispondere ai problemi economici del caro-petrolio e a quelli non meno urgenti dei mutamenti climatici, legati anch'essi all'immane consumo di greggio e di altri fossili? La pensa così il governo Berlusconi, che con il ministro Scajola ha annunciato che entro cinque anni verrà dato concreto avvio alla realizzazione di nuove centrali nucleari.
Ora, il tema del nucleare è certamente serio, molto meno seri sono i toni propagandistici e le previsioni tempistiche contenuti nell'annuncio di Scajola. E' propaganda, intanto, sostenere che il nucleare che c'è, quello delle centrali attualmente in funzione, sia sicuro: i problemi di sicurezza e d'impatto ambientale, a cominciare dalle scorie, che hanno reso l'energia dell'atomo molto impopolare, e non solo in Italia, restano irrisolti; irrisolti dappertutto, anche nei Paesi come la Francia, gli Stati Uniti o il Giappone, che sul nucleare hanno scommesso di più. Il nucleare è tuttora una tecnologia molto insicura e molto rischiosa, ed è ad oggi - persino con il petrolio a 130 dollari il barile - una tecnologia economicamente poco conveniente per gli alti costi di costruzione e di smantellamento delle centrali e di smaltimento dei rifiuti. Insicurezza e costi molto alti sono anche le principali ragioni per le quali da oltre un decennio nessun Paese occidentale costruisce più nuove centrali. Insomma, il nucleare è fermo da tempo là dove le preoccupazioni e il controllo dell'opinione pubblica hanno più peso e dove l'energia è un affare del mercato; invece continua ad andare avanti in Cina, in India, in Russia, dove il controllo democratico o non c'è oppure è molto più fragile e dove le centrali vengono pagate con i soldi dello Stato. Nel complesso, comunque, il nucleare è in declino, e la Iea - la International Energy Agenbcy - calcola che nel 2030 la quota di elettricità prodotta nelle centrale atomiche si ridurra dall'attuale 16% al 9-12%,
Anche sui tempi, Scajola fa più che altro propaganda. Se si parla di nucleare di nuova generazione, quello per intendersi dei grandi programmi internazionali di ricerca che vede mobilitati tutti i più importanti Paesi europei e nei quali è auspicabile che s'impegni pure l'Italia, per le prime centrali bisogna attendere almeno 15 o 20 anni. Darsi un orizzonte di cinque anni significa che si pensa al nucleare disponibile oggi, magari da realizzare nei vecchi siti atomici dimessi come Caorso e Trino: una prospettiva socialmente impraticabile, destinata a fallire prima di nascere.
Il nucleare, almeno il nucleare che c'è, è dunque per l'Italia una soluzione sbagliata, impropria: ma una soluzione sbagliata ad un problema terribilmente serio. Il problema è quello dell'insostenibilità ambientale e anche economica dell'attuale sistema energetico largamente basato sulla dipendenza dal greggio. Il caro-petrolio e i mutamenti climatici, tendenze entrambe ormai consolidate, impongono di ridurre tale dipendenza: bisogna "rottamare il petrolio", per usare lo slogan coniato in campagna elettorale da Walter Veltroni, deve farlo tutto il mondo e deve farlo a maggior ragione a un Paese come l'Italia che importa tutto il petrolio che consuma. Da noi le principali vie da battere sono tre. Una è puntare sul metano, il combustibile fossile di gran lunga meno inquinante, e per questo serve realizzare alcuni rigassificatori, necessari per rendere più agevoli ed elastici i nostri approvvigionamenti di gas. Le altre due strade sono riassunte dai tre 20% indicati dall'Unione europea come obiettivi al 2020: -20% sulle emissioni di anidride carbonica, il gas responsabile del "global warming"; -20% sui consumi di energia; almeno il 20% di rinnovabili sul mix energetico. L'Europa sta camminando da tempo in questa direzione, l'Italia è quasi al palo: siamo agli ultimi posti nell'Unione per efficienza energetica e per sviluppo delle energie rinnovabili, e siamo in abissale ritardo rispetto agli obiettivi di riduzione delle emissioni dannose per il clima assegnatici dal Protocollo di Kyoto.
I paladini dell'atomo ripetono spesso che dalle rinnovabili può venire soltanto un contributo modesto alla produzione totale di energia: ma già oggi ci sono molti Paesi europei - la Danimarca, la Germania, la Spagna, il Portogallo - nei quali la quota di elettricità prodotta con eolico e solare sfiora o addirittura supera il 10%. Inoltre, puntare sull'efficienza e sulle energie pulite vale a spingere l'innovazione tecnologica, a rendere le imprese più competitive, a creare nuovi e stabili posti di lavoro: in Germania già oggi il settore delle rinnovabili occupa 200 mila lavoratori, e negli Stati Uniti, dove si prevede che entro vent'anni l'eolico coprirà almeno il 20% del fabbisogno elettrico, tra diretto ed indotto l'energia del vento darà lavoro a mezzo milione di persone.
Allora il nucleare proposto dal governo Berlusconi non rappresenterebbe un ritorno al futuro ma una fuga verso il passato, e farebbe perdere al nostro Paese altro tempo prezioso rispetto alle vere innovazioni di cui abbiamo bisogno in campo energetico. Sarebbe pura e vecchia ideologia, non troppo lontana dall'opposta ideologia di quanti nel nome dell'ambiente si battono contro scelte e opere - l'eolico, i rigassificatori - senza le quali proprio l'ambiente, e soprattutto noi umani che ne facciamo parte, ce la vedremo malissimo.
Roberto Della Seta
3 commenti:
Salve,
Sono perfettamente d'accordo sul fatto che il problema dell'energia nucleare non possa essere affrontato con gli slogan, c'è bisogno di serietà, su questo come su tutto il problema energia. Sono d'accordo anche che non è affatto scontato che la produzione di energia elettrica tramite fissione nucleare sia economicamente la soluzione ottimale per il nostro paese.
C'è però un problema che emerge costantemente, e cioè che oggi in Italia anche le "energie rinnovabili" vengono trattate più come materiale adatto ad inventare nuovi slogan che come quello che realmente sono : fonti di energia. Lo dico in modo estremamente e drammaticamente consapevole: la mia società costruisce da decenni impianti industriali per la produzione di bioetanolo, un carburante rinnovabile alternativo alla benzina che presenta moltissimi vantaggi in termini di impatto ambientale e intercambiabilità con la benzina tradizionale. Purtroppo però riusciamo a realizzare questi impianti solo all'estero, perché in Italia alla fine nessuno ha ancora pensato realmente di farne. 20 20 by 2020 rimane quindi per noi uno dei tanti slogan, che fanno sorridere quei paesi in cui da anni alle stazioni di rifornimento si può scegliere tra benzina ed etanolo (o varie miscele benzina-etanolo, tra cui per dirne una la E85). Sul nostro blog: http://greeneng.blogspot.com potete trovare le foto dell'ultimo impianto di bioetanolo che sono stato personalmente impegnato a montare. Si trova in Malawi (Africa) uno degli stati più poveri del mondo. L'impianto che stiamo ultimando laggiù produce bioetanolo da scarti di lavorazioni agricole (e sottolineo scarti, quindi niente materie primarie sottratte al mercato alimentare).
Caro Alessandro
il commento che hai ricevuto da Eugenio Macchia merita una risposta rapida. Ti prego per questo di scaricare il recentissimo articolo sui biocarburanti che ho scritto con un collega ricercatore (E. Ceotto) pubblicato sul sito della rivista Agricoltura. Trovi il link nella home page del sim www.arpa.emr/sim tra le notizie.
Cari saluti
Vittorio MArletto
Gentilisso Vittorio Martelletto, mi sono preso un po' di tempo per risponderle. Ho letto attentamente l'articolo a cui fa riferimento qualche domenica fa. Probabilmente però lei non ha dedicato la stessa attenzione a quello che effettivamente avevo scritto nel breve commento che avevo lasciato, altrimenti non avrebbe potuto considerare l'articolo scritto da lei come una risposta alle mie parole.
Parto subito da quella che lei chiama "questione etica". Il fatto che le colture agricole destinate alla produzione di etanolo carburante abbiano fatto innalzare i prezzi dei beni alimentari è abbastanza ridicolo. Non lo dico io, ma la stessa FAO che lei cita, quando nei rapporti dettagliati che emette sul problema dell'incremento dei costi degli alimenti riporta a carico del bioetanolo percentuali irrisorie di un fenomeno molto complesso e legato in modo molto più importante al repentino sviluppo di paese enormi come Cina ed India, accompagnato da speculazioni enormi che sono state compiute sul mergato del grano.
Una seria analisi del problema esula dalle possibilità offerte da un commento su un blog. Per questo motivo ritengo che abbia poco senso sparare a zero sull'etanolo senza affrontare in modo approfondito l'argomento. Cosa che tra l'altro non fa neanche nel suo articolo su rivista Agricultura.
Mi permetto di farle notare invece come io parlavo di produzione di bioetanolo derivante da scarti di lavorazioni agricole, quindi da materia prima che NON PUO' ESSERE UTILIZZATA PER GLI ALIMENTI. Mi riferisco, tanto per parlare di qualcosa di CONCRETO, al melasso di canna da zucchero derivante dagli scarti degli zuccherifici. In Malawi stiamo realizzando un modernissimo impianto collocato all'interno di uno zuccherificio, che utilizza gli scarti dello zuccherifici per fare bioetanolo carburante. Quindi niente materia prima sottratta agli alimenti.
Per quanto riguarda invece la produzione di bioetanolo da grano, il suo allarmismo è fuori luogo: infatti nessuno produrrà in futuro bioetanolo da grano semplicemente perché non è conveniente farlo.
Un'altra questione etica che lei pone è quella della deforestazione per la creazione di aree destinate alle coltivazioni per bioetanolo. Questo è un tema che credo lei riferisca a paesi in via di sviluppo . Ma c'è molta ipocrisia in questo, perché in un paese come il Malawi dove si lotta con una povertà estrema e dove esiste un'unica strada asfaltata che percorre tutto il paese, il problema della deforestazione è ridicolo: in Malawi è tutta campagna. Credo che noi italiani, che abbiamo violentato il nostro territorio fino a qualche anno fa per fare spazio a strade, centri commerciali, industrie, outlet, cinema e tutta la serie di comodità estreme che oggi abbiamo il lusso di poter usare dobbiamo stare zitti sulle decisioni che uno stato in cui si muore di fame prende per rilanciare un suo sviluppo industriale. Specialmente se lo fa in un modo che è sostanzialmente ecocompatibile. Lei mi parla d pericolo di deforestazione dovuto all'etanolo... quando in Italia e in occidente bruciamo miliardi di litri al giorno di petrolio con le nostre auto e le nostre fabbriche. E' veramente ridicolo. Meglio che io mi fermi quì.
Saluti a tutti.
Altra cosa, la sua frase "sarà quindi il caso di riesaminare" ... bene, continiuamo a riesaminare in modo superficiale tutto, così come qualche anno fa abbiamo perso il treno del nucleare oggi perderemo quello delle fonti rinnovabili, per poi ritrovarci tra un trentennio a dire "forse dovevamo fare anche noi il bioetanolo".
Posta un commento